L’ultimo caso è quello del disabile di 50 anni legato a un albero con lo scotch ad Andria, in Puglia. La banda di bulli si è accanita su di lui, un uomo con problemi psichici, per poi pubblicare la foto del poveretto su Facebook. Ad Andrea Natali è andata molto peggio. Poche settimane fa, il 26enne piemontese si è suicidato dopo mesi di angherie. Scappava dalle fotografie, scattate dai colleghi e pubblicate su Facebook, che gli avevano tolto la dignità e la voglia di andare avanti. E poi c’è un altro giovane (che vuole restare anonimo), con la sua storia di fuga: si confessa con lo sguardo basso di chi è abituato a nascondersi. «Le mie colpe? Ho 30 anni, al pub preferisco i libri, non mi piace il calcio. E una fidanzata vera non l’ho mai avuta. Per questo sono diventato il bersaglio preferito dei bulli della piazza, quelli più conosciuti nel mio paese di un migliaio di anime. L’incubo va avanti dal 2009 ed è fatto di gavettoni in pieno inverno, ruote bucate alla mia bici, minacce. Ora finalmente mi trasferisco: vado a cercare lavoro a Roma. Così, lontano da qui, forse potrò ricominciare».
Storie inquietanti che ci consegnano una dura verità: il bullismo non serpeggia soltanto a scuola, tra bambini e adolescenti.
CHI SONO I PIÙ COLPITI? Il fenomeno non distingue tra età, sesso e colore: può coinvolgere chiunque. Peccato che non se ne parli abbastanza. «Le vicende che riguardano i minori fanno più discutere perché toccano il cuore. Ma esiste un grande “sommerso” di over 20» spiega Roberto Collovati, psicologo e autore del saggio Il bullismo sociale adulto e giovanile (Armando editore). «Anche l’ultima ricerca dell’Associazione americana di psicologia ribadisce che è un’emergenza che riguarda l’intera società. Tante vittime, oggi, sono 30enni soli, che non hanno più i genitori a fare da scudo alle aggressioni. Sono fragili e spesso sono stati perseguitati anche da piccoli».
I CONTESTI? Soprattutto università, uffici, quartieri: qui vanno in scena piccole violenze fisiche e verbali quotidiane, senza fine. Perché i bulli non danno tregua. Fanno dell’aggressività uno stile di vita. «Sette su 10 sono maschi e nell’80% dei casi hanno disagi comportamentali che si trascinano dall’infanzia» spiega Collovati. «Agiscono in modo subdolo. A differenza dei più giovani, sanno perfettamente che se esagerano rischiano una condanna. Quindi rimangono sul filo del rasoio: non arrivano ai pugni e ai calci che lasciano tracce visibili sul corpo, si limitano agli spintoni, agli scherzi quotidiani, alle pesanti prese in giro. Resta il fatto che queste angherie sono durissime da sopportare. Ma 9 volte su 10 non vengono denunciate, perché chi le subisce si chiude nel silenzio per vergogna e non confida a nessuno il proprio dramma».
Quali soprusi subiscono le vittime? E come aiutarle?
SUL GIORNALE CHE TROVATE IN EDICOLA QUESTA SETTIMANA (IL N. 41) ABBIAMO FATTO UN’INCHIESTA. CON DATI, TESTIMONIANZE E POSSIBILI SOLUZIONI.