Cinquemila anni di storia al maschile, i primi combattimenti nell’antico Egitto, eppure la lotta è uno sport da donne. Non si fanno arabesque sulle punte, non si lanciano cerchi in aria, non ci si libra sui pattini irradiando bagliori di paillettes. Eppure, la disciplina più antica del mondo sembra fatta su misura per le ragazze. Tipe gentili e carine, dai lineamenti morbidi e dalla voce sottile, che poi sono capaci di atterrarti in una frazione di secondo.
Come Francine De Paola , la speranza più bella e solare della Nazionale femminile di lotta. «Questo sport così maschile, perché amato da sempre soprattutto dagli uomini, ha tirato fuori tutta la mia femminilità. Penso che se avessi praticato un’attività diversa, non sarebbe successo» spiega Francine. «Con tanti maschi intorno, io ci ho sempre tenuto a essere e restare una femmina. Quindi niente allenamenti da talebana tutta pesi e palestra: lavoro sulla forza, ma quel tanto che mi serve. Perché nella lotta le carte vincenti sono altre: la velocità, la tattica e la tecnica».
La strategia degli scacchi. Non a caso, la chiamano “la gatta della lotta”. E non a caso, nel paradosso di questo sport da gladiatori, il combattimento tra donne è molto più spettacolare della versione maschile. «Tutto si svolge in tre round da due minuti, in cui la vittoria si fonda sulla rapidità delle scelte: in pochi decimi di secondo devi capire chi hai di fronte, decidere la strategia, anticipare le mosse dell’avversaria, creare le opportunità per attaccare. Una specie di gioco degli scacchi, dove però non hai tempo per rimuginare. Perché sulla “materassina” devi essere fulminea e imprevedibile». Anche gli uomini lo sono, ma le donne di più. «Chi è forte e muscolosa ma non flessibile, agile e scattante, alla fine soccombe. Per bloccare l’altra ai polsi, prima della potenza ci vuole l’astuzia: quella che ti fa prendere contatto con il corpo che hai di fronte, altrimenti neanche ti avvicini. E che ti permette di creare azioni di disturbo, in modo da prendere tu il controllo». E in questo le donne sono più scaltre, agili e tenaci.
L’astuzia dei felini. In un attimo Francine, come un felino, penetra nella difesa dell’avversaria, allunga un braccio sotto le sue gambe, la afferra per una caviglia e la fa cadere. Da qui a vincere, a parer suo è una questione di carattere. «Anche chi è a terra, in un attimo può avere il sopravvento. Tutto sta nel non mollare. Ho perso un punto? Allora ne riprendo un altro subito dopo. Il trucco è andare sempre all’attacco» conferma. Come nella vita. Lottatrice in quei sette metri del cerchio rosso del combattimento, lottatrice a casa, in famiglia, nel profondo di sé. Ha perso uno dei sei fratelli, anche lui campione; ha avuto un figlio a poco più di 20 anni; si è separata dal marito; le è scappata la qualificazioni alle ultime due Olimpiadi ogni volta per un soffio, e per gravi infortuni. L’ultimo, prima di Pechino 2008, l’ha lasciata immobile su un letto per due mesi. «Credevo di non poter neanche tornare a camminare. E invece sono di nuovo qua, pronta per Londra 2012» racconta orgogliosa Francine. «A ogni bastonata mi sono rialzata. Se non avessi fatto questo sport, non so se avrei avuto lo stesso coraggio. La lotta insegna a ribaltare la realtà: un momento sei a terra, faccia all’ingiù, e un secondo dopo prendi la situazione in mano. E vinci».
Il cuore delle donne. Le sue avversarie lo sanno. Francine è scaltra e decisa ma pulita. Le sue azioni sono sempre corrette, apparentemente brutali ma indolori. «Rispetto alle altre tecniche di combattimento, nella lotta non ci sono prese che fanno male, come nel judo, dove si immobilizza il collo» precisa la campionessa. «Noi, nonostante le apparenze, incarniamo la parte gentile delle discipline da contatto». La più completa, la più etica. La più femminile.