«Ogni parrocchia ospiti una famiglia di profughi» ha detto Papa Francesco per rispondere all’arrivo eccezionale di migranti in Italia: più di 120.000 persone dall’inizio dell’anno. Oggi i centri di accoglienza, secondo il ministero dell’Interno, ne ospitano 95.000. Servono posti, perché le strutture sono al collasso. La gara di solidarietà è partita: migliaia di famiglie sono pronte ad accogliere rifugiati. Rimettersi alla generosità degli italiani è una soluzione? Cerchiamo di capirlo insieme agli esperti e a coloro che le porte di casa propria le hanno già aperte.
CHI SI È FATTO AVANTI FINORA? Il telefono squilla ininterrottamente nelle 220 Caritas diocesane. «L’appello del Papa si è fatto sentire. Abbiamo ricevuto centinaia di chiamate di persone che si dicono pronte a ospitare un profugo» dice Oliviero Forti, responsabile immigrazione Caritas italiana (www.caritasitaliana.it). Già 2 anni fa l’organismo pastorale dei vescovi aveva avviato il progetto “Rifugiato a casa mia”. «Da allora 11 famiglie seguite dai nostri operatori, dal Nord al Sud Italia, hanno ospitato una quarantina di persone». La gara di solidarietà va dalle organizzazioni più grandi a quelle più piccole. «A Udine abbiamo già una decina di persone che si sono fatte avanti per aprire le porte della propria abitazione» dice Angela Lovat dell’associazione “Ospiti in arrivo” (http://ospitinarrivo.wix.com/ospitinarrivo). E in Toscana, la Regione ha istituito un numero dedicato (tel. 3316983061), che ha ricevuto 350 chiamate di famiglie pronte a mettere a disposizione una stanza.
IN CHE MODO SI DÀ LA PROPRIA DISPONIBILITÀ? «Non è pensabile che un migrante appena sbarcato a Lampedusa sia accolto da un privato. Non ci si può rimettere solo alla generosità della gente, serve la professionalità degli operatori» spiega Forti della Caritas. «È possibile ospitare un profugo dal momento in cui lo Stato accetta la sua domanda di protezione. E soprattutto non si agisce da soli: ci deve sempre essere un ente che faccia da tramite. «A Torino, prima città a sperimentare l’accoglienza in famiglia, le persone interessate si rivolgono al nostro Comune, vengono selezionate e formate per accogliere il migrante. Non ci si può improvvisare» spiega Salvatore Bottari, responsabile per l’assistenza sociale del Servizio stranieri del Comune (la mail è [email protected]). «Dal 2008 abbiamo accolto 171 persone, in 148 famiglie della città e della provincia. Il nostro è un modello che si sta diffondendo in altri Comuni, come Parma e Asti».
SI OTTIENE UN RIMBORSO? Per ogni straniero sotto protezione lo Stato spende circa 35 euro al giorno. «Con questo budget riusciamo a dare 413 euro al mese per vitto, alloggio e utenze alla famiglia ospitante, a riconoscere una quota all’associazione presente sul territorio che segue con noi il progetto e ad affrontare altri costi per il rifugiato, per esempio le spese per la formazione e i tirocini» spiega Bottari del Comune di Torino. Sottolinea Forti della Caritas: «Chi ospita non lo fa per profitto». Ma accogliere un rifugiato può avere effetti positivi sull’economia locale. In Val Camonica, in provincia di Brescia, 11 Comuni si sono accordati per occuparsi dei profughi in arrivo insieme ad associazioni della zona: gruppi di 5-6 migranti sono stati ospitati in appartamenti dati in affitto da privati. L’esperienza, raccontata nel libro appena uscito La Valle Accogliente (Emi), funziona da 4 anni. «Così, oltre a garantire a queste persone una ospitalità dignitosa, ci sono vantaggi anche per i nostri paesi Quello che lo Stato paga per i profughi va, per esempio, come affitto a nostri cittadini che danno le case» spiega Paolo Erba, sindaco di Malegno (Bs).
COSA SUCCEDE QUANDO UN MIGRANTE ARRIVA A CASA? «La famiglia che accoglie non è lasciata da sola. Gli operatori seguono costantemente il progetto e intervengono in caso di problemi» dice Forti della Caritas. «Finora abbiamo avuto solo 2 casi di allontanamento». Stefania Zanier dell’associazione “Ospiti in arrivo” di Udine, ha accolto 3 persone: 2 fratelli afghani di 10 e 12 anni e l’adulto a cui erano stati affidati. «Pensiamo che questa gente sia un pericolo, invece ha più paura di noi. Quando li ho ospitati, ho pensato: nei loro panni avremmo potuto esserci io o mia figlia». Irene Bertazzoni, educatrice alla Residenza Nuova Aurora di Torino, vive con un ragazzo pakistano di 18 anni: «Starà con noi almeno 6 mesi. Certo, gli equilibri in famiglia sono cambiati, ma io e mio marito siamo contenti di potergli dare una mano a trovare la sua strada. E lui sa come dirci grazie: ci cucina il chapati più buono che abbiamo mai assaggiato!».
QUESTO SISTEMA PORTA BUONI RISULTATI? «Stipare centinaia di persone nei centri o distribuirli negli hotel rischia di creare bombe a orologeria» dice Silvia Turelli, operatrice sociale della Cooperativa K-pax (www.k-pax.eu) che lavora in Val Camonica. «Ricordo quando 100 migranti furono confinati per 4 mesi a 1.800 metri in un albergo a Montecampione (Bs): inattivi, senza sapere nulla del loro futuro, stavano impazzendo e diventando aggressivi». Concorda Forti della Caritas: «Sentirsi accolti in una famiglia permette ai rifugiati di sviluppare rapporti umani, avere più possibilità per integrarsi. In alcuni casi può fare la differenza».