Capita molto spesso che, per evitare di esporsi alla possibilità di essere giudicati negativamente dagli altri, ci si trattiene dal dire ciò che si pensa, si evita di parlare durante le lezioni in classe o le riunioni di lavoro, si tengono per sé desideri e aspettative rispetto alla coppia invece che condividerli con il partner. Insomma, ci si limita ad adeguarsi senza troppe pretese, evitando accuratamente di proporre per primi un posto in cui andare a cena o il film da andare a vedere al cinema.
Questa paura del giudizio è molto spesso legata al desiderio di essere apprezzati da tutti in ogni momento. Ma poiché ciò è impossibile (nella complessa varietà del genere umano, ognuno reputa gradevole un’altra persona sulla base dei propri gusti e delle proprie compatibilità caratteriali), adottare un comportamento eccessivamente accomodante non fa altro che impedire l’espressione del proprio sé.
Abbiamo approfondito con il dottor Emanuel Mian, psicologo e psicoterapeuta presso il Centro Interdisciplinare Bariatrica e Obesità degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, responsabile scientifico dei Centri EmotiFood e autore di MindFoodNess, alcuni aspetti legati alla paura del giudizio.
Quali elementi influenzano il modo con cui guardiamo (e giudichiamo) gli altri?
Partiamo dal presupposto che guardare qualcuno o qualcosa non significa sempre necessariamente giudicarla e che giudicare non equivale sempre ad osservare con la dovuta attenzione, bensì a farlo mediante un “filtro”. Sotto l’aspetto psicologico è proprio questo filtro, questo paio di occhiali che utilizziamo per guardare il mondo, che comporta la visione dell’altro e di noi stessi in maniera giudicante.
Nel momento in cui facciamo dei confronti, però, tendenzialmente la nostra autostima è già in parte in bilico. Per esempio, quando guardiamo il vestito di qualcuno oppure l’auto di chi ci sta accanto fermo al semaforo, tendenzialmente lo facciamo per vedere quel qualcuno che ha qualcosa “in più” o di diverso da noi. È in quel momento che inizia il giudizio. Su noi stessi e sull’oggetto del nostro giudizio.
Qualsiasi confronto, tranne rarissimi casi, infatti, comporta un giudizio anche su noi stessi e con il tempo può portare ad un pregiudizio: questo “giudizio che precede la vera conoscenza” rappresenta quel pensiero automatico che ci può portare a pensare, spesso erroneamente, che gli altri notino un nostro difetto (che ai nostri occhi appare gigantesco, seppur nella realtà non sia affatto così) o ad etichettare automaticamente gli altri basandoci solamente su pochi o singoli elementi: il peso corporeo, il colore dei capelli, l’abito, la borsa, la collana.
Giudichiamo perché confrontiamo, confrontiamo perché pensiamo che questo possa migliorarci e spronarci a essere o fare di più, ma molto spesso questo porta unicamente ad auto-criticarci ulteriormente o, come strategia un po’ da “pettegoli”, a distogliere l’attenzione da un nostro difetto per spostarla su quello di chi ci sta di fronte.
Perché abbiamo spesso timore del giudizio altrui?
La paura del giudizio è radicata in tutti noi quanto la paura di sbagliare, perché rappresenta la strategia elettiva al fine di evitare una emozione che per tutti gli esseri umani è poco tollerabile: la vergogna.
Questa emozione ha radici profonde e antiche perché rappresenta universalmente l’ammissione di un errore. Se fossimo uomini delle caverne, combinare un guaio nella tribù poteva equivalere ad essere cacciati dalla caverna e forse ad essere condannati ad una morte certa o ad una vita fatta di stenti, senza fuoco, senza compagnia degli altri membri, senza condivisione della cacciagione o dei frutti dell’agricoltura comune. In sintesi, un’esclusione certa. Diventare rosso in volto, abbassare il capo e quindi vergognarsi, equivaleva ad ammettere davanti alla tribù di aver sbagliato e quindi ad evitare, eventualmente, un’esclusione che poteva risultare anche fatale.
D’altro canto, a nessuno piace diventare rosso in volto e non riuscire a reggere lo sguardo giudicante di chi sta di fronte, vero? Bene, fondamentalmente il desiderio di perfezione, di assenza di errori o difetti nel comportamento o nell’apparire, è legato a questa emozione che non molti riescono a reggere.
Come superare la paura di essere giudicati?
La prima semplice strategia è quella di cambiare punto di vista. Se usate solo i vostri “occhiali”, vedrete solo in un determinato modo il mondo intorno a voi, con i limiti che questo comporta. Penserete inoltre che anche gli altri vi giudicheranno esattamente come voi stessi vi giudicate.
Un consiglio ancora più utile, è quello di smettere di giudicare gli altri. Fondamentalmente il giudizio ci porta poi ad essere spesso malevoli piuttosto che benevoli, giusto?
Un’altra strategia può essere quella di non curarsi di ciò che dicono gli altri, ma funziona poco. Io consiglio di preoccuparsi del giudizio altrui solo se proviene da qualcuno di autorevole che, è bene ribadirlo, deve essere una persona che non critichi unicamente, ma che possa anche essere in grado di dare un feedback positivo in caso di successo o miglioramento.
Avere accanto perennemente un critico che ci dica continuamente che siamo “capre”, non serve a uscire da questo timore, ma anzi può essere controproducente. Se convivete con questo tipo di persone o le avete in famiglia (madre, padre o sorelle), provate a capire per quale motivo vi dicono questo e a chiedere come starebbero se si sentissero spesso criticate: forse qualcosa potrebbe smuoversi in loro, ma anche in voi.
Infine, sperimentate la vergogna. Ci sono molti esercizi per sperimentare livelli minimi di questa emozione, come dare un importo sbagliato all’edicolante e andarsene attendendo che ci fermi e ci dica che ci siamo sbagliati, così come fermare qualcuno per la strada fingendo di averla scambiata per un’alta persona, oppure uscire di casa con una scarpa diversa dall’altra o cantare in mezzo alla strada.
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