Siamo il Paese della burocrazia implacabile, della giustizia lenta e del concorsone pubblico, dove il primo obiettivo è uscirne vivi. Altro che vincerlo. Esagerato? Chiedetelo ai 1.750 candidati per 40 posti da infermiere all’Umberto I di Roma, che il 13 luglio si sono visti rimandare a casa a due ore dall’inizio della prova, poiché solo quella mattina il Consiglio di Stato aveva trovato il tempo di pronunciarsi sui ricorsi. In barba a chi aveva viaggiato in treno, di notte, o si era pagato un albergo, provenendo da tutta Italia. Il quotidiano Il Sole 24 Ore, di recente, ha pubblicato un dato shock: il Tar esamina in media 1.000 fascicoli l’anno relativi a ricorsi su selezioni pubbliche. Eppure, siamo sempre lì. Ad ogni bando che si apre, ci provano in migliaia, sperando nell’agognato posto pubblico. Quello che ti sistema per la vita.

Poche chance di vincere un concorso, ma molti tentano

«Piano, però, con i luoghi comuni» frena Giorgio Gusetti, sociologo del Lavoro, docente all’università di Verona. «Quella dell’italiano pigro, che cerca la poltrona statale, è un’immagine vecchia. Tutti, a partire dai giovani, stanno digerendo il fatto che il mercato è incerto e che si dovrà cambiare lavoro anche 3 o 4 volte nelle vita. Allo stesso tempo, la precarietà spaventa. La disoccupazione è sopra l’11%, quella giovanile sopra il 35% ma supera il 50% in molte Regioni del Sud. Per anni abbiamo glorificato la snellezza del nostro tessuto industriale, fatto per l’80% di micro imprese. Con la crisi, però, ci siamo accorti che queste sono le prime a chiudere i rubinetti delle assunzioni. E allora sì, diplomati, laureati e lavoratori già attivi, ma insoddisfatti, vedono il concorso pubblico come un’occasione per svoltare».

La cronaca lascia l’imbarazzo della scelta. In questi giorni è nel vivo un concorso per infermieri a Genova, per 150 posti. Si erano iscritti in 12.000. La Banca d’Italia ha portato da 30 a 60 i posti a disposizione come vice assistente dopo aver ricevuto 8.500 iscrizioni. E si scaldano i motori per quello che promette di essere il clou del biennio 2017-2018: il maxi concorso Inps, promesso dal presidente Tito Boeri, per 900 nuovi funzionari.

Meno ressa, più Internet

«Diciamola tutta. I concorsi, per come sono svolti oggi, sono alla frutta» taglia corto Raffaella Saporito, direttore alla Sda Bocconi di Milano dell’Emmap (Executive master in management delle amministrazioni pubbliche). «Basterebbe fare quanto già è in uso per i bandi europei. Si distribuiscono i candidati, allo stesso giorno e stessa ora, in diverse sale sparse sul territorio». Poi c’è la tecnologia. «In molti Paesi la preselezione e la prima prova si possono svolgere online da casa».

Domanda banale: così non c’è il rischio che il candidato copi la risposta da un libro o da Google? «Certo, se intendiamo il solito quiz a crocette tipo patente» prosegue la docente. «In Gran Bretagna, per esempio, sono frequenti le cosiddette prove “in-basket”, quelle che simulano situazioni concrete che possono presentarsi in una giornata di lavoro. Al candidato viene posta via mail una problematica che lui deve risolvere, senza che ci sia una risposta giusta, che esclude tutte le altre». Detta così pare semplice. Ma in un Paese in cui basta un cavillo per bloccare tutto, rischia di restare utopia. «In effetti, in Italia può sembrare ci sia un eccesso di ricorsi. Ma spesso sono giustificati e derivano dall’incompetenza di chi organizza gli esami» racconta Francesco Leone, avvocato dello studio Leone-Fell, specializzato in questo tipo di vertenze. «Un caso frequente? Il Tar interviene per correggere un bando. L’anno dopo lo stesso ente ne emana un altro, identico, di nuovo bloccato dai giudici. Solo perché il funzionario di turno non è andato oltre il copia-incolla».

Piccole modifiche, timide speranze

Qualche contromossa, per la verità, il governo la sta tentando. La cosiddetta “riforma Madia” tocca anche i criteri di scelta del personale nei concorsi e dovrebbe dare più peso all’esperienza lavorativa pregressa e al dottorato in aggiunta alla laurea, oltre a mettere in primo piano l’inglese. Ma il Consiglio di Stato ha già bollato come “troppo timido” questo intervento. Che, in più, contiene un effetto collaterale, la stabilizzazione di molti precari con contratto a termine, i quali finiranno per passare davanti a chi da anni aspetta il posto pur avendo passato una selezione. Come alla Regione Puglia, dove i 200 vincitori del bando Ripam 2014 sono ancora fuori.

Ma la speranza è l’ultima a morire e si parte lo stesso per tentare il colpaccio. M., laureata l’anno scorso a Napoli e pronta per la prova-infermieri a Torino, ci scherza su: «Chi sale in treno con me?» Mentre G.M., 39enne spezzina in attesa del bando Inps, sospira. «Sarà il mio terzo concorso. In uno mi hanno bocciata, mentre all’Agenzia delle Entrate ho passato il test ma non sono entrata per via dei numeri limitati. Ora aspetto l’esito di una class action» racconta, mentre confida timidamente che dipendere ancora dalla madre non è il massimo. «Comunque non si deve partire prevenuti. C’è spazio per chi merita e si può vincere».

I CONCORSI PUBBLICI, IN NUMERI

1.000 – I ricorsi annui (molti collettivi) esaminati da Tar e Consiglio di Stato relativi ai concorsi pubblici.
570 milioni di euro: è il «business parallelo” generato ogni anno dai concorsi: siti e libri che offrono test preparatori e questionari, avvocati specializzati nei ricorsi, alberghi, ristoranti, palazzetti dello sport e bibitari.
3,3 milioni: è il numero dei dipendenti pubblici in Italia. L’età media è 50 anni e 3 mesi. Nei prossimi 5 anni il 5% di loro (poco meno di 200.000 addetti) dovrà essere rimpiazzato.

Fonti: Aran, Adiconsum, TrueNumbers.tv