Carmine Pagnozzi, ingegnere ambientale e direttore generale del consorzio nazionale Biorepack, non ha dubbi: «La nostra è una filiera innovativa, che si inserisce nell’ambito della bioeconomia circolare e offre la possibilità di un fine vita sostenibile agli imballaggi in bioplastica, sempre più diffusi non solo fra le buste della spesa o dell’ortofrutta ma anche manufatti rigidi come piatti, posate, bicchieri…». Biorepack è infatti il consorzio che in Italia supervisiona il riciclo organico delle plastiche biodegradabili e compostabili. Ed è il primo al mondo, in questo settore.

Intervista a Carmine Pagnozzi, direttore di Biorepack

Foto di Leo Torri

Direttore, il vostro ruolo in questo settore qual è?

«Attuare una promozione del riciclo degli imballaggi in bioplastica all’interno della frazione di rifiuti organici. Una frazione particolare, perché connessa con un’azione domestica quotidiana di cucine e mense, quindi molto frequente. Ci tengo però a precisare che noi di Biorepack non siamo il consorzio dell’intera filiera del rifiuto umido ma solo dell’imballaggio: tipicamente il sacchetto della spesa, compostabile e certificato, che si usa per buttare l’organico».

La vostra azione in che cosa consiste, di preciso?

«Noi lavoriamo per ottimizzare la gestione a fine vita degli imballaggi in bioplastica compostabile. Per fare ciò, stipuliamo accordi con i comuni e i gestori della raccolta, riconoscendo loro corrispettivi economici a copertura dei costi di raccolta differenziata. Il nostro obiettivo è migliorare la qualità della raccolta, facendo sì che minori impurità possibili vadano a finire dentro al rifiuto organico ed evitando che imballaggi di bioplastica vengano invece conferiti all’interno di altre raccolte come quella dell’indifferenziata. In questo modo aumentiamo i nostri tassi di riciclo, che consentono di produrre e massimizzare il compost».

A che cosa serve?

«Viene utilizzato come fertilizzante naturale in agricoltura. Si tratta di un materiale ottenuto dalla decomposizione di materiali organici come scarti di cucina, residui vegetali e foglie che, attraverso un processo svolto da microorganismi, si trasformano in una sostanza ricca di nutrienti, simile al terriccio, utile per migliorare la qualità del suolo e favorire la crescita delle piante».

Come evitare gli errori della raccolta differenziata

Quali sono le “impurità” maggiori che finiscono nell’umido e che rendono più difficoltosa la trasformazione in compost?

«In primo luogo i materiali non compostabili come plastiche, vetro e metalli. E poi componenti come mozziconi di sigarette e le lettiere silicee minerali dei gatti, che sono di difficile gestione perché si disperdono nei flussi e si aggregano ad altre componenti umide formando vere e proprie zolle. Purtroppo, per riuscire a fare bene la raccolta differenziata dentro casa bisogna porre molta attenzione. E, nel dubbio, meglio buttare nell’indifferenziato».

Alcuni prodotti definiti “organici” o “bio” generano talvolta un po’ di confusione.

«È vero, infatti si sta lavorando a una direttiva europea che limiti queste diciture. Prodotti come assorbenti e salviette per il trucco possono essere definiti “compostabili” solo se certificati con la normativa EN13432, che garantisce il rispetto di determinati standard e fa in modo che, qualora quel prodotto venga conferito nell’umido, si trasformi in compost. Per supportare e rendere più facile questo “riconoscimento” da parte del cittadino, a breve introdurremo un marchio di facile comprensione per aiutare i cittadini a differenziare correttamente i prodotti compostabili».

Quanto compost si riesce a ricavare dai rifiuti organici?

«Le tonnellate di frazione umida – inclusi gli imballaggi in bioplastica – che si riescono a raccogliere annualmente in Italia sono cinque milioni. Da cui, poi, ogni anno si ottengono circa due milioni di tonnellate di compost».

Il compost serve anche a risparmiare la Co2 prodotta dalla combustione dei rifiuti.

«Esatto. E sono 5,6 milioni le tonnellate di Co2 risparmiate ogni anno grazie al compost prodotto dal riciclo dei rifiuti organici in Italia. Per intendersi: questa quantità corrisponde all’energia consumata annualmente da circa 700mila abitazioni e, per assorbirla, servirebbero 93 milioni di alberi piantati e la- sciati crescere per un anno».

Dove lo butto? I consigli

  • Che cosa si butta nell’organico? «Nell’umido ci vanno avanzi di cibo, bucce di frutta e verdura, spine, ossi, gusci di frutti di mare… In più si possono gettare nell’organico i sacchetti, le stoviglie e le posate in bioplastica, purché certificate con la normativa UNI EN 13432. Tutto il resto deve andare in altri flussi di riciclo o nel sacco dell’indifferenziato» spiega Carmine Pagnozzi, direttore generale del consorzio nazionale Biorepack.
  • E la carta da cucina o le bustine del tè? «La carta va nella carta, così come i cartoni della pizza, a meno che non siano certificati EN 13432. Idem le bustine del tè, anche se a breve entrerà in vigore una legge che le renderà obbligatoriamente compostabili».
  • Gli scarti del giardino vanno buttati a parte? «Dipende: se si tratta di una quantità domestica – come i residui di piante e fiori del balcone di casa – può essere messa nell’umido. I resti di potature e di operazioni di giardinaggio vanno invece portati all’isola ecologica».
  • Quali sacchetti e contenitori devono essere usati per l’organico? «Il contenitore è indifferente purché al suo interno si utilizzino i sacchetti compostabili certificati, come quelli che ci danno alla cassa del supermercato».
  • Dai sacchetti dell’ortofrutta bisogna prima togliere l’etichetta con il prezzo? «Se anche l’etichetta è compostabile, no. Solo per citare un esempio, i supermercati Esselunga e Conad hanno le etichette compostabili. In caso contrario, sarebbe ideale rimuoverla. Tuttavia, è lo stesso Consorzio Italiano Compostatori a dire che, se la raccolta è fatta bene, non è certo un’etichetta a rovinare il processo».