Secondo un nuovo studio pubblicato su Global Change Biology, gli ecosistemi unici dell’Antartide sono sempre più a rischio a causa di specie marine non autoctone e dell’inquinamento trasportato dalle terre emerse dell’emisfero australe.
Il rischio per le specie autoctone dell’Antartide
I ricercatori hanno scoperto che i detriti galleggianti, tra cui plastica e materiali organici, possono trasportare specie invasive nelle acque antartiche. «Gli habitat marini e terrestri dell’Antartide sono rimasti isolati dal resto del pianeta per milioni di anni», spiega a Newsweek Kevin Hughes, responsabile della ricerca e del monitoraggio ambientale presso il British Antarctic Survey. «Questo isolamento – continua Hughes – significa che le specie autoctone non sono abituate alla competizione e potrebbero soccombere a quelle invasive provenienti da altre parti del mondo».
Trasportati dalla plastica
Lo studio rivela che specie non autoctone, in particolare piccoli invertebrati marini, possono agganciarsi a oggetti galleggianti come alghe, legni, pomice e plastica, raggiungendo la costa antartica non solo dalle remote isole dell’Oceano Antartico, ma anche da luoghi lontani come Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica e Sud America.
«Una crescente abbondanza di plastica e di altri detriti prodotti dall’uomo negli oceani, significa che ci sono potenzialmente più opportunità per la biota di raggiungere l’Antartide», afferma l’autrice principale dello studio, la dottoressa Hannah Dawson dell’Università del Nuovo Galles del Sud, in Australia.
Le implicazioni per gli ecosistemi antartici
«L’Antartide è un continente che sembra fatto apposta per la ricerca – spiega Hughes -. Gli studiosi lo ‘utilizzano’ come laboratorio naturale per testare teorie scientifiche su molti argomenti, ecologia compresa. Ciò diventa più difficile se il suo ecosistema si rende più complesso a causa dell’introduzione di specie non autoctone».
Lo studio sul movimento dei detriti
Il team di ricerca ha utilizzato modelli oceanografici, monitorando il movimento dei detriti galleggianti per quasi due decenni, per comprendere come questi oggetti possano raggiungere le coste antartiche. «Abbiamo rilasciato milioni di particelle virtuali, che rappresentano oggetti alla deriva da ciascuna delle masse terrestri di origine modellando le loro traiettorie attraverso 19 anni di stima delle correnti oceaniche superficiali e delle onde», spiega la ricercatrice Adele Morrison.
Perché l’Antartide è così “attaccabile”?
I risultati suggeriscono che la punta della penisola Antartica è particolarmente vulnerabile, in quanto ha temperature oceaniche relativamente calde ed è spesso priva di ghiacci, il che la rende un probabile primo punto di insediamento per specie non autoctone. La costante riduzione del ghiaccio marino antartico, che agisce come una barriera impedendo a molte specie di colonizzare il continente, accresce queste preoccupazioni.
Tuttavia, con meno ghiaccio, gli organismi viventi attaccati ai detriti galleggianti potrebbero trovare più facilmente la possibilità di raggiungere e stabilirsi in Antartide, con il rischio di compromettere gli ecosistemi locali. Una volta lì, le temperature più calde potrebbero facilitare l’insediamento delle specie.
«La preoccupazione causata dal cambiamento climatico è che rende l’Antartide meno ‘estremo’, il che aumenta la probabilità che le specie introdotte si stabiliscano», afferma Hughes. «Le specie stabilite si riprodurranno e si diffonderanno, con potenziali impatti negativi sulle specie autoctone».
Ridurre l’inquinamento
Anche se alcune rotte verso l’Antartide non potranno mai essere completamente interrotte, ridurre il flusso di specie verso il continente meridionale può aiutare a proteggerne l’ambiente. «Maggiore è la quantità di plastica, più grande è la probabilità che le specie vengano trasportate con successo», conclude Hughes.