La neve non c’è più
Strisce bianche su campo verde. La declinazione cromatica dello sci, stagione 2022/23, passa da qui, e se non è una notizia (non lo è: sono anni che succede), al termine dell’inverno più caldo di sempre, fa comunque storia a sé.
Siccità e riscaldamento globale
Una storia che racconta di un disastro perfetto, in cui il riscaldamento globale e la siccità si sommano alla peggior crisi energetica della storia europea, e l’innevamento artificiale – indispensabile e non sempre sufficiente – finisce sul banco degli imputati in un gioco infinito di cause ed effetti. Sotto scacco i comprensori di tutto l’arco alpino, Francia e Germania in testa, dove qualcuno comincia a chiedersi: quanto durerà ancora lo sci per come lo conosciamo?
Federica Brignone e lo sci
Federica Brignone, che a scivolare sulla neve ha dedicato la vita intera, la domanda preferisce evitarla: dice che neanche i climatologi hanno una risposta certa, figuriamoci un’atleta. Anche se l’atleta in questione è la sciatrice italiana più forte (record di podi in Coppa del mondo: 55; unica ad aver vinto un titolo generale oltre a 3 di categoria, 3 medaglie olimpiche e 3 mondiali) e un’attivista per l’ambiente di lungo corso. Che qualche tappa di Coppa del mondo potesse saltare, dice, lo si metteva in conto, certi eccessi però no. «In Slovenia non c’era nemmeno la neve per mettere gli sci in partenza. Dovevi arrivare davanti al cancelletto per infilarli».
Intervista a Federica Brignone
In Francia, quest’anno, metà delle piste sono rimaste chiuse. «Anche in Valle d’Aosta non ce le passiamo bene: in alto neve ce n’è, ma appena scendi trovi i prati verdi. Un giorno fa freddo, la settimana dopo ci sono 20 gradi in più».
Secondo molti, la fine dello sci è segnata: sarebbe solo una questione di tempo. «Il rischio esiste. La certezza del futuro, però, non ce l’ha nessuno. Certo, in questi ultimi due anni, in cui di neve ne abbiamo vista poca, è stato necessario usare quella artificiale con un consumo di acqua e di energia importante».
E infatti lo sci è entrato nel mirino degli ambientalisti. L’avrebbe mai pensato?
«Personalmente, mi sembra un’esagerazione. In termini assoluti, l’impatto ambientale dello sci è minimo: prima di mettere sotto accusa l’innevamento artificiale, andrebbero risolti altri problemi. È vero che lo sci è un divertimento, ma dà lavoro a tante persone, dal comparto sportivo a quello turistico».
Con temperature troppo alte, anche l’innevamento artificiale è fuori gioco. In Francia molte stazioni stanno pianificando un futuro alternativo.
«Non si può prevedere quello che succederà. Magari avremo stagioni più corte o sposteremo le piste più in alto. Oggi però, pur con qualche difficoltà, sciare resta fattibile e bello. E dobbiamo augurarci tutti che continui così, altrimenti sarebbe un disastro economico».
Com’è nata la sua vocazione ambientalista?
«Il rispetto per l’ambiente è stato parte dell’educazione che mi hanno trasmesso i miei genitori. Sono nata in città, a Milano, ma ci siamo trasferiti in Valle d’Aosta, a La Salle, quando ero piccola. Sono cresciuta lì, in mezzo alla natura, e i cambiamenti attorno a me li ho visti anno dopo anno. Appena ho potuto, mi è sembrato giusto fare la mia parte».
In che modo?
«Prima di tutto, facendo attenzione a come vivo: riciclo il più possibile, limito lo spreco del cibo, vivo con il riscaldamento bassissimo. E poi, dal 2017, ho messo la mia immagine a servizio di questa causa con “Traiettorie liquide”, un progetto di sostenibilità ambientale che parla di inquinamento dell’acqua, scioglimento dei ghiacciai, uso delle risorse. Ogni anno scegliamo un tema e scattiamo con il fotografo Giuseppe La Spada un servizio di denuncia».
Le foto del 2017 di lei con gli sci sott’acqua hanno fatto il giro del mondo. «
Sono state scattate a Lipari. Volevamo accendere un focus sui mari: l’inquinamento, gli animali morti per l’ingestione della plastica, la pesca intensiva. Gli sci sott’acqua ci sembravano una bella idea. Ma ho quasi rischiato di affogare…».
Perché ha iniziato la sua campagna ambientalista dal mare?
«Perché è la mia grande passione quando non scio. Sarà che mio papà è ligure, ma l’acqua è il mio ambiente naturale. Facendo surf e kitesurf ho visto plastica ovunque. E quando sono in spiaggia, passo il tempo a raccogliere i rifiuti: fino a qualche anno fa la gente mi guardava come fossi matta».
A giugno 2020 si è fatta fotografare con la Coppa del mondo appena vinta tra le pietre che un tempo erano state un ghiacciaio.
«Era stata una stagione magica: ogni settimana aggiungevo punti, finché è scoppiato il Covid e hanno interrotto tutto. Io ero in testa alla classifica e ho vinto. Quella Coppa è sempre stata il mio sogno perché dice chi è lo sciatore più forte, e mi è arrivata a casa per posta. Non ho potuto alzarla né festeggiare. Portarla lassù mi ha dato un senso».
Erano 2 anni prima della tragedia sulla Marmolada.
«L’impatto del riscaldamento globale sui ghiacciai è evidente da anni. Il ghiacciaio a Les Deux Alpes dove sciavo da bambina non esiste più: è solo una distesa di roccia. Sul Monte Bianco, al fondo della Vallée Blanche, c’è un dislivello di 500 gradini e lungo la strada ci sono le tacche di dove arrivava il ghiacciaio anno per anno. Dal 2005 a oggi c’è una differenza di quasi 200 metri».
C’è voluta quella tragedia per capire che la montagna soffre?
«Chi frequenta regolarmente i ghiacciai lo sa da 30 anni. Anche in montagna coscienza ambientale ce n’è poca: dai turisti che organizzano le gite e lasciano rifiuti ovunque a quelli che salgono sui ghiacciai senza idea dei rischi. Ma finché non succede l’irreparabile nessuno se ne cura».
L’ultima “Traiettoria” è dedicata alla decarbonizzazione.
«È un appello a consumare meno energia perché la Terra respiri di più: evitiamo l’aria condizionata, abbassiamo i riscaldamenti e magari facciamo qualche doccia in meno. In casa mia il termometro non sale mai oltre i 18 gradi. A me piace così, ma è uno sforzo che tutti possiamo fare».