Il Festival di Venezia 2023 omaggia gli anni ’50 con pellicole dell’epoca, appena restaurate. Nella sezione Venezia Classici, martedì 29 agosto hanno pre-aperto la mostra due film con protagonista Gina Lollobrigida, scomparsa a gennaio scorso: Portrait of Gina di Orson Welles del 1958 e La Provinciale di Mario Soldati del 1953. Sabato 2 settembre, invece, sempre tra i restauri, è atteso Bellissima di Luchino Visconti del 1951, con un’intensa Anna Magnani.
Ma l‘atmosfera vintage compare anche nel film in concorso Priscilla di Sofia Coppola, che è l’adattamento cinematografico del memoir Elvis and Me, scritto da Priscilla Presley, la vedova del re del rock’n’roll. Il genere musicale rivoluzionario che nasceva proprio negli anni ’50. Insieme alla televisione, agli elettrodomestici, al caffè al bar e a tutta una serie di piccole grandi innovazioni sociali, che si riflettono nella moda e nella bellezza dell’epoca.
Sarà perché incarnano il principio della modernità e al contempo conservano il gusto di un passato passato, sarà perché segnano la metà del secolo scorso, fatto sta che gli anni ’50 affascinano ancor oggi. E l’estetica, con il suo stile ben definito, non ne è esente.
Bellezza stile anni ’50
Bon ton da un lato e pin-up dall’altro lato: è questa in sintesi l’estetica degli anni ’50. Un dualismo contraddittorio che risente di un’epoca che cerca di redimersi dalle brutture della seconda guerra mondiale e anela a ricostruire un mondo più vivibile.
Dalle acconciature al trucco, la bellezza anni ’50 esprime gioia di vivere (o di rivivere) con una rivisitazione del buon gusto manieristico, tipico del decennio appena trascorso. Se negli anni ’40 il cinema calcava la mano sul look da bambola eterea (si pensi a Marlene Dietrich o a Greta Garbo), negli anni ’50 le pellicole propongono un’immagine femminile più “terrena” composta da una perfezione solo apparentemente più smussata. Sono gli anni della spensieratezza di Vacanze Romane con Audrey Hepburn, ma anche della genuinità, a volte un po’ amara, di Poveri ma Belli di Dino Risi.
Il benessere economico del boom doveva mostrarsi nel corpo sinuoso, di cui la moda accentua la tipica forma a clessidra, molto femminile e mai volgare, con abiti dalla vita segnata e scollature a cuore. Anche il viso, con le guance paffute alla Doris Day, è il simbolo di un’estetica votata alla ricostruzione post-bellica.
Il trucco anni ’50: l’eyeliner e le sopracciglia ad ala di gabbiano
Gli anni ’50 lanciano l’eyeliner su larga scala, complice la nascita delle grandi case cosmetiche che lo rendono un cosmetico alla portata di tutte, e non più esclusiva del cinema. L’inconfondibile tratto nero si ispessisce, sottolineando tutto il contorno superiore dell’occhio fino ad allungarsi leggermente verso l’alto. In Italia, Sophia Loren e Gina Lollobrigida ne sono le maggiori interpreti, le quali sperimentano i primi trucchi in stile sguardo da gatta. Con Hollywood l’eyeliner diventerà un paradigma del make-up, ancor oggi imitato a più riprese. L’abbinamento alle ciglia finte aumenterà l’impatto scenico di un trucco tanto semplice quanto indovinato.
Novità anche nelle sopracciglia, che da sottilissime degli anni ’40 diventano spesse e ben angolate con Marilyon Monroe, Liz Taylor e la già citata Audrey Hepburn. È in questo decennio che nasce la moda delle sopracciglia ad ala di gabbiano, pettinate verso l’alto e regolate ad arte per rendere più espressivo l’occhio spalancato sul mondo in ricostruzione. Ovviamente non mancano personali interpretazioni tese alla naturalezza del look: Ingrid Bergman porterà le sopracciglia garbatamente incolte, Grace Kelly ne smusserà gli angoli con dolcezza e Ava Gardner esaspererà la sua naturale forma ad arco.
L’incarnato di porcellana versus il viso acqua e sapone
Grazie alle innovazione tecnologiche, il cinema del decennio post-bellico affina la capacità di riprendere la realtà più vera e al contempo la magia di rappresentare il sogno in celluloide. La macchina da presa inquadra con più nitidezza la bellezza delle attrici fin nei pori della pelle (o delle occhiaie come nelle scene del Neorealismo). Da qui l’ossessione della perfezione dell’incarnato, che nell’estetica degli anni ’50 appare di porcellana. Il colorito è chiaro d’inverno, se non lunare, e lievemente ambrato d’estate. Ma il trucco è presto svelato: il fondotinta moderno nasce proprio in quel periodo con i pan cake di Max Factor, delle pratiche cialde di pasta compatta coprente che sostituiscono l’importabile cerone degli anni ’30 e ’40.
Oltre all’ideale di perfezione, gli anni della ripresa celano un’indubbia contraddizione, svelata proprio dal cinema. Il Neorealismo italiano, con Roberto Rossellini e Vittorio De Sica, mostra un quadro disgregato, lasciato dalla guerra. E così le attrici dei film “meno sognanti” mostrano visi realistici, per nulla truccati, in cui ci si poteva riconoscere: su tutte Silvana Mangano e Anna Magnani, della quale è divenuta celebre la frase sulla bellezza autentica: «Lasciatemi tutte le rughe, ci ho messo una vita a farmele”. La Mostra di Venezia 80 omaggerà la corrente cinematografica italiana del dopo-guerra con Bellissima di Luchino Visconti del 1951, appena restaurato.
La bocca a cuore
Nonostante i film in bianco e nero, dagli schermi del cinema e della neonata TV il colore si intuisce. Soprattutto nel rossetto. Rosso scarlatto, appena lucido, per Liz Taylor e Marilyn Monroe. Corallo per Grace Kelly (la cui amata tonalità viene ancora prodotta da Estée Lauder). In tutte le nuance rosate per le italiane. Color carne o, se si preferisce, nude per Brigitte Bardot, la quale traccia per prima le linee della fortunata moda degli anni a venire del contorno labbra in evidente stacco. Un sondaggio americano del 1951 rivela che la maggior parte delle ragazze usa il rossetto. La novità dell’epoca? La bocca ben disegnata a cuore, indice di una bellezza un po’ leziosa che torna a piacere ancor oggi.
Capelli anni ’50, tra onde e tagli corti
Onde morbide e tagli medio-corti, questi gli stili dei capelli anni ’50. Anche in questo caso, la morbidezza delle linee, che si addolcisce rispetto al rigore degli anni ’40, simboleggia il boom economico. Se Rita Hayworth nell’immediato dopoguerra mostra impomatati boccoli rotondi, le dive a venire ne spettinano leggermente la forma. Ecco quindi onde appena accennate o riccioli disciplinati con leggerezza. Ma più di tutto a colpire è la lunghezza, anzi brevità dei capelli, segno di modernità e di emancipazione femminile. Come dire: “non siamo meno affascinanti se ci tagliamo i capelli”. Erano gli inizi di una rivoluzione dei costumi che stava per compiersi di lì a poco.
Con Brigitte Bardot e Claudia Cardinale gli stilyng dell’epoca pongono le basi della “cofana”, l’acconciatura voluminosa sulla sommità della testa che negli anni ’60 troverà la sua massima esplosione. Le pettinature bon ton cedono gradualmente la loro compostezza a un disordine voluto che cela benissimo la sua costruzione ad arte. Sono i prodromi di una ribellione alle regole imposte da un’estetica un po’ severa e d’antan degli anni ’40. In questo scenario di apertura al nuovo si insinua la coda di cavallo raccolta da un foulard che funge anche da fascia.
L’eredità delle attrici anni ’50
Insomma, gli anni ’50 nella moda e nella bellezza lasciano un’eredità che continua a ispirare i look di donne di tutte le età e in tutto il mondo. È il decennio che ha “sistematizzato” la categoria del buon gusto attraverso un’iconografia ben riconoscibile: la sinuosità delle forme si è perfettamente intrecciata all’eleganza degli abiti, delle acconciature e del trucco. Non resta che riconoscerne l’assoluto fascino che, a distanza di oltre 60 anni, non smette di spegnersi. Nemmeno al Festival del cinema di Venezia 80°.