Grasso è bello? E perché no!
Se andiamo a vedere i canoni di bellezza di una sessantina di anni fa, il fascino di una donna risiedeva tutto nelle sue forme, non a caso icone di bellezza come Marilyn Monroe e come Sophia Loren vantavano linee ben distanti dalle attuali taglie 38. Eppure oggi già chi sfiora la 46 entra in crisi esistenziale, ingurgitando pillole dimagranti e mandando giù sbobbe panciapiatta come fossero miracolosi elisir di bellezza.
Va bene, inutile negarlo, viviamo nell’era delle top scheletriche e dello spazio tra le cosce, l’era in cui una modella digiuna 48 ore prima di una sfilata o non le si vedono le costole a dovere mentre si accinge a varcare la passerella. L’era in cui a dieta ci si mettono le 12enni, le 20enni, le 50enni, le 70enni e basta così, perché chi ha superato quest’età probabilmente ha patito la fame del dopoguerra e di digiunare ancora non ne ha la minima intenzione.
Ma quanto siamo sicure che l’agognata taglia 40 sia la perfezione? Insomma, negli anni ottanta andavano di moda le spalline a materasso e le fasce colorate sulla fronte, manco stessi per iniziare una lezione di aerobica con Jane Fonda, eppure non erano tutto questo granché.
Ci si ostina a seguire regimi alimentari proibitivi e limitanti, con la scusa che lo si fa per la salute, ma è davvero per la salute che ci si impegna tanto?
“L’aspetto fisico ha sempre contato molto” spiega Giovanna Celia, psicologa, psicoterapeuta e direttore didattico del Centro Internazionale di Psicologia e Psicoterapia Strategica (CIPPS) di Salerno, “ma sembra che, dagli anni ottanta in poi, non conti nient’altro. È sempre più evidente che il contenitore si è completamente sostituito al contenuto. Non è un caso che di disturbi alimentari si sia cominciato a parlare dalla fine degli anni ottanta: prima di allora era un fenomeno veramente poco diffuso e discusso, perché poco incidente”.
Oggi ad imporci come dobbiamo fisicamente essere ci pensano direttamente i mass media: magre da ambire ad una taglia 0-12 ma tettute come matrone, alte preferibilmente sopra il metro e settanta ma con la giusta proporzione busto-coscia. Bionde o more non fa la differenza, perché ringraziando il cielo Striscia ci propone parimenti entrambe le versioni. E poi ancora ricche, spietate, sicure e disinibite. Tutte inevitabilmente uguali. Perché è la diversità che spaventa, è cantare fuori dal coro che terrorizza.
Tumori: peggio il sovrappeso delle carni rosse
“Le donne in sovrappeso si sentono o sono fatte sentire inadeguate, sgraziate, brutte, non attraenti, volgari, goffe.” continua la dottoressa Celia, “Come se alla magrezza si coniugassero la grazia, l’eleganza, la bellezza, l’agilità, la sensualità. Quelle descritte sono attribuzioni arbitrarie cui ci si può opporre con determinazione. Affermando con orgoglio la propria diversità, sia che si tratti di peso, di altezza, di razza, di cultura, di orientamento sessuale, di religione. Da sempre la società impone omologazione ma è un processo innaturale, giacché siamo tutti diversi“. E poi prosegue “non c’è nessuna contestualizzazione, tu puoi essere una bambina, un’adolescente, una giovane donna, una mamma o una nonna. Non c’è differenza: devi essere sempre magra e in forma, altrimenti sei inadeguata. Per questa ragione si vedono, in giro, bambine a dieta, adolescenti, mamme, nonne. Tutti, insomma“.
Accettare il proprio corpo con tutte le sue forme sarebbe dunque così inammissibile? Secondo la Sicob il numero delle persone obese nel nostro Paese tocca i 6 milioni, il 34% dei quali sono donne. Donne che si sentono inadeguate, che vivono la frustrazione di essere diverse, che subiscono discriminazioni sul lavoro, emarginazione, difficoltà a instaurare legami affettivi e a sentirsi sessualmente appetibili. E per cosa? Per non essere omologate alla massa.
Quella del peso è una categorizzazione che non dobbiamo accettare, ogni donna deve sentirsi autorizzata ad essere innamorata di se stessa, chilo dopo chilo. Perché siamo più di un corpo e di una cifra sulla bilancia, e a dimostrarlo dobbiamo essere proprio noi stesse.