Se sei tra coloro che, mentre lavorano, a volte si lasciano prendere dalla distrazione, rivolgono lo sguardo fuori dalla finestra e “si perdono” temporaneamente, non devi preoccuparvi più di tanto: prendersi una pausa pare che faccia bene.

La distrazione fa bene

Secondo Srini Pillay, neuropsichiatra all’Università americana di Harvard, dedicarsi a fantasticare o semplicemente perdere tempo può servire ad aumentare la creatività e persino la produttività. A questa tesi ha dedicato un libro, intitolato Tinkle Dabble Doddle Try, Unlock the Power of Unfocused Mind, che si può tradurre come un invito a tentare di “dilettarsi nell’arte del giocherellare”. Insomma, il neuropsichiatra esorta a sbloccare la mente dall’abitudine di rimanere concentrati su un obiettivo, un lavoro, un singolo compito. Il tutto portando argomentazioni scientifiche.

La distrazione permette di attivare nuovi neuroni

Quanto può far bene la distrazione? Secondo i dati economici non molto, se si pensa che il perdere di vista i propri obiettivi di lavoro si stima possa costare qualcosa come 600 miliardi all’anno. Eppure c’è chi pensa che non sia così. Per esempio, “disconnettersi” durante una riunione, perché ci si annoia (pare succeda a 9 persone su 10), attiverebbe un gruppo di neuroni che altrimenti non sarebbe in grado di funzionare. Solo così, infatti, la mentre andrebbe in modalità “default”, aprendo la cosiddetta Default Mode Network o Dmn. È una rete che si trova nell’area della corteccia cerebrale, e che si attiva solo quando la mente è a riposo, non impegnata in alcuna azione: insomma, distratta. Quando ci si trova in questa condizione di disattenzione, ecco che si riescono a sviluppare abilità cognitive nuove, come la riflessione su alcuni aspetti della vita che altrimenti ci sfuggono, nuove soluzioni a possibili problemi o quesiti, ma anche ricordi e capacità di provare l’empatia nei confronti degli altri.

Perché “giocherellare” è utile

Srini Pillay, però, è andato oltre la ricerca del semplice “beneficio” della distrazione, arrivando a elogiare questa condizione: «Permette al cervello di rilassarsi, in modo da essere pronto, ricaricato, coordinato e creativo quando ce ne sarà più bisogno», spiega l’esperto di Harvard. La disattenzione, infatti, limita l’attività dell’amigdala, che è una vera centralina in grado di regolare lo stress, inducendo uno stato di calma. «Stimola la corteccia verso la creatività. Spinge l’attività dell’insula anteriore che rinvigorisce la consapevolezza di sé. Tiene a bada il nostro ego che ci osserva “da dentro” controllando le azioni, che ci porta a volte a sentire imbarazzo e disagio». «Quando una persona è sottoposta ad una qualsiasi forma di pressione, è importante che abbia la possibilità di sospendere quella attività stressante per un momento», osserva Maria Sneider, psichiatra e psicoterapeuta. «Non definirei, però, questa interruzione come una “distrazione” come la definisce il Professor Srini, quanto piuttosto la necessità di recuperare un’adeguata vitalità psichica, che permette di “ritrovare” se stessi», aggiunge Sneider, co-autrice del libro “Depressione. Quando non è solo tristezza” con C. Di Agostino e M. Fabi. Insomma, anche il nostro cervello, come il nostro fisico, a volte avrebbe bisogno di una pausa per ripartire con più slancio.

Il suggerimento: parlare con se stessi

Un altro suggerimento che dà Pillay e che può apparire bizzarro è di parlare con se stessi. A volte capita, ma spesso si finisce con l’essere ritenuti un po’ bizzarri, specie se lo si fa seduti alla propria scrivania in ufficio. Eppure secondo il neuropsichiatra di Harvard consente di «scambiarsi bizzarre ipotesi sul futuro o su come affrontare possibili scenari», «è un modo giocoso di utilizzare l’immaginazione, che potenzia l’abilità di concepire soluzioni per problemi già noti». Ma è davvero utile? «Pillay dà suggerimenti sicuramente originali. Però sono molto “freddi” e tecnici. A mio avviso non portano molto lontano. Perché, invece, non confrontarsi e fare ipotesi sul futuro con un collega o un amico, invece di parlare da soli? Pillay non dà importanza agli affetti e al rapporto umano, come se una persona dovesse risolvere tutto da sola. Questa è una tendenza pericolosa perché è la base della società basata sul narcisismo», osserva Sneider.

Quanto ci si può distrarre?

Come è facile immaginare, non è possibile pensare di potersi distrarre per un lasso di tempo eccessivo. Secondo Pillay, infatti, il segreto non è tanto e solo concedersi delle pause di disattenzione, quanto alternarle in modo corretto a quelle di concentrazione. «In questo caso sono d’accordo con lui che le pause, scandite in maniera adeguata durante la giornata, rendono più accettabile qualsiasi attività. Inoltre l’individuo conserva un maggiore equilibrio e più serenità», concorda la psichiatra.

Procastinare aiuta?

Stare troppo concentrati su qualcosa, dunque, può far perdere in brillantezza e lucidità, ma anche qualche particolare importante. Emblematico è il caso del cosiddetto “gorilla invisibile”, un classico che si verifica in psicologia. Consiste nel chiedere a un gruppo di volontari di contare i passaggi palla durante una partita di basket, proposta sotto forma di filmato. Il risultato è che tutti sono concentrati nel loro compito e non si accorgono di un gorilla che fa irruzione in campo. Un altro esempio analogo è quello condotto dall’Università Xavier (Ohio, negli Usa), che ha analizzato un gruppo di studenti. In particolare sono stati esaminati l’uso di Internet, la tendenza a rimandare gli impegni (procrastinazione) e la media dei voti. I ricercatori hanno scoperto un nesso diretto tra il tempo trascorso in Internet e la tendenza a rimandare. Ma rimandare è utile o no? «“Procrastinare” è un termine che può avere un’accezione anche molto positiva, non solo riferito al lavoro o allo studio, ma anche per le grandi decisioni della propria vita. Non farsi prendere dalla fretta o dall’impulsività è un segnale di una identità sana e solida. L’importante è non procrastinare al momento sbagliato, per non perdere delle occasioni fondamentali», suggerisce in conclusione l’esperta.