Aumentano le richieste di psicoterapia di over 65
Sono sempre di più gli over65 che si rivolgono alla psicoterapia per superare paure e momenti difficili, e affrontare con più serenità questa fase della vita.
«La mia prima volta dalla psicoterapeuta è stata 15 anni fa, quando mia figlia era nel bel mezzo di una separazione molto conflittuale» racconta Maria, che di anni ora ne ha 85 anni. «Volevo riuscire a starle vicino nel modo migliore e alla fine ho scoperto tante cose su di me e sui problemi irrisolti che avevo con lei. Dopo un anno ho interrotto le sedute ma ci sono tornata quando mio marito è caduto e si è rotto il femore. Lui non sopportava l’immobilità né di dipendere da me ed era sempre rabbioso. Io avevo voglia di scappare, mi sentivo in trappola e nello stesso tempo terribilmente in colpa. La mia psicologa mi ha aiutata a capire che potevo staccare, che era giusto e lecito cercare aiuto per assisterlo e che sarei stata meglio accettando la sua rabbia e i miei sensi di colpa».
Maria non è l’unica perché sono sempre di più le persone senior che si rivolgono allo psicologo per superare paure e momenti complicati.
Iniziare psicoterapia da adulti come un tempo per sé
«Non è mai troppo tardi per iniziare una psicoterapia» afferma convinta Giulia Griselli, specializzata in psicologia del benessere e dell’invecchiamento. «Pensi che ho pazienti addirittura più che 90enni. È un luogo comune che non si possa più lavorare su stessi quando la personalità è già strutturata. Così come è un luogo comune che la psicoterapia debba durare anni. È una questione soggettiva e può essere anche breve. L’importante è darsi il giusto tempo per l’analisi e far sì che le sedute diventino un appuntamento fisso da non saltare. Se sono solo una volta al mese finisce che racconto soltanto quello che mi è successo e non si riesce ad approfondire». E poi, come è successo a Maria, lo psicoterapeuta può diventare un punto di riferimento da cui tornare nei momenti di crisi.
Perché fare psicoterapia da adulti
Ma quali sono le ragioni che portano chi è già in là con gli anni a chiedere un supporto psicologico? «Molti, anzi molte, visto che la maggioranza sono donne, vengono nel mio studio perché sentono che è giunto il momento di andare a “vedere” qualcosa che c’è sempre stato e che non fa funzionare bene la loro esistenza: “Sono arrivato a questa età e non posso più aspettare, voglio sapere che cosa c’è che non va”. C’è come un’urgenza di capire perché si sente di avere meno tempo. A volte si ha solo bisogno di essere ascoltati, di eleggere un testimone a cui raccontare la propria vita per trovare un senso a qualcosa che non ci si è mai riusciti a spiegare. Oppure, come accade di frequente, si rivolgono a noi quando vanno in pensione. Che non sempre è, come ci si immagina, il momento in cui finalmente non si fa niente tutto il giorno. Può andare bene il primo mese, ma poi arriva il tedio e possono iniziare i problemi, il disorientamento. Molte donne si sentono un po’ perse, a maggior ragione se il lavoro è stato tutta la loro vita. Magari si ritrovano a casa a dover affrontare la routine al fianco di persone con cui prima si riuscivano a evitare i problemi perché si stava poco insieme. Ritrovarsi improvvisamente in una convivenza forzata può fare emergere conflitti che erano rimasti sopiti».
Dare un senso alle relazioni
«Quello che si fa a quest’età con la psicoterapia è andare a rivedere un po’ le relazioni» dice ancora l’esperta. «Aiutiamo i pazienti a risignificare il passato, come diciamo noi psicologi. Non si può cambiare quello che è stato, ma si può dargli un nuovo significato, appunto. Accettare gli errori fatti e anche superare dei lutti. Più si va avanti con l’età più si hanno perdite da elaborare. L’accettazione è un percorso fondamentale in tutte le difficoltà relazionali, che sia con il partner, con i genitori o con i figli. Ma anche fratelli e sorelle possono diventare protagonisti di conflitti per le questioni legate all’eredità. Accettare che non sia possibile andare d’accordo con una persona cara perché non sarà mai compatibile con noi toglie un grande peso».
La psicoterapia aiuta a fare i conti con i propri e altrui limiti
Fare i conti con i propri limiti e quelli dell’altra persona è un lavoro importante anche in un’altra situazione frequente in questa fase della vita: l’assistenza a un familiare malato. Ce lo ha raccontato bene Maria quanto sia difficile e quanti sentimenti contrastanti si possano provare in questi casi: la rabbia, il senso di colpa, la solitudine… «Le persone spesso si sentono sole, le uniche ad occuparsi di un marito o di un genitore anziano e questo genera isolamento» conferma la dottoressa Griselli. «Il supporto psicologico punta anche a far accettare la malattia del proprio caro. Spesso si tende a minimizzare la gravità della situazione per poter dire: “Me ne prendo cura da sola” e ci si carica di una mole di lavoro sia fisica sia emotiva troppo grande. Persone magari con tanti amici si ritrovano di punto in bianco a dover rinunciare alla socialità per vivere in funzione dell’altro».
Psicoterapia per stare vicino a chi è ammalato
Se il familiare soffre di una malattia degenerativa, che non migliora, si aggiunge il senso di frustrazione e di impotenza, spesso di rabbia. Rabbia e senso di colpa in un circolo vizioso da cui sembra di non poter uscire più. «Lo si può provare non solo verso chi si accudisce ma anche verso i genitori che non ci sono più, i figli, se stessi. E poi c’è il rimorso, il rimpianto per quello che non si è detto o non si è fatto. Sono emozioni che è importante elaborare perché interferiscono con la serenità. Parlare di questi sentimenti diventa anche l’occasione per tirare fuori le proprie paure, come quella di restare soli, di ammalarsi, del tempo che passa e del grande tabù, la morte. È importante non tenersi dentro questa angoscia e andare a vedere quali emozioni si provano. Cosa si teme di più: soffrire fisicamente o separarsi dai propri cari? Oppure concludere la propria vita senza essere riusciti a fare tutto quello che si desiderava? Parlarne è di grande aiuto».
L’angoscia della solitudine
Un altro tema su cui ci si interroga spesso dopo i 70 è quello della solitudine. Sono tanti i senior che arrivano in terapia con questa angoscia ad accompagnarli. «Se perdo il partner: cosa faccio?» si ripetono pensando a quei figli che non ci sono o che vivono troppo lontano. E la terapia a volte inizia proprio da lì, dal perché si è rimasti soli, dal riconoscere le proprie responsabilità, non le colpe, da quell’errore che magari si è ripetuto sempre uguale, negli anni, quel comportamento che ha portato a un isolamento. «Come dico spesso alle mie pazienti che sono disorientate dopo essere andate in pensione, che sono sopraffatte dall’assistenza a un familiare oppure che sono rimaste sole dopo la morte del partner, è fondamentale ridare vita a una propria rete sociale» suggerisce l’esperta. «Consiglio di iscriversi a un corso di lingue, di teatro, a un’associazione che organizza viaggi, all’Università della Terza età. Sono punti di ritrovo per fare nuove amicizie ma anche per tenersi allenati a livello cognitivo, per mantenere il cervello flessibile, i neuroni attivi. Non si tratta di diventare estroversi o di cambiare, lo psicoterapeuta non indirizza la vita del paziente, indirizza la terapia. Durante le sedute si cerca di riscoprire o di scoprire per la prima volta hobby e interessi. Capita per esempio che una persona abbia lavorato tutta la vita e si sia dimenticata di che cosa le piaceva, che cosa le interessava. Parlandone insieme si ricorda quella passione che aveva messo da parte e a cui si può finalmente dedicare. Questo può dare davvero una svolta al quotidiano e far maturare dentro la sensazione di essere protagonisti della propria esistenza».
Parlare della paura di restare soli aiuta ad affrontarla