Che sulle nostre tavole arrivi sempre più cibo processato è un dato. Ma col tempo sta anche crescendo la sensibilizzazione sugli effetti di un’alimentazione che prevede troppi prodotti di origine industriale e troppo pochi meno lavorati. Adesso arriva anche uno studio inglese che sottolinea i benefici della dieta NiMe, ossia Non-Industrialized Microbiome Restore. Permetterebbe non solo una perdita di peso, ma anche un miglioramento della salute, in particolare del microbioma intestinale.
Cos’è la dieta NiMe, o pre-industriale
L’alimentazione NiMe, o pre-industriale, si rifà al regime seguito dalle popolazioni più rurali, in particolari quelle della Papua Nuova Guinea, studiate da un team internazionale di ricercatori guidato Jens Walter dell’University College Cork, nel Regno Unito. La dieta, composta prevalentemente da vegetali come verdure, ma anche legumi e altri cibi integrali, prevede comunque una quota di proteine di origine animale (salmone, pollo o maiale), anche se limitata. Non sono compresi, invece, latticini, carne di manzo o grano, per il semplice motivo che non rientrano tra le disponibilità e le consuetudini della popolazione studiata.
Cosa emerge dallo studio sulla dieta NiMe
La ricerca ha voluto indagare i possibili benefici di un regime alimentare che di fatto prevede pochissimi alimenti trasformati, ricchi di zuccheri e grassi saturi, a favore invece di una presenza massiccia di fibre (22 grammi ogni 1.000 calorie), persino superiore a quella raccomandata a livello generale. I ricercatori hanno riscontrato, però, benefici in sole tre settimane, con una riduzione del colesterolo cattivo (-17%), dello zucchero nel sangue (-6%) e della proteina C-reattiva (-14%) che in genere è indice di infiammazioni e malattie cardiache.
I benefici dei cibi non processati sul microbioma
Come spiegano i ricercatori sulla rivista Cell, consumare cibi non processati a livello industriale permetterebbe di «ridurre significativamente il rischio di diverse malattie croniche», grazie a miglioramenti del sistema metabolico e immunologico. Come spiegato da Jens Walter «L’industrializzazione ha avuto un impatto drastico sul nostro microbioma intestinale, aumentando probabilmente il rischio di malattie croniche». Da qui l’idea dello studio che si è focalizzato sull’azione di alcuni “batteri buoni” particolarmente presenti nella dieta NiMe, come il Lactobacillus reuteri.
Più batteri buoni e meno cattivi
Lo studio ha mostrato come il regime alimentare della popolazione della Papua Nuova Guinea, offerto a un campione di persone non originarie di questo territorio, abbia portato a ridurre i “batteri cattivi” pro-infiammatori e i geni batterici che degradano lo strato di muco nell’intestino. Come ulteriore conseguenza si è registrata una minor presenza dei marcatori cardiometabolici collegati alle malattie croniche. Inoltre, pur non assumendo meno calorie, i partecipanti alla ricerca hanno perso peso. Secondo Paul Ross, direttore di APC Microbiome Ireland, «possiamo prendere di mira il microbioma intestinale attraverso diete specifiche per migliorare la salute e ridurre il rischio di malattie. Queste scoperte potrebbero dare forma a future linee guida dietetiche e ispirare lo sviluppo di nuovi prodotti alimentari e ingredienti, nonché di terapie, che mirano al microbioma».
Perché piace la dieta NiMe pre-industriale
«Questo tipo di dieta piace perché in Italia c’è un ritorno a un’alimentazione “territoriale”, vicina al territorio in cui si vive, ma anche all’estero si presta più attenzione al benessere psico-fisico in termini di longevità, cioè vita più lunga e di qualità», conferma la nutrizionista Monica Germani. «Per quanto riguarda l’intestino – prosegue – non solo è considerato un secondo cervello, ma è collegato con quello principale, perché da lì passano i nutrienti. Inoltre rappresenta, con i suoi batteri, la prima linea di difesa del corpo».
Cosa c’entra l’intestino
Nello specifico, «se ci si alimenta male, se si consumano troppi cibi processati, la flora intestinale può andare incontro a problemi di infiammazione. Ma lo stato infiammatorio può coinvolgere anche il cervello che, come reazione, aumenta l’impermeabilità della barriera emato-encefalica, facendo arrivare meno nutrienti per evitare l’arrivo anche delle sostanze infiammatorie – spiega ancora Germani – Inoltre nell’intestino è prodotto il 95% della serotonina corporea, cioè l’ormone della felicità, così come quello di altri ormoni come la dopamina; si altera anche l’equilibrio sonno-veglia e si crea uno stato di malessere generale».
Dalla stanchezza all’infiammazione generale
Questo stato generale all’inizio può causare sintomi comuni, come un senso di stanchezza, ma poi sul lungo periodo possono verificarsi complicanze maggiori. Per questo si mira ad assumere più micro dosi dei nutrienti “naturali” e meno sostanze industriali, come addensanti o conservanti: l’obiettivo deve essere migliorare lo stato di salute – osserva Germani – Prestare attenzione alla qualità di ciò che introduciamo, che in Italia spesso si identifica con i prodotti ad Km zero, permette di garantire un’alimentazione quanto più equilibrata possibile».
Perché i cibi processati sono incriminati
Il motivo per cui i cibi processi industrialmente sono “incriminati” è quindi per cui «molti studi scientifici dimostrano il loro ruolo nell’insorgere dell’infiammazione iniziale dell’intestino. Inoltre creano una sorta di dipendenza a livello cerebrale, dimostrata fin dagli ‘80, aumentano il desiderio di zucchero e alimenti ultraprocessati, spegnendo quello per cibi più sani: di fatto si entra in un circolo vizioso dal quale, nonostante malessere e infiammazione, si ha poca capacità razionale di uscire», chiarisce l’esperta.
Pro e contro della dieta NiMe
«Il fatto che contempli molti vegetali è positivo, ma non dimentichiamoci che non è una novità: anche la dieta Mediterranea li prevede. Va chiarito, però, che se ci si trova in una condizione di infiammazione intestinale si possono ridurre le proteine di origine animale, sbilanciando a favore dei vegetali per poi tornare, però, al rapporto di 2/3 rispetto alle proteine animali: le porzioni di carne indicate sono 2 o 3 alla settimana, 3 o 4 per il pesce, 2 o massimo 3 per i latticini, 1 o 2 per le uova, mentre il resto delle proteine può derivare dai legumi. Chiaramente va prestata attenzione anche alle porzioni: quella della carne non dovrebbe superare i 150 grammi, non i 200/250 come purtroppo spesso avviene nella società occidentale», ricorda Germani.
Gli accorgimenti da seguire
Occorre, quindi, prestare attenzione ad alcuni accorgimenti: «Oggi c’è una tendenza allo sbilanciamento sia nella frequenza che nelle quantità dell’assunzione delle proteine, per questo le recenti indicazioni sono alla riduzione delle proteine. In questo la dieta NiMe non rappresenta un pericolo di carenze nutrizionali. Occorre solo ricordare che, se si consumano più legumi rispetto alle proteine animali, per esempio, vanno integrati alcuni componenti, come la meteonina, un aminoacido essenziale che andrebbe abbinato a un carboidrato. Per questo serve una conoscenza o l’aiuto di un professionista», sottolinea Germani.
Quali cibi evitare e quali includere
Cosa includere, dunque, e cosa evitare seguendo la dieta pre-industriale? «Gli zuccheri non vanno esclusi completamente, il problema è che nella nostra società ne facciamo un consumo spropositato: il 55% delle calorie che dovremmo assumere viene da carboidrati e di questa percentuale gli zuccheri dovrebbero costituire al massimo il 10%, se si è sani. In realtà, quindi, la dieta pre-industriale non fa altro che attualizzare i principi della dieta Mediterranea, includendo i nuovi prodotti e ricreando, sulla base delle recenti conoscenze, un regime sostenibile e che ci preservi dallo stato infiammatorio così legato allo stile di vita occidentale», aggiunge Germani.
Attenzione allo stress!
Un ultimo consiglio è di prestare attenzione allo stress, perché «più si innalza il cortisolo, l’ormone dello stress appunto, più scendono gli ormoni della felicità, contribuendo allo stato infiammatorio. Se poi si aggiungono una maggiore inattività e un consumo eccessivo di cibi già pronti, ecco che ci si trova in un mix poco salutare – osserva la nutrizionista – Gli alimenti ultraprocessati, però, non sono da bandire del tutto, ma da consumare con moderazione. Il consiglio è di organizzare bene la spesa, acquistare più prodotti a km zero e prepararsi pasti poi congelati per le emergenze, se si torna tardi la sera, per esempio».
Concedersi anche gli sfizi
«Spesso suggerisco di cucinare polpette, anche di ceci o altri legumi, arrosti o pesce, per congelarli, per avere delle pietanze gustose e pronte all’occorrenza, soprattutto realizzate con prodotti del territorio. Lo stesso vale anche per qualche sfizio: con il forno a microonde è possibile realizzare anche dolcetti in tazza, come la cioccolata calda in inverno con semplice cacao di qualità, che sarà buona almeno quanto quella già pronta. Si può così risparmiare, gustando gli alimenti e lasciando che i cibi ultraprocessati rappresentino solo un diversivo ogni tanto», conclude Germani.