Il digiuno intermittente potrebbe causare problemi cardiaci sul lungo periodo. A mettere in guardia sui possibili rischi della dieta è stata l’American Heart Association, che in occasione proprio del congresso dei cardiologi americani ha parlato di “decessi per problemi cardiovascolari raddoppiati”. Tra i fautori di questo regime alimentare, però, c’è anche l’immunologa italiana Antonella Viola, autrice di un libro che sottolinea invece i benefici di questo tipo di alimentazione. Ecco perché se ne parla.
L’allarme dei cardiologi americani
A sollevare dubbi e inevitabili polemiche è stato uno studio su prevenzione e stili di vita, presentato al congresso dell’American Heart Association (AHA), a Chicago. «I ricercatori hanno analizzato le implicazioni a lungo termine della dieta che consente il digiuno per più di 16 ore al giorno. Si evince che chi segue questo regime ha una mortalità cardiovascolare maggiore (91%), quindi non per altre cause, rispetto a chi mangia normalmente nelle 12-16 ore, cioè abbastanza costantemente durante la giornata», spiega Ciro Indolfi, Professore Ordinario di Cardiologia, Direttore del Centro di Ricerche delle Malattie Cardiovascolari dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e presidente della Federazione italiana di Cardiologia (Ifc).
Il digiuno intermittente fa male al cuore?
Lo studio presentato al congresso dei cardiologi Usa è stato condotto sotto forma di questionario a 20mila persone, indagando un possibile nesso tra le abitudini alimentari nelle 24 ore e i decessi negli anni successivi. I dati avrebbero evidenziato un’associazione tra finestre alimentari ristrette a 8 ore e le morti per cause cardiovascolari, anche se non è possibile parlare di un legame causa-effetto. «Dal punto di vista scientifico la correlazione non significa causalità – sottolinea Indolfi – Il fatto che il esista un legame tra digiuno intermittente ed esiti negativi sulla salute in una particolare popolazione non significa che sia dovuto al tipo di alimentazione. L’unico modo per dimostrarlo sarebbe tramite uno studio randomizzato», ossia che permette di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione.
I dubbi sulla ricerca americana
I dati americani hanno scatenato un dibattito a cui ha preso parte anche l’immunologa Antonella Viola, che ritiene che la ricerca non sia affidabile, in quanto non ancora revisionata. «È un giudizio condivisibile per diversi motivi. Purtroppo, lo studio ha molti limiti. I modelli alimentari sono stati valutati utilizzando con due questionari dietetici di 24 ore del NHANES notoriamente inaffidabili» spiega il presidente della Ifc, che pone anche una serie di altri interrogativi relativi al campione utilizzato.
Quanto contano le abitudini alimentari e cosa si mangia
Oltre al lasso di tempo nel quale si mangia, infatti, contano anche il cosa, il come e il perché: «Lo studio è osservazionale e non sappiamo, ad esempio, la qualità del cibo che mangiavano i soggetti nel gruppo digiuno intermittente, o se facevano lavori come turni o lavori stressanti o se avevano patologie o disordini dell’alimentazione che favorivano il digiuno ma che potevano interferire sulla mortalità cardiovascolare – prosegue Indolfi – Inoltre, i soggetti inclusi nel gruppo del digiuno intermittente erano in percentuale più fumatori, obesi e di sesso maschile, tutti fattori che per sé aumentano il rischio cardiovascolare».
I vip che seguono il digiuno intermittente
Ma allora perché tanto clamore? «Lo studio non è stato pubblicato su una rivista scientifica con revisori. Dal punto di vista scientifico di solito difficilmente un abstract, in assenza della relativa pubblicazione scientifica, ha l’interesse mediatico che questa presentazione ha avuto. Ciò forse è legato al fatto che molti personaggi famosi come Elon Musk, Jennifer Aniston e Rishi Sunak effettuano questo tipo di dieta», spiega il cardiologo.
Quale alimentazione fa davvero bene al cuore
Ma allora, quale potrebbe essere il regime alimentare “migliore” per la salute anche del cuore? Se lo studio presenta dei limiti, le indicazioni dell’AHA restano invece valide e condivise a livello mondiale: «Sicuramente regolare l’apporto e il dispendio energetico per raggiungere e mantenere un peso corporeo sano è uno dei punti chiave» spiega Indolfi, che suggerisce di combinare «un modello alimentare sano con almeno 150 minuti di attività fisica moderata a settimana». Un altro consiglio fondamentale è «mangiare molta frutta e verdura, di ampia varietà, perché è associata a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari». Il professore ricorda inoltre l’importanza di «scegliere cibi preparati principalmente con cereali integrali piuttosto che con cereali raffinati».
Le proteine alleate del cuore: quali e quante
«Bisogna scegliere fonti sane di proteine, provenienti da piante: un maggiore apporto di legumi (fagioli e piselli) è stato associato a un minor rischio di malattie cardiovascolari, così come una maggiore assunzione di noci, che riducono le probabilità di andare incontro anche a malattie coronariche (CHD) e ictus. Le evidenze scientifiche attuali confermano i benefici di modelli alimentari che includono almeno 2 pasti di pesce a settimana», spiega Indolfi. Quanto ai latticini, «meglio quelli basso contenuto di grassi o senza grassi rispetto a quelli interi, perché associati a un minor rischio di obesità, malattie cardiovascolari e mortalità».
La carne: sì o no?
Il dibattitto resta aperto per quanto riguarda il consumo di carne e di quale tipo: «Se si desidera carne o pollame, meglio scegliere tagli magri ed evitare forme lavorate. Esiste, infatti, un’associazione diretta tra il consumo di carne rossa, l’incidenza e la mortalità per malattie cardiovascolari, e un’associazione ancora più forte per le carni lavorate come pancetta o hot dog – chiarisce Indolfi, che aggiunge altre indicazioni: «Le linee guida dicono di utilizzare oli vegetali liquidi anziché oli tropicali (cocco, palma e semi di palma), grassi animali (ad esempio burro e strutto) e grassi parzialmente idrogenati. Inoltre è bene scegliere alimenti minimamente trasformati invece che cibi ultra-processati, che è associato a obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e mortalità per tutte le cause».
Cosa è meglio bere
Il consiglio è «di ridurre al minimo il consumo di bevande e cibi con zuccheri aggiunti. Gli zuccheri aggiunti sono stati costantemente associati a un rischio elevato di diabete di tipo 2, malattia coronarica e eccesso di peso corporeo. I dolcificanti alternativi hanno mostrato effetti contrastanti sul metabolismo. È anche bene scegliere e preparare cibi con poco o nessun sale: esiste, infatti, una relazione diretta e positiva tra questi alimenti e i livelli di pressione sanguigna. Vanno evitate, quindi, le principali fonti di sale come gli alimenti confezionati/lavorati e quelli preparati fuori casa. Infine, se non si bevono alcolici, è meglio non iniziare; se invece se ne fa consumo, è bene limitarne l’assunzione per evitare il rischio di fibrillazione atriale e di ictus emorragico», conclude Indolfi.