Se è vero che la storia del cibo è la storia del mondo, per capire chi siamo basta aprire un social e farsi un giro tra tazzine di caffè, piatti decorati, foto di grandi chef. Il centro di gravità è qui. Dice Laura Dalla Ragione – psichiatra e psicoterapeuta, direttore della Rete per i disturbi del comportamento alimentare della USL 1 dell’Umbria, titolare del corso sui Disturbi del comportamento alimentare al Campus Biomedico di Roma, direttore del numero verde nazionale sui disturbi alimentari (800.180.969) – che nella terra di nessuno tra Instagram e Tik Tok niente ha visibilità pari al cibo.
Il rapporto degli italiani con il cibo
In Italia una persona su 3 posta regolarmente immagini di piatti, per un totale di 5 milioni di foto al giorno. Ma anche quello che sembra un divertimento innocuo ha le sue vittime collaterali: bambini e adolescenti che scivolano nella palude dei disturbi alimentari. «I social non sono la causa, ma sono diventati un fattore di diffusione» dice Dalla Ragione, che ha appena pubblicato con Raffaela Vanzetta Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari (Il Pensiero Scientifico Editore).
«I due temi più presenti sono il cibo e il corpo, esattamente i punti critici di chi ha questo tipo di problema». Però la Rete ha anche cambiato forma ai disturbi alimentari, rendendoli più complessi da definire e da intercettare. I pericoli dei social vengono dall’assenza di filtri., «Chiunque può dare consigli senza alcuna competenza: dal nutrizionista che ti spiega come introdurre 1.500 calorie al giorno a ragazze con problemi alimentari gravi che spiegano come fartene bastare 500. Trovi istruzioni per tutto: come vomitare, come assumere diuretici e lassativi, dove comprarli. Contenuti del genere in mano a una ragazzina di 12 anni, sono pericolosissimi».
Le nuove pressioni dei social
Nell’assenza di controllo ogni affermazione ripetuta diventa verità, anche senza basi scientifiche. «La dieta crudista (che prevede solo alimenti crudi, ndr) spopola, ed è la più pericolosa insieme con i regimi che prevedono un solo genere di alimento. Questi tipi di alimentazione selettiva sono fattori di rischio importanti. Le ragazze che arrivano all’anoressia passano tutte da diete così». Ai disturbi alimentari, però, ci si può, arrivare anche da strade apparentemente innocue. «C’è una nuova patologia emergente: l’ortoressia, ovvero l’ossessione di mangiare sano. Si parte da una scelta legittima, ma poi la si fa una mania. Gli ortoressici eliminano intere categorie di cibi e si alimentano solo con prodotti dall’origine certa».
Una tendenza all’alimentazione selettiva che a livelli non patologici è più diffusa di quanto pensiamo. «A cena con gli amici l’argomento di conversazione principale è quello che non mangiamo: la carne rossa, i latticini, il glutine. I divieti alimentari sono un elemento di identità personale: il cibo racconta chi siamo. I bambini crescono in un contesto di adulti che parlano in continuazione di cibi da evitare e negli ultimi anni c’è stato un aumento esponenziale dei disturbi selettivi nei più piccoli. Ricordo un bambino che mangiava solo cose bianche: la focaccia, i bastoncini di merluzzo e l’uovo sodo e se i genitori provavano a introdurre altro o piangeva o vomitava».
I ragazzi con disturbi sono sempre più giovani
Il primo grande cambiamento nei disturbi alimentari rispetto al passato riguarda l’età: sempre più bassa. «In Italia a soffrirne sono circa 3 milioni. Di questi, il 30% ha meno di 14 anni. In questa fascia di età sono diffusi soprattutto l’anoressia nervosa e i disturbi selettivi dell’alimentazione, mentre quando sono più grandi cresce la percentuale di bulimia, cioè abbuffarsi e vomitare». L’altro grande fenomeno è l’aumento tra i maschi, specie nella fascia preadolescenziale: il 20% a fronte dell’1% di 10 anni fa. Il perché è facile da intuire, dice Dalla Ragione.
«Oggi anche per loro il corpo è diventato teatro dell’anima e del disagio. I maschi si depilano, si tatuano, si fanno i piercing. Tra i ragazzi più grandi è diffusissima la bigoressia – da “big”, grande – o “reverse anorexia”, dove si ricerca non la magrezza ma la massa muscolare: chi ne è affetto fa ore infinite di allenamenti e, nonostante ciò, si vede flaccido. In quest’ottica, palestre, fitness tracker, fitness infuencer sono fattori di rischio».
È sempre più difficile la diagnosi
Come riconoscere il problema? Di fronte a questi cambiamenti, spiega Dalla Ragione, definire i disturbi alimentari è diventato un lavoro più complesso e il sommerso è tantissimo. Gli stessi criteri diagnostici sono stati modificati. «Per l’anoressia si è abbandonato il riferimento all’amenorrea. Perché con l’abbassamento dell’età media tante bambine arrivano all’anoressia prima di aver avuto il ciclo e perché nei maschi non è un criterio applicabile. E poi perché vediamo ragazze e ragazzi che hanno comportamenti pseudoanoressici senza che il peso scenda troppo. Sono quelli che chiamiamo “disturbi sotto soglia”. Qui il criterio non è tanto il peso quanto l’ossessione. Se alla domanda “Quanto pensi al cibo?”, la risposta è “Tutto il giorno”, il fattore di rischio è altissimo anche se il peso non è preoccupante». Dunque il lavoro fatto per sostenere l’idea che tutti i corpi vadano accettati è senza conseguenze?
«Questa nuova narrazione sta cominciando a farsi strada tra i giovani e lo vediamo, ma le pressioni esterne sono ancora forti» dice Dalla Ragione. Anche i genitori hanno un ruolo. «Devono imparare a non dare giudizi sui corpi dei loro figli e a non richiedere performance che alla prima difficoltà generano un senso di frustrazione. I ragazzi non vogliono essere belli: hanno solo paura di essere brutti e di non essere all’altezza del mondo».