Gli alimenti industriali ultra-processati tornano a far discutere. A tenere banco è il sospetto che alcuni cibi possano influire sulla salute mentale, arrivando a creare dipendenza. In particolare il junk food, che comprende molte merendine, esercita un fascino molto forte sui più piccoli, portandoli a desiderarne quantitativi sempre maggiori, ma con effetti potenzialmente negativi sulla mente.

Bambini (e adulti) attratti dal junk food

Secondo una ricerca di Coldiretti appena pubblicata, oltre la metà dei giovani e giovanissimi (55,3%) è fortemente attratto da merendine, snack, energy drink e bibite zuccherate in genere, e quasi 1 su 2 li predilige al cibo più salutare, nonostante il 75,8% dei genitori dichiari di seguire e incentivare la dieta mediterranea. Il problema non riguarda solo il gusto, ma gli effetti che questi alimenti possono portate a livello fisico e mentale.

Il junk food dà dipendenza?

Oltre a essere invitanti a causa del packaging, delle pubblicità e spesso di mascotte e testimonial che rendono questi alimenti molto attrattivi, gli stessi ingredienti creerebbero un effetto dipendenza. Sotto la lente degli esperti sono finiti già da tempo sale, additivi, zuccheri e grasso, di cui gli alimenti ultra-processati sono particolarmente ricchi e che stimolerebbero il gusto spingendo a desiderarne sempre di più. Già alcuni mesi fa uno studio condotto per oltre 5 anni negli Stati Uniti aveva portato ad affermare che il junk food può portare allo stesso effetto di dipendenza di sigarette e cocaina.

Lo studio: il junk food crea dipendenza come sigarette e droghe

Come riportava il New York Times, gli alimenti industriali ultra-processati in genere «sono economici e convenienti e progettati per avere un buon sapore. Sono commercializzati in modo aggressivo dall’industria alimentare», ma soprattutto «per molti non sono solo allettanti, ma creano dipendenza». Il nesso tra questi cibi e il desiderio – talvolta irrefrenabile – di mangiarli sta nella stimolazione di alcuni recettori e nella produzione di dopamina che causerebbe. Si tratta dell’ormone del piacere, che porta a desiderare ciò che dà una sensazione di benessere, seguito da una di malessere quando l’effetto svanisce. Questo porta a un circolo vizioso, con un continuo desiderio di ciò che porta appagamento, esattamente come nel consumo di sostanze stupefacenti o nel fumo.

L’effetto dopamina del junk food

Un articolo apparso sul British Medical Journal, che riporta una meta-analisi ossia una ricerca di 281 studi condotti in 36 paesi differenti, ha indicato come il 14% degli adulti e il 12% dei bambini mostra segni di dipendenza significativi nei confronti dei cibi ultra-processati. Per verificare gli effetti di questi alimenti i ricercatori hanno utilizzato la Yale Food Addiction Scale, uno strumento noto nella comunità scientifica che misura i criteri di dipendenza da sostanze. I risultati dello studio hanno, però, sollevato dubbi nella comunità scientifica.

Junk food da demonizzare?

Tra i primi a cercare di approfondire il tema c’è stato Chris van Tulleken che nel suo libro Cibi ultra-processati. Come riconoscere ed evitare gli insospettabili nemici della nostra salute afferma che il cibo in sé non crea dipendenza. Il medico, però, aggiunge: «Quello ultra processato non è realmente cibo». «Sul cibo cosiddetto ultra-processato si è discusso molto, ma forse dovremmo capire che cosa intendiamo: paradossalmente anche le lasagne della nonna potrebbero essere definite tali, secondo la classificazione NOVA», premette il gastroenterologo Luca Piretta, docente presso l’Università Campus Biomedico di Roma. Si tratta di una scala messa a punto da un gruppo di studio brasiliano, che definisce le lavorazioni come «i processi fisici, chimici e biologici che interessano i vari alimenti una volta che siano separati dalla natura e prima che siano consumati o utilizzati nella preparazione di piatti».

Cosa sono i cibi ultra-processati

«Una volta chiarito di cosa stiamo parlando, se del quantitativo di additivi o dei processi di lavorazione industriale a cui i nutrienti sono sottoposti, è indubbio che ci sono molti studi che associano epidemiologicamente l’aumento del consumo di alimenti industriali molto lavorati con la salute mentale, oltreché fisica, visto che portano a un maggior rischio di obesità, diabete, ecc. – osserva Piretta – Il punto però, è la quantità: il problema non è dato dal singolo prodotto o nutriente, ma da quanto se ne consuma. Un esempio è lo zucchero».

Zucchero, cioccolato e grassi: quanti ne servono

«Zucchero e cioccolato rappresentano due cibi spesso demonizzati. Nel primo caso sappiamo che è ricco di triptofano, per esempio, che agisce sul sistema nervoso centrale e crea, se non dipendenza vera e propria, quantomeno un effetto di piacere. Ma il cioccolato in sé non va demonizzato, come anche lo zucchero: il nostro cervello si nutre di glucosio, che è importante anche per i globuli rossi, ma è evidente che ingerirne troppo fa male. Lo stesso vale per i grassi, che possono portare alla cosiddetta low grade inflammation, se in eccesso. Teniamo presente, comunque, che ne serve il 25-30% sul totale delle calorie, in proporzione è il doppio delle proteine», osserva Piretta.

Lo zucchero e l’effetto dipendenza

Un altro studio, appena pubblicato su Frontiers in Public Health, condotto su decine di migliaia di cittadini in Svezia, ha mostrato come le bevande zuccherate sono associate a un maggior rischio cardiovascolare rispetto ad altri prodotti contenenti zucchero, come biscotti e dolcetti in genere. Questo anche perché il loro consumo è maggiore: gli zuccheri liquidi, infatti, in genere forniscono meno sazietà e portano a ingerirne un quantitativo superiore. «Lo zucchero e i grassi attivano meccanismi di piacere: è questo che ce li fa desiderare, come per i grassi. Si stimolano i recettori edonistici nel cervello, che a loro volta portano a provare piacere quando li si ingerisce», sottolinea il gastroenterologo e nutrizionista.

Il desiderio del junk food: come contrastarlo

«Sale, addensanti, aromi artificiali e altri additivi” negli alimenti altamente trasformati “rafforzano la loro attrazione migliorando proprietà come la consistenza e la sensazione in bocca», ha spiegato al Times Ashley Gearhardt, docente di psicologia dell’Università del Michigan, paragonandoli a sigarette. Secondo l’esperta basterebbe ridurne il consumo per evitare l’effetto-dipendenza, privilegiando invece i grassi naturali. Una affermazione sulla quale è d’accordo anche Piretta: «Se seguissimo la dieta Mediterranea non avremmo sicuramente il problema di “misurare” i cibi ultra-processati da ingerire».