È di poche settimane fa la notizia del primo panettone realizzato con farina di insetti, che ha sorpreso molti, indignato qualcuno, incuriosito altri. Ma proprio gli insetti pare che diventeranno sempre più presenti sulle tavole di buona parte del mondo, Italia compresa. A diminuire, invece, sarà la carne (soprattutto rossa) così come potrebbe scomparire il caffè. Siamo preparati a cambiare gusti e piatti? Ecco cosa si mangerà nel 20250, secondo le previsioni degli esperti di CIRFOOD.
I cibi del 2050: quali
Per cercare di capire cosa si mangerà da qui ai prossimi 25 anni (per intenderci, cosa consumeranno i nostri figli adulti e nipoti), il centro di ricerca e innovazione CIRFOOD District ha chiesto una valutazione a 15 esperti che hanno preso in considerazione diversi aspetti: la sostenibilità ambientale, ma anche i fabbisogni delle popolazioni. Ne è venuto fuori un saggio, CIBO2050, che fornisce un’idea piuttosto chiara di quale sarà il cibo che si troverà sulle tavole nei prossimi decenni. Uno dei pilastri dovrebbe essere un ritorno a prodotti semplici.
Meno industrializzazione, più prodotti semplici
«Nella nostra alimentazione si faranno sempre più spazio prodotti semplici, con un’attenzione preponderante verso una dieta più sostenibile, anche Plant Based, ma pur sempre mediterranea: si andrà incontro a piatti a base vegetale e proteine alternative, come legumi o novel food come le alghe, piante che, in modo bilanciato, concorreranno ad implementare abitudini di consumo sane e a impatto positivo sull’ambiente e la salute delle persone», spiegano gli esperti di CIRFOOD District.
I “cibi tecnologici”: quali saranno
Già oggi sono disponibili alcuni cosiddetti super food, alimenti che sono stati arricchiti in alcuni loro aspetti nutritivi. Ma che ruolo potrebbe avere la tecnologia in ambito alimentare? «Grazie alle numerose innovazioni tecnologiche (dalla fermentazione di precisione alla nutraceutica, fino alla nutrigenomica), sarà possibile creare alimenti con determinate caratteristiche, personalizzati e quindi più funzionali al nostro benessere e più idonei ai fabbisogni di ciascuna persona», sottolineano ancora gli esperti, secondo cui il cibo potrebbe diventare una sorta di “medicina”: «Proprio il benessere sarà l’elemento verso cui si muoverà l’alimentazione grazie all’approccio Food as Medicine, che vede nel cibo una fonte di salute e prevenzione primaria».
Che cibi mangeremo nel 2050
«Sulla nostra tavola del futuro non immagino pillole, beveroni, insetti e carne sintetica. Preferisco penare a una tavola con meno alimenti trasformati e più prodotti genuini. La tradizione deve fare alleanza con la tecnologia e il digitale», spiega Sara Roversi, presidente Future Food Institute. Mi auguro – prosegue l’esperta – che mangeremo sia le farine di insetti sia ancora le eccellenze DOP, come l’olio prodotto con gli olivi coltivati nei terreni ripristinati, che dunque potremo scegliere, consapevoli di quello abbiamo nel piatto e del valore delle nostre eccellenze».
Cosa sappiamo delle farine di insetti
«Va detto che sulle farine di insetti, di cui si parla molto, si conosce purtroppo ancora poco, soprattutto in termini di apporti nutrizionali. Non significa che non sono utilizzabili, ma si dovrebbero approfondire le informazioni scientifiche. Per esempio occorre ancora capire quante calorie forniscono i differenti di tipi di farine, o qual è il processo digestivo, quindi quale sia l’assorbibilità a livello intestinale. Andrà capito anche quali siano quelle di maggiore o minore qualità, che non significa che facciano male, ma quali nutrono di più o di meno», spiega la nutrizionista.
Cosa non mangeremo più nel 2050
Un aspetto positivo dello sguardo al futuro riguarda, poi, la riduzione del consumo di prodotti ultra-processati, ricchi di zuccheri, e il junk food. «Spero ci sarà più attenzione alla frutta e alla verdura di stagione, meno consumo di carne e di preparati in generale. Potremmo dover rinunciare al caffè (per fare riferimento a un’ipotesi drammatica, ma emblematica, degli effetti del cambiamento climatico)», aggiunge Roversi. Secondo gli esperti del centro di ricerca, comunque «caffè e cacao non spariranno dalla nostra alimentazione grazie al ricorso a pratiche di coltivazione più sostenibili o all’uso di altre piante, come i carrubi nel caso del cacao per produrre il tanto amato cioccolato».
Faremo a meno del caffè?
Proprio questo è uno degli interrogativi più dibattuti: «Se davvero dovesse scomparire il caffè, sicuramente ci si aspetta una riduzione graduale e non improvvisa. Per noi italiani, abituati all’espresso, è possibile che prima si passi alla forma solubile, per poi essere sostituito con gli infusi, specie di erbe. Un aspetto positivo potrebbe essere l’effetto benefico di depurazione dell’organismo che oggi forse sarebbe ancora più importante, per il tipo di alimentazione e stile di vita che abbiamo – spiega Germani – Il thè comunque non dovrebbe scomparire, mentre mi auguro che il caffè non sia sostituito da succhi o bevande pronte analoghe, troppo zuccherate o ricchi di additivi».
Gli additivi scompariranno davvero?
Ma che fine faranno proprio gli additivi? «Potrebbe accadere che comunque si consumi anche prodotti più processati, cioè ricchi di additivi e conservanti, ma anche un maggior numero di insaporitori che possono indurre ad aumentarne il consumo. Studi scientifici recenti, gli alimenti ultra-processati possono dare una dipendenza paragonabile a quella delle sostanze stupefacenti: significa che si tende a cercarli di più e a mangiarne in quantità maggiori», osserva la nutrizionista e dietologa Monica Germani.
Che fine farà la carne
Come indicato anche dagli esperti CIRFOOD, la carne potrebbe essere meno presente: «È plausibile e una riduzione non è scorretta, ma attenzione al messaggio opposto, ossia che la carne fa male: il consumo consigliato è di 3 porzioni alla settimana, compresi eventuali insaccati come la bresaola in un panino pomeridiano. Ricordiamo comunque che tutti i nutrienti, vegetali inclusi, se consumati in dosi superiori a quelle raccomandate, diventano nocivi per l’organismo – sottolinea la nutrizionista – Se, invece, si tratta di una scelta etica come per i vegani, è consigliabile rivolgersi a un esperto per non sbilanciare l’alimentazione. Infine ricordiamo che i legumi sono presenti nella dieta Mediterranea, come fonte di proteine».
Il paradosso: più qualità, ma meno tempo per cucinare
«Il paradosso è che da un lato siamo alla ricerca di più materie prime di qualità, cioè di prodotti migliori, dall’altra c’è sempre meno tempo (e abilità) in cucina. Le ricette della tradizione prevedono, infatti, una certa elaborazione, ma mantenendo standard di qualità, ad esempio nel ricorso agli aromi per insaporire. Oggi, invece, non conosciamo più il valore di questi ingredienti. In più siamo rimasti a vecchi stereotipi, come l’importanza dei carboidrati, quante proteine consumare, ecc. Ma il resto è stato sopraffatto da mode alimentari che esaltano alcuni alimenti o ne demonizzano altri», spiega Germani.
Rimparare a cucinare in modo sano
Secondo l’esperta si dovrebbe reimparare a utilizzare i corretti nutrienti: «Basterebbe tornare a usare, per esempio, più spezie e meno sale per ottenere in 15 minuti piatti saporiti e ottimi per quanto riguarda gli aspetti organolettici. Questo eviterebbe di ricorrere a cibi pronti che, in caso di continua richiesta, saranno sempre più presenti nei punti vendita e conterranno anche sempre più conservanti e acidificanti per poter far fronte alle maggiori richieste del mercato», osserva la nutrizionista.