Il tonno in scatola fa bene alla salute, sia quella generale che quella psicologica e, in particolare, contro la depressione.
Il tonno in scatola fa bene, anzi meglio della carne
A ipotizzarlo finora erano stati diversi studi, ma ora un’analisi italiana mostra come il pesce conservato in scatola non solo non ha meno nutrienti rispetto a quello fresco, ma può avere persino proprietà superiori a quelle di un filetto di bovino.
Gli esperti hanno anche sfatato un falso mito: «Non dobbiamo preoccuparci di eventuali conservanti, perché non ce ne sono, e il timore di mercurio è ingiustificato: le quantità eventualmente presenti sono ben al di sotto delle soglie massime previste dalle leggi italiane ed europee», spiega Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista, docente di Allergie e Intolleranze alimentari presso l’Università Campus Biomedico di Roma, che ha partecipato allo studio.
Lo studio sul tonno in scatola: cosa è emerso
Lo studio, pubblicato sull’International Journal of Food Sciences and Nutrition, ha preso in esame 63 ricerche precedenti che si erano occupate del nesso tra una maggiore assunzione di pesce e la riduzione del rischio di varie patologie, come la sindrome coronarica acuta che è la principale causa di infarto, le malattie cardiovascolari, il cancro al fegato e la depressione. «Insieme ad Ancit (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare) e alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma, abbiamo analizzato i benefici del consumo di tonno in scatola, che spesso in passato è stato demonizzato. In realtà anche in questa formulazione il pesce mantiene le sue proprietà nutritive, grazie alla presenza di pochi grassi saturi e poco colesterolo, abbondanti acidi grassi polinsaturi, un elevato apporto di vitamine A e D, B12 e B3, potassio e iodio», conferma Piretta.
I falsi miti sui conservanti nel tonno in scatola
«Il trattamento termico a cui è sottoposto, non impoverisce nessuno dei nutrienti essenziali presenti e mantiene di fatto le stesse proprietà del pesce fresco. Cosa che, invece, non accade con altre forme di cottura come la frittura», ha spiegato Andrea Poli, Presidente di Nutrition Foundation of Italy, che ha contribuito alla ricerca insieme a Carlotta Franchi, Capo Laboratorio all’Istituto Mario Negri di Milano e Coordinatrice Scientifica dell’Italian Institute For Planetary Health. Il tonno in scatola, infatti, viene cotto a vapore, messo sott’olio – ma è possibile trovarlo anche in versione light con la sola acqua – «senza conservanti: non ce n’è bisogno perché poi viene pastorizzato. Tutt’al più ci possono essere sale e, in alcuni casi, spezie a seconda delle formulazioni. Tra l’altro l’olio, che viene utilizzato per motivi di gusto, contribuisce naturalmente a isolare dall’aria e da eventuali contaminanti, come avviene per i sott’oli. Ma non dovrebbe essere buttato bensì riutilizzato in cucina perché si arricchisce, a contatto col tonno, dei grassi polinsaturi, in particolare composti da acidi grassi Omega-3 (DHA) e di vitamina D (colecalciferolo), che non sono presenti naturalmente nell’olio d’oliva», aggiunge Piretta.
Il pregiudizio (falso) della presenza di mercurio
«Il maggior spauracchio sul tonno in scatola riguarda il mercurio, ma va fatta chiarezza. Nei pesci di grossa taglia il rischio della presenza di questo metallo pesante è reale, perché nutrendosi di pesci più piccoli ci può essere un bioaccumulo. Ma nei fatti non è così con il tonno che arriva in scatola alla grande distribuzione» spiega Piretta. Le analisi sui prodotti delle principali marche citate dal gastroenterologo hanno mostrato come i valori sono quasi sempre inferiori a 0,5 milligrammi per chilo, dunque molto al di sotto di 1 milligrammo che è il limite massimo consentito dalle leggi italiane ed europee. «Fatti i conti tra la quantità settimanale raccomandata e la percentuale effettiva di mercurio presente nel tonno, è comunque un margine di sicurezza così ampio che i vantaggi nutrizionali del consumo di tonno in scatola superano di gran lunga gli svantaggi» afferma Piretta, che aggiunge: «Sarebbe come dire che, siccome c’è un rischio di salmonella nelle uova, non ne mangiamo più. Teniamo presente che anche nelle biete ci sono nitrati, anche in quantità maggiore dei salumi, eppure le mangiamo perché hanno valori bassi e altri benefici per la salute. È come dire che, a fronte di un margine di rischio dei vaccini, non ci vacciniamo. In quest’ottica non dovremmo alimentarci per il pericolo di una qualche contaminazione in qualsiasi cibo: tutti gli studi ci dicono che i benefici dell’assunzione di pesce, anche in scatola, sono ben superiori rispetto ai rischi».
Lo studio sulle donne in gravidanza
«Da uno studio condotto su alcune donne in gravidanza che consumavano più pesce, e dunque avevano un’esposizione al rischio di mercurio, si è visto che non solo non c’erano effetti negativi sullo sviluppo cognitivo dei bambini, ma che questi avevano persino un quoziente intellettivo maggiore. Questo non significa che il mercurio faccia bene, ma che i benefici e gli effetti protettivi del consumo di pesce sembrano nettamente maggiori dei possibili rischi associati alla presenza di mercurio», chiarisce il gastroenterologo, secondo cui «la maggior presenza di mercurio nel cordone ombelicale delle donne in questione può essere considerato soprattutto un marker del maggior consumo di pesce». Ma quali sono proprio gli effetti protettivi sul benessere mentale e nel contrasto alla depressione?
Il pesce, gli Omega-3 e la depressione
Gli Omega-3 sono degli acidi grassi, non prodotti in modo autonomo dal corpo umano e che quindi devono essere assunti con la dieta. «Sono usati dal sistema nervoso non solo per la normale funzionalità dei neuroni, ma che contribuiscono anche allo sviluppo psicologico di adolescenti – spiega ancora l’esperto – Rivestono anche la guaina di mielina delle cellule del sistema nervoso, quindi hanno un ruolo importante nella trasmissione degli impulsi nervosi». Ma non solo: «Sembra che gli Omega-3 si leghino ad alcuni recettori che, insieme ai farmaci, favoriscono la produzione di serotonina, il cosiddetto “ormone della felicità”. Un altro aspetto riguarda anche l’azione antinfiammatoria degli Omega-3: ridurrebbero i radicali liberi, quindi assunti insieme all’acido folico agirebbero sulla depressione maggiore. Infine, alcuni studi di ultima generazione indicano come questi nutrienti ridurrebbero anche l’infiammazione a livello intestinale, quindi aiuterebbero a preservare il microbiota. Avere un intestino in buona salute è ritenuto un aiuto contro la depressione», chiarisce la nutrizionista Monica Germani.
Cosa c’entra il tumore al colon retto?
Uno studio, condotto in modo mirato sul tonno in scatola da Carlotta Franchi, Capo Laboratorio all’Istituto Mario Negri di Milano e Coordinatrice Scientifica dell’Italian Institute For Planetary Health, mostra come il consumo di due porzioni di pesce alla settimana (circa 160 grammi) ridurrebbe del 34% il rischio di insorgenza di tumore al colon-retto e di altri di tipo gastro-intestinale. «Non si tratta di un’analisi di causa-effetto, quindi non si conoscono ancora i motivi di questa azione, ma si è visto che nelle popolazioni nelle quali il consumo del pesce era pari a 2 o più porzioni in scatola, c’era una minore incidenza. Da ciò si deduce un’azione specifica sulla protezione – spiega Piretta – Questo non significa che se ne debba abusare: come tutti gli alimenti deve essere inserito in un contesto di dieta equilibrata e accompagnata da uno stile di vita sano e attivo».
Tonno in scatola e filetto di carne: nutrienti a confronto
Ma quali sono le quantità raccomandate? «Le linee guida italiane per sana alimentazione indicano una porzione di tonno in scatola alla settimana. Si tratta di una indicazione che può essere personalizzata a seconda dei casi individuali e delle singole necessità – prosegue l’esperto del Campus Bio-Medico – E’ comunque interessante paragonare i principi nutriti del tonno in scatola con quelli di un filetto di manzo: le proteine sono maggiori nel tonno, che ha anche 4 volte tanto il contenuto di selenio (un importante antiossidante), un quantitativo di ferro quasi uguale un apporto di vitamine B12 e B3 doppio, per non parlare appunto degli Omega-3. Insomma, è un alimento ricco e, oltretutto, accessibile sia nel prezzo che a livello geografico pressoché a chiunque».