Il genere umano in generale, e quello femminile in particolare, sembra essere progettato per incassare. Riceviamo dal mondo esterno, e noi stessi ci autoinfliggiamo, una serie di colpi che neanche Rocky Balboa nel suo primo match. Ci lamentiamo, cadiamo e sperimentiamo la catarsi emozionale.
Pianto, rabbia, ira esplodono dentro e fuori di noi, ci fanno perdere il controllo ed esprimono ciò che sentiamo al posto nostro. Scopriamo quali sono gli elementi che caratterizzano una catarsi emozionale e perché un’esperienza del genere può rivelarsi davvero molto utile.
Che cos’è la catarsi emozionale
Sigmund Freud l’ha analizzata, Schopenhauer l’ha trovata nella contemplazione estetica. Noi comuni mortali la subiamo, senza volerla, senza cercarla e spesso senza gli strumenti adeguati per comprenderla.
La catarsi emozionale è quel fiume in piena di sentimenti che ci travolgono dal nulla, senza preavviso e in pieno. Senza via di fuga.
Soprattutto nei momenti di stress più acuto, di difficoltà maggiore può infatti accadere di azionare una sorta di freno a mano. Per tentare di mantenere un briciolo di controllo, salvare il salvabile e mettere a tacere i nostri bisogni.
Ma poi arriva lei: la catarsi emozionale. Intensa, mai pericolosa, e sicuramente liberatoria.
Nella maggior parte dei casi è il modo in cui la repressione lascia spazio alla disperazione, e offre il trampolino di lancio per l’interiorizzazione della situazione. Come una sberla in pieno viso per indurre alla riflessione.
Come si manifesta
Pianto, rabbia, urla. Quasi sicuramente non ci metteremo a gridare il nome di Adriana come Rocky, ma la sensazione sarà più o meno la stessa: la liberazione.
Quale che sia la situazione di forte malessere che ha spinto ad attivare il freno a mano, la catarsi emozionale lo sblocca. Disattiva il freno e consente alle emozioni di fluire in maniera tanto irruente quanto liberatoria.
E nonostante un’esperienza del genere possa spaventare, il vero pericolo è impedire che accada. Le emozioni, per evitare di diventare tossiche, necessitano di essere vissute.
Ignorarle per troppo tempo significa portarle a manifestarsi in modi che non possono essere ignorati. Non prenderne atto equivale a creare dei problemi ancora più profondi. Che quando verranno a galla, perché vengono sempre a galla, saranno ancora più difficili da risolvere.
Perché avviene
La catarsi emozionale è l’ultimo meccanismo che la macchina perfetta che è il nostro cervello ci mette a disposizione per salvarci da noi stessi, che troppo spesso tentiamo di sabotarla.
Avviene perché ci riempiamo fino allo sfinimento prima di problemi e poi della convinzione di poterli superare tutti. Da soli e anche in fretta.
Arriviamo al punto di farci travolgere dai nostri sentimenti perché siamo così sicuri di riuscire ad ignorarli da non capire che ci seguiranno dovunque andremo. E che, una volta che ci avranno raggiunto, ci faranno pagare il prezzo della corsa.
La catarsi emozionale è quel conto lì, che ci viene presentato con gli interessi e senza la possibilità di essere pagato a rate. Ecco perché quando arriva, il campanello d’allarme dovrebbe suonare forte e chiaro. E spingerci ad un dialogo interiore con noi stessi.
Per evitare che gli interessi si accumulino troppo e ci portino in bancarotta. Per consentire alla disperazione e alla rabbia repressa di trovare una valvola di sfogo.
La catarsi emozionale nel processo terapeutico
Freud nella psicoanalisi la ricercava per liberare il paziente dal trauma che lo affliggeva. E anche oggi la catarsi emozionale viene considerata un importante elemento all’interno del processo terapeutico.
Soprattutto per superare la repressione emotiva. Spesso infatti, traumi particolarmente difficili da elaborare o anche solo da ricordare, vengono relegati in angoli remoti del nostro cervello. Dai quali però continuano a far danni. Ansia, depressione e paura i nomi di quelli più famosi.
In questi casi il terapeuta potrebbe allora cercare di indurre nel paziente proprio una catarsi emozionale. Che gli consenta di far fluire i ricordi. E di affrontare il passato.
Non una soluzione quindi. Ma un punto di partenza in cui immergersi nel fango, per poterne fare un’esperienza costruttiva, e per poi venirne fuori. Un’ esperienza catartica in pena regola.
Uno strumento finalizzato ad acquisire nuovi modi di pensare alle cose. E utilizzato per rendere il soggetto in terapia più consapevole delle proprie emozioni.
A cosa serve
La catarsi emozionale serve a ricordarci che siamo umani. E in quanto tali, siamo caratterizzati da sentimenti ed emozioni a cui riconoscere un ruolo piuttosto che infliggere una censura.
Le esperienze dolorose, angoscianti, difficili sono parte integrante della vita di ognuno. E necessitano del riconoscimento di una dignità particolare, che non può essere assegnata a casaccio o con troppa superficialità.
Piangere quando si ha voglia di piangere, fermarsi quando si è stanchi e riflettere quando si è confusi sono le lezioni che la catarsi emozionale si prefigge di insegnarci per conoscere meglio noi stessi.
E anche per interagire in maniera più profonda con il mondo circostante. Per entrare in connessione con le cose e le persone di cui facciamo esperienza nella nostra vita, in maniera autentica.
Perché crollare significa imparare a rialzarsi, e soprattutto a ricostruirsi. In una versione inedita e, si spera, sempre migliore della precedente.