Secondo una ricerca appena uscita sull’autorevole settimanale londinese The Economist, gli Italiani sono il terzo popolo al mondo che ricorre alla chirurgia plastica, dopo i Sudcoreani e i Greci. È stato stimato che in Italia vengono effettuati 14 interventi ogni 1000 persone, per un totale di 820.000 realizzati nel 2011.
Dietro c’è sempre un tentativo di migliorare la propria immagine estetica oppure il rapporto che si ha con essa. Anche se il confine tra come si è e come ci si percepisce davanti allo specchio è labile e arbitrario. “Non è infrequente che arrivino nel mio studio donne belle ma che si vedono brutte – sostiene il Professore Paolo Gottarelli, medico specializzato nella chirurgia plastica al naso senza dolore e senza tamponi – spesso una persona ha dentro di sé l’immagine ideale del ‘Naso Perfetto’ e vuole che sia riprodotta sul suo volto, ma non sempre è possibile né necessario. Si deve cercare invece di armonizzare bene le forme del viso senza cambiarne l’espressività”.
L’aumento della chirurgia plastica suggerisce il fatto che dal punto di vista culturale molte cose stanno cambiando, ovvero si hanno sempre meno pregiudizi verso chi ricorre al ritocchino, classificandoli velocemente come “insicuri” o “deboli di carattere”. Eppure, per un retaggio di stampo religioso rifare una parte di sé tocca una questione delicata, dato che è come se si ri-facesse qualcosa che è stato fatto (creato) dalla mano di qualcun altro. In questo senso la responsabilità del chirurgo plastico diventa molto importante, soprattutto se ha a che fare con pazienti dalle idee poco chiare. Ecco perché è importante affidarsi alle mani di un bravo chirurgo sia per ragioni di sicurezza che di estetica.
Richiesta di precisione e consapevolezza sono le due parole magiche che devono essere ben tenute a mente da chi ricorre al chirurgo plastico. Per evitare brutte sorprese è bene essere informati in anticipo del risultato finale che si otterrà dall’intervento. Cosa che oggi è appunto possibile grazie ai programmi del computer che riproduce il viso in forma tridimensionale. “Il rischio potrebbe essere quello di una dismorfofobia, cioè di una visione soggettiva deformata dell’immagine di sé, che determini un mancato riconoscimento trovandolo non consono ai suoi desideri quando non addirittura sgradevole – chiarisce il Professore Pani, psicologo clinico e psicoanalista. È molto importante inoltre che il paziente chiarisca il più possibile a se stesso e al medico come vorrebbe ottenere la correzione chirurgica, in modo da evitare scontentezze rispetto alle attese iniziali.
Pare che il rischio di non riconoscersi nella propria nuova immagine non sia affatto raro. “Sin da bambini custodiamo dentro di noi la nostra immagine estetica, della quale possiamo essere certamente compiaciuti, ma che in seguito alla crescita possiamo trovare poco gradevole – spiega lo psicoanalista Pani. – Ciò accade perché la nostra immagine fisica cambia in modo da discostarsi alla nostra immagine estetica ideale, con il risultato di non piacerci. Pensiamo, per esempio, a un tipo di naso – piccolo e all’insù magari – che vediamo negli altri e lo invidiamo senza astio, in quanto emuliamo tali persone che possiedono tali caratteristiche: vorremmo avere le stesse fattezze.
Pertanto, per evitare sorprese sarebbe opportuno che l’immagine ideale ottenuta dopo l’intervento di chirurgia plastica si avvicinasse senza illusioni il più possibile a quella reale prima dell’intervento”. Ciò lo si ottiene grazie al lungo dialogo e confronto con il medico chirurgo.
Altrimenti più che cercare un’altra immagine è il caso di riflettere sul fatto che si cerchi un’altra identità, e in questo caso il campo va oltre la medicina estetica.