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Ecco chi ha già aderito alla nostra campagna
Un cibo da Frankenstein, una tecnologia pericolosa, perché capace di giocare con il Dna, ossia il patrimonio genetico, quell’invisibile “foglio di istruzioni” che dice a un essere vivente come deve funzionare. Gli organismi geneticamente modificati (Ogm), infatti, sono ottenuti inserendo nel Dna di una pianta geni di altri organismi (anche batteri). Sono stati proposti dall’industria alimentare come il cibo del futuro: sì, perché le coltivazioni Ogm sono capaci di resistere di più ai parassiti e hanno una resa migliore in agricoltura. E dunque aiuterebbero ad affrontare i problemi di fame e denutrizione nel mondo. Apparsi per la prima volta in via sperimentale quarant’anni fa, sono stati subito accolti con riserve e preoccupazione dalla comunità scientifica.
Tra i primi timori, quello che i pollini, spargendosi ovunque, contaminassero le altre colture compromettendo le coltivazioni tradizionali. Le industrie sementiere, che producono questo tipo di semi, hanno però continuato nella loro corsa e il mondo si è spaccato in due: da una parte Paesi come Usa e Argentina, dove le coltivazioni si sono estese, dall’altra Paesi come il nostro, dove c’è ancora, per prudenza, il blocco totale. «Il Governo italiano, finora, ha frenato la coltivazione degli Ogm, cercando di rallentare l’applicazione di norme internazionali che invece ne imponevano il via libera. Da noi, dunque, non vengono coltivati» dice Luca Colombo, segretario della Firab, Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica. «Si possono usare nell’industria alimentare e la legge impone che i prodotti dichiarino in etichetta se ne contengono più dello 0,9%, ma in commercio attualmente non ce ne sono. Non siamo però immuni: gli Ogm, infatti, vengono importati e utilizzati come mangimi per gli animali» continua Colombo. Cos’hanno di speciale le piante geneticamente modificate? Subiscono una trasformazione invisibile ma profonda.
L’Ogm più coltivato nel mondo, per esempio, è una varietà di mais nel quale è stato inserito materiale genetico che proviene da un batterio, Bacillus thuringiensis. Il Dna di questo mais, quindi, non è più solo vegetale. Il suo aspetto e le sue funzioni sono simili a quello naturale. I produttori sostengono che la pianta è sempre la stessa: produce pannocchie gialle, ha le foglie verdi e un ciclo vitale (dal germoglio alla maturazione) che dura un centinaio di giorni. L’unica differenza tra quella “incrociata” con Bacillus thuringensis e una varietà tradizionale è che la prima è più capace di difendersi dal principale parassita del mais, perché produce la proteina del batterio che uccide le larve. Ecco la sua forza, secondo i produttori. Una piccola differenza sì, che però, può creare problemi. Gli scienziati hanno prodotto diversi studi che rivelano aspetti inquietanti degli organismi transgenici (gli Ogm si chiamano anche così). A cominciare dai rischi per la salute. A settembre Gilles- Eric Séralini e Joël Spiroux de Vendômois, dell’Università di Caen, in Francia, hanno pubblicato una ricerca durata due anni su una particolare varietà di topi alimentata con mais Ogm. Che cosa è emerso? Che gli animali nutriti con Ogm hanno sviluppato un numero maggiore di tumori rispetto a quelli che mangiavano normalmente. È partito l’allarme generale.
«Giocare con i geni può essere pericoloso» dice Marcello Buiatti, docente di genetica all’Università di Firenze. Buiatti ha fatto studi sul mais transgenico dimostrando imprevisti fenomeni di ricombinazione. Cioè, cosa significa? «Il materiale genetico è “dinamico”, ha la straordinaria capacità di modificarsi. Quando i cambiamenti avvengono naturalmente, se la mutazione ha un carattere negativo, la pianta muore. Nel caso degli Ogm, invece, forziamo una situazione senza neppure sapere quali danni genetici può provocare nel tempo» conclude Buiatti.
«Negli ultimi anni abbiamo dimenticato l’applicazione del “principio di precauzione”, che, fra l’altro, fa parte del trattato che fonda l’Unione europea» aggiunge Luca Colombo. Questo principio nel caso degli Ogm ci dice che, prima di dare loro il via libera, andrebbero valutati alcuni aspetti finora inesplorati. Primo, la possibilità che organismi normalmente non presenti nella catena alimentare possano causare allergie. Secondo, la possibilità che chi mangia Ogm diventi resistente agli antibiotici, visto che in alcuni di questi semi viene inserito un gene che rende le coltivazioni resistenti proprio a questi farmaci.
E, lo avevamo già annunciato, ci sono anche rischi per l’ambiente. Le piante Ogm, come tutte, producono polline, che feconda altre piante. Il risultato è che i loro geni raggiungono quelle tradizionali e le contaminano. Non è una scoperta di oggi. Alla fine degli anni Novanta, Percy Schmeiser, agricoltore canadese, mentre irrorava le sue piante di canola (una varietà di colza) con il diserbante, ebbe una sorpresa: anche dove eccedeva nelle dosi, la pianta sopravviveva. Si trattava evidentemente di canola Ogm, messa a punto per evitare la perdita del raccolto anche con dosi elevate di pesticida. Schmeiser non aveva mai acquistato sementi Ogm. Ma i suoi vicini sì. Il timore, dunque, è che se le coltivazioni Ogm si diffondessero nei campi, non sarebbe più possibile fare scelte diverse. Per esempio, una coltivazione biologica potrebbe essere contaminata. «Molti in Italia si stanno battendo perché venga varata la “clausola di salvaguardia”, cioè una clausola, adottata anche da Austria, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo e Ungheria, che vieterebbe la coltivazione e l’importazione di Ogm. Ma c’è bisogno di un grande supporto da parte della gente. È necessario anche un piano per adottare foraggi locali e più efficaci controlli sulle sementi importate» è la conclusione di Colombo. Un invito ad alzare il livello di attenzione che vale per tutti. Wellness c’è.
Chi ha già aderito alla nostra campagna
Parte con questo numero di Wellness la nostra campagna anti Ogm. Ecco le prime 10 firme di personaggi del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo che ci sono arrivate. La nostra raccolta cresce e continua. In ogni numero vi terremo aggiornate sulle adesioni. Se volete aderire anche voi e lasciare i vostri commenti, scrivete all’indirizzo [email protected]
1_Ivan Novelli, presidente Greenpeace Italia
2_Paola Maugeri, conduttrice tv, autrice di La mia vita a impatto zero (Mondadori)
3_Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente
4_Susanna Tamaro, scrittrice
5_Paolo Petrini, vicepresidente Regione Marche assessore all’agricoltura
6_Luca Zaia, presidente Regione Veneto
7_Tessa Gelisio, conduttrice di Pianeta mare
8_Paolo Carnemolla, presidente Federbio
9_Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onoraria del Fondo ambiente italiano
10_Stefano Leoni, presidente WWF.
Ogm nel mondo
Dal 1994, quando è stato introdotto sul mercato il primo organismo geneticamente modificato (si trattava di un pomodoro che non marciva) a oggi, gli Ogm si sono diffusi in tutto il mondo. Gli esperimenti sono stati condotti su centinaia di piante, ma di queste ne sono state messe in commercio solo quattro: soia e mais per prime e, a seguire, canola (una varietà di colza) e cotone. Molte varietà hanno dato risultati fallimentari. Altre non hanno mantenuto nel tempo le caratteristiche per le quali erano state messe a punto. Ciò nonostante circa 160 milioni di ettari nel mondo sono coltivati con le piante transgeniche. I Paesi con la maggiore estensione sono gli Stati Uniti (69 milioni di ettari), dove risiedono anche le aziende che hanno messo a punto questa tecnologia. A seguire Brasile (30,3) e Argentina (23,7). Più distanti India (10,6), Cina (3,9), Paraguay (2,8) e Pakistan (2,6). In Europa gli Ogm sono presenti in pochi Paesi e in piccole quantità (114,490 ettari in tutto): Portogallo, Spagna, Germania, Svezia, Repubblica ceca, Polonia e Romania.