Un compito complesso, forse titanico, quello di stare vicino a un depresso, soprattutto se di professione non si fa lo psicoterapeuta. Si rischia di minimizzare o, al contrario, di lasciarsi prosciugare dalla sofferenza dell’altro. Nel mezzo c’è il capitolo – delicatissimo – su cosa non dire una persone che soffre di depressione.
«Prima di affrontare un qualsiasi discorso su come stare vicino a un depresso, è doverosa una premessa che classifichi gli stadi della depressione» spiega il Professor Roberto Pani, psicoterapeuta e docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna. «Per motivi di chiarezza li sintetizziamo in 3 livelli:
- 1) livello cosiddetto “semplice”, caratterizzato dalla melanconia, una condizione non preoccupante, che è più caratteriale che patologica (ad esempio una persona che ha uno stato basso dell’umore e che si lamenta molto della sua vita);
- b) livello più serio di depressione, che richiede un aiuto professionale di tipo psicoterapeutico o farmacologico (una persona che ha diverse cadute dell’umore che le impediscono di vivere appieno la vita o la rendono molto faticosa);
- c) la depressione maggiore, cioè la condizione più grave e invalidante (ad esempio una persona che fa fatica a svolgere le attività più banali del quotidiano, e che passa la maggior parte del tempo a letto)».
Come stare vicino a un depresso
Chi soffre di depressione sostiene – contro chi non gli crede – che non si può comprendere come ci si sente quando si è depressi, se non lo si è mai stati per davvero. Ed è proprio alle persone che vivono accanto a un depresso che si rivolge la nostra guida in 10 punti.
Ci sono frasi che possono peggiorare il mal di vivere dell’altro, anche se dette a fin di bene. «E ci sono convinzioni che sono più deleterie di un evento drammatico, perché nella mente del depresso risuonano come colpevolizzanti, col risultato di farlo precipitare ancora più a terra. “Volere è potere, e se ti impegni vedrai che riuscirai a tirarti su” – niente di più sbagliato! La verità è che il depresso non ce la fa a fare determinate cose. Inoltre, non è una questione di volontà: fosse per lui non vorrebbe certo stare così male» spiega lo psicoterapeuta.
Che fare allora? «Immedesimarsi empaticamente nei panni del depresso, cercando di comprendere il suo punto di vista, e non imporre il proprio».
Come parlare a un depresso
«La regola generale con i depressi è prima di tutto quella di prenderli sul serio e di concentrarsi sul tipo di problema che effettivamente hanno, cercando di distinguere se la loro depressione è reattiva, cioè dovuta a qualche evento in particolare; oppure se è endogena, cioè se c’è sempre stata a prescindere dagli eventi esterni» esordisce lo psicoterapeuta Pani.
Come capire la differenza? «L’amico, parente, collega deve espressamente chiedere (con tatto) se è accaduto qualcosa che lo ha fatto precipitare nel baratro, o se si è sempre sentito così male – spiega l’esperto – Se lui/lei continua a negare che non c’è stato nulla di scatenante, è bene insistere (sempre con delicatezza) se le cose al lavoro, in amore o in famiglia vanno male: alla fine attraverso qualche domandina mirata qualcosa del suo vissuto viene fuori».
La persona depressa ha le “antenne ipersensibili”, e capisce subito se l’altro non crede al suo male di vivere.
Attenzione alle frasi: è sbagliato dire “ci sono problemi peggiori”, “non è niente di che “, “i problemi sono altri”, “tirati su”: sono tutti modi di dire retorici che non fanno che peggiorare il suo umore.
Cosa non dire
La regola N.2 da seguire nel comportamento con il depresso è quello di ascoltare ciò che lui/lei ha da dire (anche se vi suona lamentoso, insensato ed esagerato!), senza togliergli continuamente la parola.
«L’ascolto è fondamentale, ma deve essere fatto bene: in questo momento delicato non vanno riferite le proprie opinioni né dati i propri consigli – spiega il dottor Pani – il depresso non li richiede né desidera sapere come la pensiate voi sul suo stato d’animo».
Il depresso vuole solo essere ascoltato. Con empatia.
«Implicitamente, egli chiede che venga rispettato il suo vissuto e che non venga fatto nessun confronto con la realtà o con chi gli è accanto: “al posto tuo, io farei così”, “non mi sembra una cosa così grave”, “guarda chi sta peggio di te: non la fa mica così drammatica, eppure vive lo stesso!” sono frasi letali per il depresso che aggraverebbero il suo già forte senso di colpa per sentirsi così a terra».
In sintesi, è sbagliato banalizzare il racconto del depresso (anche se a te sembrano problemi inutili) perché ciò peggiorerebbe il suo umore.
…e cosa dire
Dopo l’ascolto empatico, subentra il ruolo più attivo di chi vuole stare vicino al depresso in maniera costruttiva, cioè cosa dire. E siamo alla regola N. 3.
«Per alleviare il suo male di vivere, è importante relativizzare le affermazioni drammatiche che la persona depressa fa, e mostrarle sempre l’aspetto positivo – continua lo psicologo – se ad esempio lui/lei dice “Mi sento solo, nessuno mi cerca, la mia vita fa schifo” è bene ribadire con garbo che “in realtà c’è quell’amico che ti vuole bene perché ha fatto questo e quell’altro per te ecc.”».
Le poche cose che vanno dette al depresso, devono essere sempre valorizzanti della sua vita, e non devono mai mirare a farlo sentire in colpa o giudicato: «l’atteggiamento giusto è quello di rinforzare le cose belle che ci sono intorno a lui, senza mai negare la sua depressione – continua l’esperto – bisogna partire dal presupposto che quello che lui dice è vero (almeno lo è per lui!)».
Il depresso, lo ricordiamo, non ha bisogno di un trattato di psicologia moderna per stare meglio.
Sdrammatizzare? «Sì e no, dipende da come lo si fa: se si sdrammatizza troppo, si rischia di minimizzare la sua depressione, e quindi di dare l’impressione di accusarlo di aver torto ad essere così depresso». Meglio un atteggiamento di sdrammatizzazione lieve, che non sconfini nella banalizzazione.
Non aggravare la situazione
Probabilmente è difficile da parte di chi non ha mai sofferto di depressione comprendere che un comportamento sbagliato può peggiorare la situazione, anche se fatto in buona fede.
«Una frase stonata, una minimizzazione, un desiderio di forzare il depresso a tirarsi su da solo, possono farlo arrabbiare, farlo sentire solo, in colpa fragile e quindi… ancora più depresso – spiega lo psicoanalista Pani – In alcuni casi, semplici depressioni, come ad esempio la distimia (stato di umore basso continuo che non impedisce di avere una vita sociale attiva ndr.), se continuamente sminuite possono evolvere in un quadro patologico più serio».
È sbagliato dire “Non è niente, sei tu l’esagerato”, “non hai nessun motivo per stare così male”, “hai tutto ciò che dovrebbe renderti felice eppure sei sempre lì a lamentarti”.
Evitare di far sentire il depresso ancora più solo
«Chi è depresso ha degli “interlocutori interni negativi” con i quali dialoga – spiega l’esperto – sono come delle voci di grilli parlanti che gli ripetono continuamente che è un fallito, perdente, non vale niente ecc. Ebbene, immaginiamo un interlocutore, questa volta esterno (cioè reale) che non prenda sul serio la sua depressione, questi non fa altro che rinforzare queste voci svilenti, facendolo sentire ancora più solo.
L’atteggiamento costruttivo dell’amico, invece, deve essere quello di rappresentare un’alternativa ai pensieri negativi che continuamente lo abbattono, cercando di farlo sentire accettato e accolto nel suo malessere».
Come capire che si è nella direzione giusta? Basta un mezzo sorriso da parte dell’amico depresso: vuol dire che le sue parole sono riuscite ad alleviare il suo dolore almeno un po’. Dall’altra parte, chi soffre avrà la sensazione di poter contare su una persona che gli vuole bene, che lo rispetta anche se sta male e che soprattutto non lo giudica.
Non forzarlo
È giusto o sbagliato forzare l’amico depresso a fare delle cose? «No, non è sbagliato, ma bisogna vedere quali cose si invita a fare – risponde lo psicoterapeuta Pani – Le attività devono essere compatibili con il suo umore. Non è fruttuoso spingere un depresso ad andare a ballare se fa fatica per esempio a vestirsi o a pettinarsi! È molto più saggio invitarlo a fare una breve passeggiata nel vicinato, possibilmente di giorno e alla luce del sole».
E se il depresso è così grave che passa i giorni nel letto? In questo caso, chi è in casa con lui può delicatamente invitarlo a fare dei giochi di società, per esempio a carte, oppure sfogliargli una rivista.
Proporre una cura contro la depressione: sì o no?
Come posso proporre al depresso di farsi curare? «La questione è molto delicata, perché spesso il depresso non si rende conto della sua depressione, e in caso affermativo, fa fatica ad ammetterla. Sicuramente un invito palese a rivolgersi allo psicologo è controproducente, perché potrebbe suonare come un ordine o additarlo con un: “sei malato!“».
Le persone depresse, inoltre, hanno paura delle figure specialistiche (chiamiamole “dottore, medico, psicologo, psichiatra” ecc.), perché temono che il loro male venga “medicalizzato”. Insomma non vogliono sentirsi “pazienti”, ed è il motivo principale per cui molti rifiutano le medicine.
«Così, non sentono di aver bisogno di aiuto perché, nel proprio vissuto fallimentare, l’unico baluardo che li sostiene dal precipizio, è proprio il fatto di avere un minimo di autosufficienza di continuare a farcela nonostante la sofferenza mentale.
Se gli si dice espressamente di aver bisogno del dottore, si sentono sminuiti. Ecco che preferiscono chiudersi in se stessi, stare nel letto o rimanere immobili, ma almeno conservano l’orgoglio (è un concetto che spesso dicono a chiare lettere) di non aver bisogno di nessuno!».
Come suggerire di andare in terapia
«Se ti rendi conto che il tuo amico o parente ha bisogno urgentemente della psicoterapia o dei farmaci, suggerisco di proporre le cure con molta delicatezza – incalza il dottor Pani – Per riuscire nell’intento, è bene far capire al depresso che ci sono figure specializzate ad avere colloqui con chi non sta bene. Tanto per cominciare, meglio non chiamarli “dottori” o “psicologi”, ma riferirsi a persone che sono disponibili ad ascoltarlo, anche in modo occasionale. Far capire che non sono “giudici” che fanno diagnosi apocalittiche, ma specialisti dotati di sensibilità e che non hanno un atteggiamento psichiatrico».
Una mossa furba può essere quella di coinvolgere il depresso dicendo: “Anch’io ci andrei perché a volte non mi sento molto bene, e farmi ascoltare mi aiuterebbe a sentirmi meno solo”.
Che fare quando il depresso ha finalmente accettato di farsi curare? «Incoraggiarlo a fargli comprendere che è la scelta giusta, non interferendo in alcun modo con le cure: evitare di chiedere cos’ha detto il dottore, mettersi in competizione con il percorso psicoterapeutico, dare opinioni, sindacare sugli eventuali medicinali…altrimenti al primo dubbio appena sollevato (da chi psicologo o medico non è), il depresso coglierà l’occasione per scappare e abbandonare la cura».
Come “sopravvivere” accanto a un depresso
Cosa fare per non lasciarmi travolgere dall’amico depresso? «Se è possibile, evita di stare troppo col depresso, soprattutto se ti senti in una fase sensibile e melanconica: potresti coinvolgerti in maniera eccessiva e rinforzare reciprocamente il vostro umore basso – suggerisce l’esperto – Cerca di distrarti, prenditi delle pause, sii consapevole del fatto che la depressione attacca, come se fosse un male contagioso».
Se sei una persona forte e positiva, è difficile che tu corra il rischio di immalinconirti, soprattutto se i contatti sono brevi e svolti a mente sgombra da preconcetti o dai tuoi problemi personali.
Nel caso in cui il depresso viva con te e sia inevitabile respirare l’aria cupa in casa, valgono le regole generali di prendersi delle pause e sospendere il giudizio. «Ma soprattutto ricorda che non spetta a te, amico o parente, curare o aiutare il depresso. E che se non te la senti di stargli vicino, i tuoi motivi sono legittimi, e non devi sentirti in colpa.
Per la salute di entrambi, è meglio una presenza silenziosa piuttosto che un forzato supporto, magari accusatorio e giudicante. Un “non far nulla” è decisamente più edificante di un “fare ma in modo sbagliato“» conclude il Prof. Roberto Pani.