Uno, nessuno e centomila è la versione di Pirandello. E invece il nostro punto di vista su chi siamo realmente quanto coincide davvero con la realtà? Fino a che punto fingere di essere un’altra persona condiziona davvero la nostra vita?

Che si tratti di indossare una maschera o un mantello poco cambia: vestire i panni di qualcun altro è sempre un pessimo consiglio di stile e, soprattutto, di vita. Scopriamo quindi perché fingere di essere un’altra persona non solo non ti porterà da nessuna parte, ma ti renderà anche profondamente infelice.

Fingere

Inutile negarlo, fingere è una cosa connaturata nell’essere umano: la impariamo fin da piccoli e ce la portiamo dietro fino alla fine dei nostri giorni.

Fingere di essere una principessa, fingere che non importi non esserlo. Fingere che qualcuno ci piaccia o che qualcosa ci convinca. Fingere che vada tutto bene. Lo facciamo tutti, sempre, continuamente. E siamo anche bravi. Ma ci crediamo sul serio?

A furia di fingere di essere un’altra persona noi stessi potremmo finire col crederci. E se in alcuni casi l’interpretazione da oscar potrebbe portare al tanto ambito premio (rarissimi casi), la maggior parte delle volte il rischio è quello di fare a vita la controfigura di qualcuno che neanche esiste.

Sempre a metà tra un moderno antieroe che non riesce mai a prendersi il palcoscenico e un Mattia Pascal immaturo e inconcludente. Non una persona ma un personaggio dal cui punto di vista anche la certezza più assoluta diventa relativa.

Essere o non essere

Anche se la radice del dubbio amletico era un’altra, la perifrasi shakespeariana ben si presta ad indicare il dilemma che invece affligge molti di noi: essere accettati per quello che si è o non essere sé stessi e fingersi qualcun altro.

Fingere di essere un’altra persona in alcune situazioni può infatti essere più semplice e sicuramente più producente. Ma dove ci porterà alla fine?
Sul lavoro come nella vita privata, da nessuna parte. O meglio, da nessuna parte per troppo tempo.

Perché essere o non essere sé stessi non è una scelta che l’uomo può compiere, ma una condizione che si trova semplicemente a vivere.

Nessuno può indossare le scarpe di qualcun altro troppo a lungo senza poi trovarle scomode. E lo sappiamo tutti: per arrivare dove si vuole le scarpe sono un fattore tutt’altro che trascurabile.

Essere qualcuno o qualcosa

Uno dei compiti che più frequentemente ci viene dato è quello di parlare di noi stessi: iniziamo con i disegni da piccoli e non finiamo più con cv e lettere di presentazione da adulti.

Credenziali, titoli, esperienze di lavoro e di vita per dimostrare al mondo che per essere qualcuno bisogna necessariamente essere qualcosa. Un qualcuno che esiste solo sulla carta e un qualcosa che solo i ranking di valutazione possono misurare.

Fingere di essere un’altra persona, soprattutto in questi casi, non ti porterà da nessuna parte perché ciò che fai definisce ciò che sei solo nella misura in cui ti rappresenta.

Essere autentici nella vita lavorativa significa infatti accettare sé stessi riconoscendo il proprio valore.

Ognuno ha delle qualità su cui puntare e che rappresentano il suo fattore critico di successo. Trascurarle fingendo di averne altre equivale a perdere la propria opportunità di essere speciali.

Essere nessuno

Uno dei motivi più frequenti che spinge un soggetto a fingere di essere un’altra persona è la paura di essere “nessuno”.

E nonostante Ulisse ci abbia insegnato che, anche nei panni di “nessuno”, si possa fare la differenza, la tendenza dell’animo umano rimane quella di essere troppo vulnerabile ai giudizi e poco incline agli insegnamenti.

Quindi si sceglie spesso di imbottire il proprio ego di pasticcini di falsità e pillole di finzione piuttosto che arricchire il proprio vocabolario di parole, il proprio spirito di pensieri e il proprio comportamento di azioni più accettanti, inclusivi e aperti alle infinite possibilità che abbiamo a disposizione.

Se infatti fingere di essere un’altra persona può anche portare sul palcoscenico, conquistarlo e prendersi la scena non è per niente scontato.

Peter G. Vajda, founding partner della True North Partnering ed esperto di life coaching e counselling, sostiene infatti che alle volte essere il collaboratore piuttosto che il responsabile, stare dietro le quinte anziché sotto la luce dei riflettori, può rivelarsi addirittura rigenerante.

Fare un passo indietro, informarsi, osservare e ascoltare sono infatti skills fondamentali da non sottovalutare per evitare di trovarsi in “braghe troppo grandi” per la propria taglia.

L’insostenibile leggerezza dell’essere

Se già essere sé stessi è difficile, fingere di essere un’altra persona può diventare insostenibile.

Libertà e giustizia sono forse parole troppo ingombranti per essere scritte nella stessa frase, ma è giusto avere la libertà di essere sé stessi. Pensare, fare, vivere secondo le proprie inclinazioni ed abitudini, mettendo da parte i pensieri negativi.

Fingere di essere qualcun altro non ti porterà da nessuna parte perché nel romanzo a puntate che è la vita scomposizione e ricostruzione sono le parole d’ordine. Responsabilità e consapevolezza le chiavi per ricomporre il puzzle quando si disfa. Ma non esiste autodeterminazione nella finzione.