Cosa è il restorative yoga

“Ho scoperto che “sdraiarsi” sui bolster non è affatto noioso, anzi, è qualcosa di incredibilmente coraggioso: è un atto di accoglienza e riflessione, che ci permette di abbandonare la nostra ossessione per la produttività e il nostro costante bisogno di fare, e ci consente invece di creare uno spazio in cui essere. In questo luogo, e specialmente nei momenti di quiete dopo la pratica, scopriamo una lezione preziosa: siamo già completi. E così, impariamo a lasciare spazio alla creatività, ad accogliere l’intuizione e a incoraggiare la nostra saggezza”. Sono le parole che Lizzie Lasater scrive nella prefazione del libro “Restorative Yoga. Ritrova la calma, gestisci ansia, rabbia, depressione” di Audrey Favreau. Tutti noi abbiamo modi con cui ritrovare la calma, tuttavia spesso non siamo pienamente consapevoli di che cosa è in grado di darci serenità. A volte finiamo per abituarci a usare un tramite che sappia traghettarci verso le pacifiche onde del rilassamento, per esempio un bagno caldo, un buon bicchiere di vino o svuotiamo la mente navigando su internet. L’obiettivo del restorative yoga è ricordarci che abbiamo per natura uno strumento prezioso: il nostro corpo.

“Mi piace fare il paragone tra la pratica del Restorative Yoga e la sbucciatura di una cipolla. Mentre entriamo sempre più in profondità con noi stessi, ci liberiamo lentamente da ferite profonde. Più prendiamo cura di noi stessi, più abbiamo energia ed empatia per noi e gli altri. Ogni volta che praticate è un dono anche per gli altri, perché offrite loro il regalo di una presenza radicale”
Audrey Favreau

L’arte di lasciar andare

Negli Yoga Sutra di Patanjali viene descritta “Duhkhadaurmanasyāngamejayatvaśvāsāpraśvāsā viksepasahabhuvah”: è la condizione di una vita piena di afflizioni, i cui sintomi possono manifestarsi con dolori a livello fisico, tremori, abbattimento dell’anima, difficoltà nella respirazione. In altre parole, qualcosa di molto simile a ciò che nella cultura occidentale è stato chiamato stress, che oggi sappiamo essere una vera e propria patologia in grado di provocare e aggravare numerosi disturbi a livello psicofisico. Lasciar andare come strategia opposta al controllo è qualcosa che l’autrice ha dovuto imparare sulla propria pelle, attraverso il dolore. Sofferenza per un lavoro gratificante ma intenso, dispiacere per non riuscire a diventare mamma, endometriosi, un divorzio e la sensazione di una pressione, localizzata a livello del petto, che apparteneva anche alle emozioni difficili da gestire della vita.

Scalare la marcia e rallentare, che effetto ti fa pronunciare questa parola? All’inizio degli anni Sessanta Thomas H. Holmes e Richard H. Rahe, psichiatri della Facoltà di Medicina dell’Università di Washington, formulano una lista degli eventi più stressanti dell’esistenza. Fra le cause maggiori di stress la morte del coniuge, seguito da divorzio, separazione, carcere, lutto di un familiare, malattia e persino il matrimonio, fonte di stress ancor più che il licenziamento. Nella nostra vita sono innumerevoli i piccoli e grandi shock che ogni giorno impariamo a sostenere, fin da bambini. Ci hanno insegnato che dobbiamo reagire in fretta, di corsa andare avanti e passare oltre. Lo facciamo per anni: iniziamo a scuola (perché non è vero che la vita dei più piccoli sia sempre semplice), continuiamo all’università e con il lavoro, la famiglia, anno dopo anno, dribblando gli ostacoli e puntando alla meta. Eppure, poi a un certo punto può accadere che qualcosa si sia inceppato, il classico granello di sabbia nell’ingranaggio. Tutti i pesi portati di colpo non riusciamo più a sostenerli, la schiena e la volontà si spezzano, non riusciamo più a mandare giù il rospo, un nodo in gola e sul cuore.

“C’è sempre qualcosa che blocca il raggiungimento di una condizione di rilassamento. All’inizio, la nostra mente può accelerare e afferrare tutto ciò che attira la sua attenzione: un dolore fisico, un’emozione, una preoccupazione. Non lasciate che le vostre prime esperienze screditino la pratica. Abbiate fiducia”
Audrey Favreau

Come nasce il Restorative Yoga

Nella sua scuola a Puna, in India, B.K.S Iyengar è il primo a utilizzare supporti come aiuto per le asana. In genere si tratta di bastoni e mattoni trovati per la strada: mantenere la posizione con un supporto è più facile. Il termine sapasray, già citato nell’antico testo della Bhagavadgita, sembra significhi proprio queto, appoggiarsi a un supporto. Sedie, spessori e cunei, insieme all’uso delle corde, vengono quindi integrati nella pratica in modo da sperimentare le differenti posizioni dello yoga e al tempo stesso allentare le tensioni muscolari. Judith Hanson Lasater, insegnante e allieva di B.K.S Iyengar, nel 1994 nel 1994 pubblica il suo primo libro sul tema, “Relax and Renew”, scritto dopo la morte del fratello gemello. Per un anno intero Judith pratica un’unica posizione, Supta Baddha Konasana: non si tratta di una posizione attiva, ma semplicemente una postura di accoglienza. Scopre che questo l’aiuta ad aprirsi al dolore, ad attraversarlo, a sentire e lasciar fluire con intensità le emozioni.

Uno dei punti fondamentali del Restorative Yoga riguarda il tempo. La durata delle posture è 20-30 minuti: questo accresce i benefici a livello fisico, mentale ed emotivo perché le trasforma in una pratica meditativa e rilassante. Lo scopo? Calmare il sistema nervoso e passare dal sistema nervoso simpatico predominante al sistema nervoso parasimpatico predominante, ovvero, come suggerisce l’autrice, sostituire la risposta fisiologica “combatti o fuggi” con “rest and digest”. Sì, perché digerire non ha a che fare solo con il cibo. Sono anche le emozioni a dover essere digerite. Abbiamo bisogno di tempo per metabolizzare le impressioni sensoriali con cui veniamo in contatto, tanto più in un mondo che quotidianamente ci sommerge di stimoli. Assimilare la parte più nutriente e lasciar andare le tensioni diventerà un modo per nutrire il nostro essere nel profondo.

Prendersi cura del dolore partendo dal corpo

Nei momenti di intensa tristezza, il corpo tende a ripiegarsi su se stesso: si tratta di un atto di autoprotezione. Bo Forbes, psicologa clinica e terapista yoga, lo definisce “sindrome del cuore chiuso”: è una postura che esprime impotenza, disperazione e autodifesa. Il petto e la regione del cuore collassano, la respirazione diventa lenta e superficiale. Ulteriori sintomi fisiologici che possono presentarsi riguardano un aumento della frequenza e del flusso cardiaco, dolori lombari, tensione addominale, disfunzione degli organi interni, dolori lombari, retroversione del bacino. La postura è profondamente legata all’immagine corporea di noi stessi e contribuisce a esprimere come ci sentiamo veramente. Uno studio del 2010 condotto in Brasile ha evidenziato le metafosi del corpo nei disturbi dell’umore. Durante gli episodi depressivi, i pazienti presentavano una maggiore flessione della testa, un aumento della cifosi toracica, la tendenza alla retroversione della parte sinistra del bacino e l’abbassamento della scapola sinistra. Siamo depressi anche con il corpo, non solo con la mente. Ecco perché riallineare il fisico ha un impatto anche sul riequilibrio della psiche. Nella società in cui viviamo siamo abituati ad affrontare disturbi come la depressione utilizzando soprattutto un approccio mentale, senza considerare che il corpo rappresenta l’altra parte della cura, altrettanto fondamentale.

Come spiega Audrey Favreau, la quale sperimenta gli immediati benefici del Restorative Yoga in un momento di intenso stress, la pratica regolare modifica le abitudini di allineamento del corpo, aumenta la capacità respiratoria e promuove un movimento diaframmatico completo stimolando l’attività del nervo vago e riducendo i livelli di infiammazione. Un altro effetto collaterale riguarda la capacità di osservazione dei processi emotivi vissuti e il contatto con le emozioni profonde. Quando il corpo è a riposo e la mente è sveglia, interrompiamo per un attimo il rimuginare della mente, che oggi sappiamo essere una prepotente fonte di stress, e ci focalizziamo su ciò che avvertiamo con i sensi. iniziamo a prestare più attenzione alle sensazioni fisiche.

Hai 20 minuti? Prova questa postura: Savasana fasciato

La postura fasciata di Savasana è tratta dal libro “Restorative Yoga. Ritrova la calma, gestisci ansia, rabbia, depressione” di Audrey Favreau e ripropone la fasciatura, una pratica ancestrale del maternage. Avvolgere i neonati in una coperta ricrea il calore del ventre materno e dell’abbraccio. A ogni età sembra esserci un istinto primordiale che ci fa riconoscere come rassicurante e fonte di protezione il rifugio in un posto morbido che sappia accoglierci e avvolgerci. La postura fasciata di Savasana intende riprodurre questo effetto con l’aiuto di numerose coperte e quindi offrire l’opportunità di riconnettersi con le sensazioni viscerali della protezione materna.

Per la pratica
Ti serviranno un tappeto, cinque coperte e un cuscino per gli occhi

Controindicazioni
In caso di gravidanza di più di tre mesi, praticare Savasana sul lato

Esecuzione

  • Seduta sul tappetino, distendi le gambe davanti a te.
  • Piega in due una coperta, da posizionare dietro di te di modo che il piano più alto sostenga la testa e la settima vertebra cervicale e la parte più bassa sorregga le spalle.
  • Distendi una coperta sulle gambe per coprire le caviglie e le ginocchia.
  • Adesso ruota verso l’interno e avvolgile bene con la coperta, infilando i bordi di questa sotto i loro lati esterni, così che rimangano in posizione. In questo modo avrai riprodotto l’allineamento della posizione della montagna, Tadasana in sanscrito, che ti aiuterà a rilassare i muscoli psoas e la parte bassa della schiena.
Savasana
  • Copri i piedi con un coperta e posizionane un’altra sulle ginocchia e sulla pancia.
  • Come prima, avvolgiti spingendo i bordi della coperta sotto ciascun lato del corpo.
  • Poi, sdraiati sulla schiena e regola la coperta sotto la testa, avvolgendone i bordi fino al collo.
  • Sistema un’ulteriore coperta sul petto e posiziona le braccia con un angolo di quarantacinque gradi ai lati del corpo. È essenziale che non gli siano troppo vicine affinché non interferiscano con la respirazione.
  • Appoggia i gomiti sul pavimento, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto.
  • Solo il viso deve rimanere scoperto: copri gli occhi con il cuscino e poi avvolgi strettamente le braccia in modo che non si appoggino direttamente sul pavimento.
  • È il momento di rilassarti: puoi puntare una sveglia sullo smartphone così da dimenticare totalmente il tempo. Scegli un suono dolce o un gong e adesso goditi il tuo momento di silenzio, ritagliati da 20 a 25 minuti.
restorative-yoga-posizione

Durante il rilassamento
Inizia facendo diversi respiri profondi, ti aiuterà a rilassarti. Con l’immaginazione percorri lentamente tutto il tuo corpo, dalla parte superiore della testa fino alla punta dei piedi. Fermati quando senti un’area di tensione: davanti a una zona di resistenza anziché “pensarci” semplicemente accogli la sensazione abbracciandola. Grazie al potere della visualizzazione immagina te stessa nell’atto di prendere tra le braccia ogni parte del tuo corpo, così com’è, con i suoi dolori. Il tuo respiro ti sostiene. Guarda ogni parte dove senti tensione, ascolta il messaggio che ti porta, esprimi un desiderio e parlale, non denigrarla. Intanto osserva che cosa accade a queste aree del corpo, che spesso trascuriamo nell’ansia disperata di dover mantenere i ritmi folli della nostra vita e andare avanti.

Per uscire dalla postura
Trascorsi 20 o 25 minuti, diventa consapevole dei punti di contatto del tuo corpo con la terra. Fai dei respiri profondi. A un’espirazione, porta la parte bassa della schiena sul pavimento e staccati delicatamente dalle coperte in modo da poter piegare un ginocchio e poi l’altro. Con gli occhi ancora chiusi, prenditi qualche momento per sentire gli effetti di questa sequenza sul corpo, sulla mente e sulle emozioni. Prendi nota di eventuali modifiche, senza giudizio. Girati di lato e torna molto lentamente nella posizione seduta premendo sul pavimento la mano vicino al petto e aiutandoti con l’altra mano.