Gender pain gap: cos’è
Le donne hanno il doppio delle probabilità di soffrire di sclerosi multipla; il rischio di sviluppare l’artrite reumatoide è maggiore da 2 a 3 volte, che diventano 4 se si tratta di sindrome da stanchezza cronica. Eppure il loro dolore è come se “valesse meno”, semplicemente perché è sottovalutato rispetto a quello maschile. Il motivo è il Gender pain gap, una differenza di genere che non riguarda, in questo caso, le retribuzioni (gender pay gap) bensì il tipo di cure riservato alle pazienti, che sarebbero tardive e spesso inferiori rispetto a quelle offerte agli uomini.
Gender pain gap: il dolore delle donne è sottovalutato
Basti pensare che al pronto soccorso, secondo alcuni dati statistici, gli uomini ricevono antidolorifici in media dopo 49 minuti, mentre le donne devono attenderne 65, nonostante si trovino in condizioni analoghe. In caso di intervento chirurgico il divario aumenterebbe: secondo studi condotti sul Gender Pain Gap, le pazienti nella metà dei casi non ricevono un antidolorifico, che invece viene somministrato con maggiore facilità agli uomini sottoposti a identica operazione.
Gender pain gap: lo stereotipo delle donne ansiose
Spesso il motivo per cui si tarda nella somministrazione di alcuni farmaci alle donne è l’idea che queste ultime siano troppo ansiose e che percepiscano più dolore del reale. «È stupefacente, io stessa non avevo mai sentito parlare del gender pain gap prima di ascoltare le storie delle donne protagoniste del nostro podcast, che raccontano le loro esperienze con la malattia oncologica. Ma di esempi analoghi ce ne sono tanti: basti pensare a una patologia tipicamente femminile come l’endometriosi e a quanto tempo c’è voluto per arrivare a condurre studi scientifici su questo tema», spiega Carolina Di Domenico, conduttrice tv, radiofonica e di La strada davanti a sé, podcast di Chora Media giunto alla seconda edizione e promosso da Gilead Science. Ad affiancarla ci sono le voci di Franca, Gabriella ed Enrico. Nel primo episodio si parla anche di Gender Pain Gap.
Dolore maggiore, ma trattato in modo più blando
Il gender pain gap non è un poblema nuovo, ma finora si è stentato ad affrontarlo. Eppure fin dal 2001 Diane Hoffman e Anita Tarzian se ne erano occupate in un documento intitolato The Girl Who Cried Pain: A Bias Against Women in the Treatment of Pain, (“La ragazza che piangeva di dolore: una violenza contro le donne nel trattamento del dolore”), nel quale scrivevano che «le donne riportano livelli più gravi di dolore, incidenze più frequenti di dolore e dolore di durata più lunga rispetto agli uomini, ma sono comunque trattate per il dolore in modo più blando, meno aggressivo».
Gender pain gap: un problema culturale
Alla base di questa discriminazione ci sono stereotipi culturali: «Spesso si pensa che le donne, in quanto destinate a diventare madri o proprio perché madri, siano anche capaci di sopportare il dolore, che dunque non occorre in qualche modo lenire», sottolinea Di Domenico. «È un controsenso, perché si considera la donna contemporaneamente debole e forte. Ci sarebbe anche questo motivo alla base del 50% di diagnosi errate dopo un attacco di cuore nelle pazienti, come emerso da un sondaggio condotto nel 2020 nel Regno Unito. «Nella mia esperienza come ematologa oncologica non ho assistito a diversità di trattamento medico tra uomini e donne, ma a una differente risposta alla malattia da parte dei pazienti», spiega Prassede Salutati, Responsabile ambulatorio leucemie acute e mielodisplasie presso l’Ospedale Civile Dello Spirito Santo di Pescara, che ha collaborato al podcast.
Gender pain gap: le donne “devono” essere forti
«In campo oncologico non c’è una sintomatologia di genere, anche se l’atteggiamento dei pazienti di fronte alla malattia è spesso opposto e anche la risposta assistenziale. Io ho lavorato sia in reparti maschili che femminili, finché c’era questa separazione: mentre la donna nella maggior parte dei casi si mette a disposizione dell’uomo, quando questo è malato, gli uomini sono assolutamente assenti quando la patologia riguarda la moglie, la madre o i figli. Le pazienti, quindi, si trovano ad affrontare questo percorso pressoché da sole – spiega Salutati – non di rado sono loro che devono consolare il marito quando a loro stesse è diagnosticata una leucemia. Per questo penso che il sesso debole non sia la donna: il problema, con le dovute eccezioni, è invece una certa fragilità del maschio di fronte alla malattia, sia che riguardi lui, sia che colpisca un familiare».
Le patologie che fanno soffrire di più le donne
A volte, invece, i sintomi della patologia possono essere differenti, come per l’infarto. Per esempio, se nell’uomo si avvertono soprattutto dolore al petto e al torace, nella donna il dolore si può presentare alle spalle e alla schiena, associato a una diminuzione della tolleranza allo sforzo o a nausea. Esistono, poi, patologie più prettamente femminili, come endometriosi, dismenorrea, dispareunia, vulvodinia, emicrania e fibromialgia, che si accompagnano a dolore cronico. Se sottovalutato, però, può portare a conseguenze importanti anche sulla sfera emotiva e psicologica.
Le conseguenze del dolore femminile sottovalutato
Alla condizione di sofferenza data da una malattia, dunque, si può aggiungere la frustrazione di non essere credute o di non essere curate in modo adeguato. «Come se non bastasse la malattia, quindi, c’è anche questa disparità rispetto al dolore, nella valutazione della sua entità. Ci sono situazioni nelle quali, per esempio nella storia di una delle due donne del podcast, questa non aveva sintomi evidenti associabili al tumore, ma una serie di malesseri: ebbene, lei ci ha messo molto ad arrivare alla diagnosi. È qualcosa su cui occorre intervenire e anche le nostre storie speriamo servano a sensibilizzare sul tema», conclude Di Domenico.