Spesso è il sintomo di qualcosa che non va nel nostro organismo, un campanello d’allarme che ci consente di correre ai ripari. Ma quando il dolore, da sintomo temporaneo, si trasforma in un disturbo persistente, che dura oltre 3-6 mesi, e alla sofferenza fisica si aggiungono depressione, ansia e disabilità, siamo di fronte a una vera e propria “malattia”, che compromette la qualità di vita della persona.
Quanti di noi ne soffrono? Si stima che quasi 15 milioni di italiani combattano con una forma di sofferenza cronica non oncologica, prevalentemente donne e anziani. Stiamo parlando di patologie quali emicrania, fibromialgia, artrite reumatoide, osteoartrite, artrosi e dolore pelvico. Ma anche dolori post-operatori o traumatici, lombalgie, sciatica, fuoco si Sant’Antonio. Nel gentil sesso il dolore è più frequente e intenso che negli uomini, anche perché gli ormoni femminili (estrogeni) incrementano la reattività del sistema nervoso e, di conseguenza, la trasmissione del sintomo doloroso. Lo conferma una recente indagine della Stanford University, secondo cui le donne soffrirebbero circa il 20% in più.
Ma al dolore non ci si deve rassegnare. È una malattia che si può e si deve combattere, senza lasciare che diventi una spiacevole compagna di vita. Oggi abbiamo tutti gli strumenti, normativi e terapeutici, per poterla sconfiggere. Innanzitutto una rivoluzionaria normativa dello Stato italiano, la Legge n. 38 del marzo 2010, che sancisce il diritto di ogni cittadino a non soffrire. Il dolore quindi, per legge, deve essere misurato (secondo scale di valutazione validate scientificamente), registrato, opportunamente trattato in base alla sua intensità e tipologia e monitorato nel tempo, per valutare l’efficacia delle terapie adottate. Al diritto all’assistenza del malato, corrisponde l’obbligo di cura per il medico.
La normativa ha introdotto un’altra importante novità: ha semplificato la prescrizione dei farmaci oppiacei, medicinali che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e le Linee Guida internazionali indicano come i più appropriati per il trattamento delle forme di dolore moderato-severo. Inoltre, ha istituito 2 reti assistenziali distinte: la prima, con gli Hospice, assicura l’accesso alle cure palliative da parte dei malati terminali; la seconda, cui fanno capo Centri e Ambulatori di terapia antalgica, assicura l’assistenza ai pazienti con dolore cronico.
Il primo passo da compiere, dunque, è quello di rivolgersi al proprio medico di famiglia, che valuterà se è il caso di indirizzare il paziente verso queste strutture specializzate, in base alla complessità del suo caso. Ciò a cui si assiste, invece, è molto spesso il fai-da-te, l’autocura, con tutti i rischi che questo può comportare. Lo dimostra una recente indagine Doxa, che ha evidenziato come oltre la metà dei pazienti con dolore ricorra all’automedicazione, bypassando il proprio medico.
Esistono numerosi trattamenti farmacologici che possono essere utilizzati per risolvere la patologia dolorosa. I FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) possono essere efficaci per il dolore acuto di natura infiammatoria, ma hanno una limitata potenza antalgica e vanno utilizzati solo per un periodo di tempo limitato, a causa dei molteplici effetti collaterali che comportano. Spesso noi italiani ne abusiamo, tanto da risultare tra i primi Paesi al mondo per consumo di FANS!
Abbiamo invece ancora timori ingiustificati nei confronti degli analgesici oppioidi, nonostante possano essere utilizzati con buoni risultati, anche in pazienti affetti da dolore cronico di natura non oncologica e nei pazienti anziani. Questi farmaci, usati in modo corretto e dietro prescrizione medica, risultano molto efficaci e hanno effetti collaterali ridotti; le nuove formulazioni sono oggi ancora più sicure e meglio tollerate. Rispetto ai FANS, i medicinali oppiacei sono più indicati per curare un dolore cronico moderato-severo in una vasta gamma di situazioni (dal dolore osteoarticolare a quello oncologico); consentono inoltre trattamenti di lungo periodo, senza causare danni gastrointestinali, renali e cardiovascolari, tipici delle terapie protratte nel tempo a base di antinfiammatori non steroidei.
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