Tutto cominciò per colpa della mia amica Giovanna che è più vecchia di me e si dà sempre molte arie. «So fare la posizione del ponte» si vantò un giorno. Non le diedi soddisfazione e lei alzò il tiro: «Parto stando in piedi, estendo la schiena, mi rovescio e atterro con le mani all’indietro». Colpita e affondata. Verde di invidia, giocai la carta della diffidenza: «Non ci credo». E invece era tutto vero. Mi spiegò che aveva cominciato a praticare yoga per caso qualche anno prima e adesso sapeva fare il ponte («Urdhva Dhanurasana, in sanscrito» si compiacque), la gru («Bakasana» gongolò) e stare in equilibrio sulla testa («Shirshasana, sempre in sanscrito» «Piantala, se non vuoi che ti rompa tutti i chakra in un colpo solo»).

Io e lo yoga, dopo i 50 anni

Così, cinque anni fa, mi iscrissi a un corso di yoga. Lo feci spinta dal livore nei confronti di Giovanna. Lo feci in preda a trance agonistica perché dovevo dimostrare a me stessa che anche io, come e più di lei, potevo farmi ponte, gru e contorsionista circense. Lo feci anche perché avevo bisogno di muovermi ma con la corsa mi veniva la sciatica, con il nuoto la cervicalgia, con la zumba l’alienazione.

C’è il tempo dell’apprendimento. È un tempo di semina, acerbo e ingrato, in cui tutto è dovuto e i maestri sono altri. C’è poi il tempo della maturità e del raccolto, di competenze acquisite e, eventualmente, trasmesse, un tempo di arrivi più che di partenze.

E invece no. Perché è proprio allora, quando i figli sono più grandi e alcuni affanni sono alle spalle, che bisogna imboccare strade nuove e mettersi alla prova. È adesso, con il disincanto dell’esperienza e la temerarietà dei corsari, che possiamo iscriverci all’università, a un coro gospel, a scuola di magia, a un corso per tatuatrici o per lap dancer. Perché, in fin dei conti, a parte la gara con Giovanna, cosa abbiamo da perdere?

Ogni giorno è un nuovo possibile inizio

A dispetto delle ambizioni teoriche, i primi tempi mi presentavo a lezione di yoga anchilosata e incattivita, divorata dal demone del perfezionismo, rigida come un baccalà, nel corpo e nell’anima. Oggi il mio ponte scricchiola, la mia gru rantola e in equilibrio sulla testa ho le vertigini. Ma ho imparato a godermi il viaggio ben più della meta. Lo yoga non mi ha reso più buona ma più flessibile. E mi ha insegnato ad apprezzare il presente.

«Ogni giorno, quando ci svegliamo, nasciamo di nuovo. E tutto può cominciare». Lo ha detto la mia maestra di yoga. Mi piace pensare che abbia ragione. Si chiama Giovanna. Già, proprio quella Giovanna che, nel frattempo, è andata avanti, è passata di livello e ha cambiato vita. Ammiro e detesto la sua determinazione. Ma domani, o dopodomani, in una delle mie nuove vite, forse la raggiungerò. Perché dobbiamo pensarci onnipotenti e infinite e, ogni mattina, capaci di qualsiasi assennato o dissennato inizio.