Se volessimo interpretare la favola di Biancaneve in chiave psicoanalitica, potremmo asserire con certezza che è un’espressione ben riuscita dell’invidia. Femminile.
Una donna bellissima, dotata di poteri straordinari, con un intero regno ai suoi piedi, non riesce a godere della sua immensa fortuna al punto che sente il bisogno di perseguitare una povera fanciulla orfana, di cui invidia la bellezza e l’innocenza. Una strega cattiva, appunto.
Se potessimo interrogare lo specchio, a cui si rivolge Ravenna per avere conferma della sua bellezza, gli chiederemmo: perché una donna bella e potente prova invidia? Non le basta la sua bellezza (e potere) per essere felice? Perché sente il bisogno di confrontarsi spasmodicamente con un’altra? È proprio in questo frangente che si svela la risposta: l’invidia non consiste tanto nel desiderare un oggetto dell’altro, in questo caso la bellezza, ma nel provare fastidio di fronte alla felicità dell’altro. “Non si invidia una donna altrettanto potente e bella, ma la felicità che ad esempio una donna semplice e meno importante possa provare, pur essendo ‘meno dotata’ – chiarisce lo psicologo clinico Roberto Pani, docente all’Università di Bologna – È come se l’invidiosa si chiedesse: ‘ma com’è possibile che lei, che ai miei occhi non ha valore, sia così felice e amata da tutti?’.
Come dire, sarebbe troppo scontato invidiare una donna più ricca, bella e potente di noi. No, è più sottilmente perverso invidiare chi in apparenza sembra meno fortunata. Eppure, ci fa soffrire perché sembra godere appieno della vita. Nella sua forma più distruttiva, quindi, l’invidia non è emulazione dell’altro, ma è desiderio di distruggere ciò che non si può avere, come appunto fa la strega Ravenna nei confronti di Biancaneve. Non desidera ottenere una bellezza pari a quella della fanciulla, ma portargliela via.
“Si tratta di un sentimento devastante – spiega lo psicoterapeuta – perché rovina la vita dell’invidioso, il quale si consuma al pensiero che ciò che non può ottenere debba essere distrutto. Lo scopo è quello di non soffrire per aver visto una cosa molta desiderabile, e non poterla possedere (“Ho scoperto che lei è più corteggiata di me, io non sarò mai come lei, vorrei che perdesse questa capacità di attrarre gli uomini: solo così mi sentirò meglio!).
Da un punto di vista psicologico l’invidia nasce da un senso di impotenza, per lo più inconscio, che fa percepire uno stato di inadeguatezza e di indegnità rispetto agli altri. La reazione del soggetto invidioso, che rimane al livello inconscio, consiste nell’aver bisogno di neutralizzare l’altro che invece mostra di essere felice.
In parole povere, non si sa di essere invidiosi. Il motivo risiede nel fatto che è un’emozione molto primitiva, come ha spiegato la psicoanalista Melanie Klein: secondo la teoria della studiosa, potrebbe instaurarsi sin nei primi 6 mesi di vita, quando il bambino dipende dal seno materno come referente assoluto ancor prima di conoscere la madre come figura intera. Questa sensazione di dipendenza genererebbe aggressività e, a volte, fantasmi distruttivi. Sempre parafrasando la teoria della Klein, se la madre non offrisse generosamente il seno, il bambino proverebbe una sensazione piscologica di morte . Così, si instaurerebbe questa invidia: vorrei non dipendere da te e vorrei quello che tu hai e non mi dai – il seno – venisse distrutto.
Da adulti, questa posizione del neonato verrebbe mantenuta anche nelle situazioni adulte.
Nella vita adulta si invidia la felicità dell’altro non tanto quello che l’altro possiede ma il fatto che ne sappia godere e ne sappia essere felice.
Ci si può affrancare dall’invidia o le invidiose sono costrette a morire con e per essa, come la strega di Biancaneve? Cosa si può fare per superare?
“Bisognerebbe elaborarla – spiega lo psicologo clinico Pani. Demolire l’altro, distruggere gli oggetti che non si possono ottenere, alimenterebbe l’astio e la vergogna. Il senso di colpa conseguente peggiorerebbe inoltre la situazione.
La via per uscirne è quella di utilizzare le proprie risorse per conquistare qualcosa di personale e non accanirsi in qualcosa che non si può avere. È importante trovare la soluzione alla sensazione di impotenza, cercando delle alternative nella propria vita, che risollevino la propria autostima.
Ancora: pensare ciò che si può fare grazie alle proprie capacità e non accanirsi su qualcuno, perdendo tempo ed energia, nel tentativo o speranza di distruggerlo”.