I disturbi alle mani sono tra i problemi più diffusi nelle donne di ogni età. Fitte, formicolii e indolenzimenti però troppo spesso si trascurano, e ci si rivolge al medico solo quando il disturbo è ormai in fase avanzata. D’altro canto, bisogna considerare che le mani sono una delle parti del corpo più usate, pertanto non è strano che insorga qualche dolore localizzato, purché sia transitorio.
«Quando però i sintomi si trascinano per diversi giorni non devono essere sottovalutati – spiega Marco Lanzetta, direttore dell’Istituto Italiano di Chirurgia della Mano e primo in Italia ad avere eseguito il trapianto di questa parte del corpo – altrimenti si finisce per cercare un rimedio quando ormai la mano è rigida, gli oggetti cadono perché non c’è più una buona presa, il male non dà tregua nemmeno la notte. A quel punto la maggior parte delle volte l’unica soluzione è l’intervento chirurgico».
Se si affronta il problema subito, invece, si può evitare il bisturi. «In genere viene prima prescritto un tutore – spiega il professor Lanzetta – È una specie di guanto creato su misura da indossare di notte e, se è possibile, anche di giorno. Non è una cura risolutiva, ma permette di migliorare la situazione e di ottenere risultati più efficaci con la successiva terapia».
Per capire quale potrebbe essere il vostro problema e scoprire la terapia giusta, elenchiamo qui di seguito le quattro malattie della mano più diffuse, illustrando quali punti colpiscono, i sintomi con cui si manifestano e le terapie a cui ricorrere.
Artrosi delle dita
L’artrosi della mano non è, come si può pensare, un disturbo delle persone anziane. Lo hanno confermato le ricerche: può colpire anche prima dei 50 anni, specialmente se la patologia ha colpito la madre oppure in seguito a lunghi periodi di lavori manuali impegnativi.
«L’artrosi delle dita è dovuta a un assottigliamento della cartilagine, cioè di quel tessuto resistente ed elastico che ricopre le articolazioni – spiega il professor Lanzetta – Così le ossa iniziano a sfregare una contro l’altra, provocando l’infiammazione e i dolori».
La terapia
Adesso si ricorre alla criolaserforesi. Sulle parti dolorose della mano viene spalmata una miscela di farmaci antinfiammatori e gel. Quindi la pelle viene irradiata con un fascio di luce laser che “cattura” i principi attivi e li fa penetrare in profondità.
La concentrazione di farmaco è centinaia di volte maggiore rispetto all’assunzione per bocca, con un’efficacia che si mantiene per almeno un anno. «Non ci sono né effetti collaterali né rischio di sovradosaggio – aggiunge il professor Lanzetta – poiché il medicinale non passa attraverso il sangue, ma viene applicato direttamente sulla zona da trattare».
Tunnel carpale
Abbiamo sempre creduto che la sindrome del tunnel carpale fosse legata all’uso frequente del computer. Al contrario, uno studio della Mayo Clinic ha provato che solo in 10 casi su 100 c’è un legame con il pc. È stata invece dimostrata una relazione con i cambiamenti ormonali che avvengono in gravidanza, in menopausa e persino con il diabete, anche se non se ne conoscono ancora le ragioni.
«La malattia prende il nome da quella specie di micro-galleria nel polso dove scorre il nervo che dà forza e sensibilità alla mano – afferma il professor Lanzetta – Quando il tunnel carpale si restringe, il nervo si schiaccia e si scatenano i sintomi».
I dolori più frequenti sono quelli che si avvertono mentre si gira la chiave nella serratura o quando si tenta di aprire la clip che chiude i borsellini portamonete.
La terapia
Oggi, per cinque donne su dieci, l’intervento chirurgico non è più obbligatorio. Se la malattia compare in gravidanza si aspetta la nascita del piccolo: in genere con il naturale riequilibrio degli ormoni il disturbo passa da solo.
Quando invece la sindrome si manifesta in menopausa viene consigliata la terapia ormonale sostitutiva. È importante anche bere molto, almeno due litri di acqua al giorno: è stato dimostrato infatti che la cura idropinica ha un ottimo effetto antinfiammatorio.
«Se il disturbo è in fase iniziale invece, basta un’infiltrazione di cortisone – assicura il professor Lanzetta – Solo nelle forme avanzate o molto dolorose si ricorre all’intervento chirurgico».
Dito a scatto
Un trauma al dito che non viene curato subito o lavori che costringono a posizioni forzate, sono tra le cause più frequenti della tenosinovite stenosante: «la guaina che avvolge il tendine all’interno di una delle dita si infiamma e quindi si restringe – spiega il professor Lanzetta – Per reazione a questa strozzatura, il tendine si dilata e forma un nodulo che rende molto difficili i movimenti. È così che si sente lo scatto».
La terapia
Oggi il dito a scatto si cura con un mix di cortisone e anestetico in nove casi su dieci, una soluzione adatta soprattutto quando il disturbo è presente da non più di tre mesi. «Si fa un’infiltrazione nel punto dove si è creato il nodulo – spiega il professor Lanzetta – Ne basta una e il disturbo guarisce per sempre».
Se il problema è in fase più avanzata, invece, ci vuole il bisturi per allargare il canale, anche se ormai si tratta di un intervento semplice che si fa in day hospital, in anestesia locale.
Malattia di De Quervain
È il disturbo tipico delle mamme che tengono molto in braccio i loro piccoli. e delle parrucchiere, perché rimangono a lungo in posizione forzata. «Nel polso c’è un canale in cui scorrono due o tre tendini che provengono dall’avambraccio – spiega il professor Lanzetta – Quando si infiamma, lo spazio interno si restringe e i tendini iniziano a scorrere con difficoltà. Questo provoca il dolore che si irradia come una scossa fino al pollice».
La terapia
La sindrome di De Quervain si risolve solo con l’intervento chirurgico. Ma ora l’operazione è soft e si può fare in day hospital: «attraverso un taglio di circa tre centimetri nel polso, viene “aperto” lo spazio che si è ristretto in modo da permettere ai tendini di scorrere liberamente – aggiunge il professor Lanzetta – Dopo l’operazione si può già cominciare a muovere la mano. È necessario però un ciclo di fisioterapia della durata di una decina di giorni prima di riprendere le normali attività».