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Non per tutti le feste natalizie sono sinonimo di festa. Per qualcuno potrebbero evocare tristezza. La parola allo psicologo
18.12.2016
L'obbligo sociale di passare le feste in compagnia e di sentirsi allegri tra Natale e Capodanno potrebbe alimentare qualche fantasma di solitudine e paura. Ne abbiamo parlato con lo psicoanalista Roberto Pani, professore di Psicologia Clinica all'Università di Bologna, che ci ha suggerito qualche soluzione.
Come si festeggia il Natale nel resto del mondo? Scoprilo nel servizio di TgCom
Perché nei giorni di festa alcune persone provano un senso di tristezza profonda?
“La festa di per sé evoca gioia, atmosfera serena e allegra; porta con sé un clima leggero e uno stato d’animo che può ricordare momenti del proprio passato, di solito infantile, quando preoccupazioni e pensieri non erano martellanti, ma giocosi. – risponde lo psicoterapeuta – I genitori abituavano a consacrare la festività con abitudini simboliche caratteristiche di quel periodo, per esempio il Babbo Natale con regali sorpresa o i dolci preparati insieme alla nonna.
Tuttavia, il destino di alcune persone potrebbe non essere sempre stato promettente così come era stato prospettato, anzi in alcuni casi si è rivelato deludente”.
In quali casi le feste possono rivelarsi pesanti?
I giorni di festa costringono effettivamente a festeggiare qualcosa che spesso non coincide con lo stato d’animo delle persone. Alcune domeniche hanno un grande valore affettivo per chi vive in famiglia oppure per le giovani coppie con figli, perché trovano occasione di passare tempo insieme ‘improvvisando’ allegria.
È più difficile festeggiare per chi vive da single, soprattutto se sente la solitudine o se ha subito da poco un abbandono affettivo o ancora se si immaginava inserito in un contesto familiare che è sparito da un punto di vista psicologico.
I giorni di festa possono essere pesanti per le persone disilluse che si aspettavano molto di più dalla vita (affettiva). Le festività di per sé sottolineano ciò che è mancato – e continua a mancare – fanno sentire molto di più il vuoto, la noia, la malinconia di essere soli, come se il soggetto meritasse una punizione, che naturalmente non merita.
Per alcuni le feste sono addirittura un incubo…
Sembra che per alcune persone i propri fantasmi interiori abbiano la prevalenza sulle fantasie scorrevoli e buone, al punto che diventino dei blocchi ossessivi e persecutorie. Questi fantasmi sono simbolicamente riconoscibili come grandi colpe, seppure a volte immotivate (per non aver commesso nulla di male in realtà); vergogna per non essere stati degni di essere amati; lutto punitivo per essere stati abbandonati da qualcuno che è scomparso e che era forse l’unico che sembrava volerci bene.
La festa festeggia gli affetti, ma certi affetti possono non esserci più, rimangono delusioni per promesse mai mantenute e alcuni rammarichi per non aver fatto quel che si pensava giusto non fare, mentre per queste azioni ci si è pentiti. Il senso di vuoto, la mancanza di senso sconcerta e disorienta e diventa un incubo.
Perché la corsa dei regali, l’obbligo ‘sociale’ di doversi divertire, essere in compagnia mette ansia?
Perché diventa il dovere di fingere quel che uno autenticamente non sente, ma è costretto a provare per non deludere gli altri, per esempio gli stessi figli o gli stessi genitori oppure gli amici che si aspettano da te che tu sia allegro.
Che significato ha il Natale o la domenica in persone che già soffrono?
Il Natale celebra in senso cattolico la nascita del Bambin Gesù, e parte delle persone possono identificarsi inconsciamente con quel bambino così fortemente celebrato e amato in quasi tutto il mondo occidentale e parte di quello orientale. Ci si aspetta amore, affetto sincero, premi per essere stati meritevoli, in attesa di un’inconscia ricompensa.
Anche la domenica, seppur in maniera diversa, e con valenza inferiore, rappresenta un invito cattolico di un tipo di celebrazione e ringraziamento al Bambin Gesù, divenuto grande. Oltre ad essere festa religiosa, il Natale è festa d’amore. Chi l’amore non può averlo – o sente di essere solo – diventa triste e invidioso di chi egli immagina possa divertirsi e godere di amore.
La festività diventa un nemico che ti obbliga a ricordarti la tua condizione psicologica.
E si è soli che si fa? Si consiglia un viaggio?
Un viaggio da soli? Potrebbe essere ancora più angosciante. È bene cercare e accontentarsi di una modesta compagnia, a meno che il viaggio apra con una certa probabilità a conoscenze nuove. Buoni compagni sono i libri che alimentano un dialogo interiore specie se si sa scegliere l’autore o il soggetto del libro più adatto. Ma anche qui occorre avere un minimo di spazio psichico per sentire e saper pensare.
Se l’angoscia del vuoto, del nichilismo è troppo forte, meglio far programmi di azione possibilmente con qualcuno che ci distrae. Penso però che, trascorsa la festività, quelle persone angosciate debbano riflettere e organizzare un programma che aiuti a domandarsi per risolvere questo senso di vuoto che sarà pronto ad emergere in ogni momento, con il trascorrere del tempo, e non solo durante le festività.
Che cosa è utile fare in questi casi?
Organizzarsi in un modo originale oltre che programmare in anticipo le giornate festive e non aspettare l’ultimo momento per dire a se stessi che la propria vita non cambia mai e che si è destinati a rimanere soli e abbandonati. Occorre considerare che si diventa un po’ più ottimisti e soprattutto attivi per smentire l’ineluttabilità del proprio destino sfortunato e vuoto si possono incontrare il gruppo di amici adatto e incontrare in seguito persone con cui condividere molto anche di inatteso.
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