Abbiamo un superpotere, ma non lo usiamo. Dalla casa alla scuola all’ufficio, dagli 11 ai 50 anni, le mestruazioni sono costantemente stigmatizzate e, da normale processo biologico, si sono trasformate in un tabù e in un’ingiustizia. In una discriminazione sociale ed economica. In un diritto alla salute negato.
Mestruazioni: perché ci spaventa nominarle?
Come potrebbe essere altrimenti se in questo momento, nel mondo, ci sono circa 800 milioni di ragazze e donne con le mestruazioni, più della metà di loro non può permettersi di comprare prodotti igienici adeguati e quasi tutte ricorrono a un eufemismo per chiamarle?
In Italia si va da un generico “le mie cose” a “il marchese”, in Germania è “la settimana delle fragole”, per le inglesi “sono sbarcati i francesi”. Espressioni buffe, certo, se non nascondessero una realtà meno divertente: un evento fisiologico che accomuna la maggioranza della popolazione femminile in età fertile per 40 anni della vita (e un totale, in media, di 2.400 giorni) è vissuto spesso nella vergogna e nella difficoltà, al punto da renderlo innominabile e impresentabile persino nelle pubblicità degli assorbenti, dove il colore rosso sangue è di fatto bandito.
Il report di WeWorld su mestruazioni e discriminazioni
Di giustizia e di salute mestruale si parla da tempo soprattutto nei Paesi a basso reddito ma il tema riguarda anche noi, e non poco. A “scoperchiare” il tabù è il report EnCICLOpedia della onlus WeWorld, che contiene anche la primissima indagine sulla povertà mestruale in Italia, un sondaggio di opinione realizzato in collaborazione con Ipsos su un campione di 1.400 donne e uomini tra i 16-60 anni.
Spiega la coordinatrice del centro Ricerche WeWorld Martina Albini: «Se la povertà assoluta nel nostro Paese è al 10%, quella mestruale tocca il 16%. Cosa significa? Che 1 persona su 6 non ha le risorse per acquistare prodotti igienico-sanitari basilari. Il dato più sconcertante è che il 14% confessa di utilizzare la carta igienica e non gli assorbenti o le coppette per tamponare il sanguinamento. Così come una persona su 2 ammette di non trovare il sapone nei bagni di scuole, università o luoghi di lavoro, e una su 10 limita la vita sociale o la abolisce, non andando in ufficio o in classe, perché sa di dover rimanere in un luogo non adatto a gestire l’esigenza del suo corpo in quei giorni».
Giustizia mestruale, ne abbiamo?
La giustizia mestruale riguarda anche il non ricevere informazioni adeguate, vedere il dolore negato o minimizzato, dover rinunciare a praticare sport, a uscire, non aver riconosciuti congedi che all’estero sono già di scuola e 5,6 di lavoro in un anno. Secondo una stima dell’economista Azzurra Rinaldi realizzata sui dati Ipsos-WeWorld, coprire queste assenze costerebbe allo Stato circa 2.664 euro pro capite all’anno.
E in tema di soldi, non dimentichiamo la celebre Tampon Tax, l’Iva sui prodotti per l’igiene mestruale, passata dal 22 al 5% per poi tornare lo scorso dicembre con un “colpo di mano” al 10%. Accanto agli aspetti oggettivi dell’ingiustizia mestruale ci sono una serie di fattori personali che portano le donne a vivere un rapporto a dir poco burrascoso col ciclo, con i propri ormoni e – ebbene sì – anche con la propria vagina e il proprio sangue.
Mestruazioni: basta viverle con vergogna
Lo spiega Cristina Pietrantonio, docente nella formazione per educatrici alla mestrualità di Red School Italia, nel saggio Lady V – I superpoteri dell’ecosistema XX (Vanda edizioni): «I migliori amici delle ragazze non sono i diamanti, ma gli ormoni. Dall’adolescenza alla menopausa siamo abituate a litigarci perché in qualche modo li consideriamo colpevoli del ruolo subalterno cui siamo state inchiodate negli ultimi 5.000 anni, culturalmente costrette a rinunciare a esprimere la nostra personalità, le nostre aspirazioni, i nostri desideri».
Se sapessimo accogliere la nostra ciclicità, avvisa Cristina, se conoscessimo meglio l’andamento di estrogeni, progesterone, prolattina, di adrenalina e ossitocina, se ci fidassimo dei millenni che l’evoluzione ci ha messo per perfezionare il genere femminile e quella gambetta cromosomica in più nella doppia X di cui siamo dotate, ecco, forse potremmo scoprire di avere un “X factor” e non un deficit che mensilmente ci fa sentire escluse, sempre “sporche”, in balia degli sbalzi d’umore, delle cefalee e dei crampi addominali, dello stigma di non essere comunque performanti perché in fondo hai “solo le tue cose”.
La sfida è trasformare in positivo gli svantaggi percepiti, per esempio sapendo che le migliori prestazioni verbali e mnemoniche si concentrano durante la seconda settimana del ciclo, il desiderio sessuale e la competizione in quelle centrali e dopo il picco ovulatorio torni più calma, intuitiva, sensibile… O che il sangue mestruale, in assenza di problemi, non contiene patogeni ed è un “risciacquo” mensile ricco di nutrienti che aiuta a tenere in salute l’apparato genitale.
Period shaming: le discriminazioni sulle mestruazioni
Insomma, il ciclo potrebbe essere un vero alleato e portare benessere, ma sappiamo che spesso non è percepito così, soprattutto in una società ancora fortemente maschiocentrica. Secondo un sondaggio di Initial, brand di prodotti per l’igiene e il benessere, il 26% degli uomini intervistati ammette di non essere a proprio agio con il ciclo femminile, il 17% dichiara di non avere mai trattato l’argomento. Tra i giovani la situazione peggiora: il 54% si dichiara in imbarazzo a parlare di mestruazioni o non l’ha mai fatto.
Il “period shaming”, la presa in giro e il bullismo legati al ciclo, colpisce il 27% delle ragazze, che dichiara di aver subito episodi da parte di ragazzi (nel 65% dei casi) e anche da parte di altre donne (nel 38%). Con la menopausa non va molto meglio: come sottolinea Martina Albini di WeWorld, «viviamo in una fase storica in cui, essendosi alzata così tanto l’aspettativa di vita, le don ne possono vivere in menopausa gli stessi anni che hanno vissuto con le mestruazioni. La stessa OMS considera la salute mestruale un continuum che non si esaurisce col climaterio. Ma la medicina di genere, pur essendoci per legge, è ancora molto impreparata in materia».
Il nostro progetto
Le donne, in Italia, hanno tutti i diritti e sono padrone della propria vita. Ma solo sulla carta. Perché, quanto a parità, il nostro Paese è al 79° posto del Global Gender Gap Index. Ecco perché a inizio 2024 abbiamo lanciato #Liberedi, un progetto che ci accompagnerà tutto l’anno. Attraverso le voci di donne che hanno sfidato pregiudizi e discriminazioni in nome della libertà di scegliere. E, come in queste pagine, di vivere le propria vita mestruale con serenità, senza tabù. Da tanti piccoli passi nasce la grande rivoluzione. Per un futuro più equo.