Il 63% di chi rifiuta la psicoterapia è uomo e ignora i sintomi di malessere psicologico affrontandoli con la repressione emotiva e comportamenti dannosi. Una delle possibili conseguenze, però, è sotto gli occhi di tutti: spesso il disagio maschile impatta sulle donne e sulla società, senza contare i comportamenti autolesionistici, come i suicidi, che nell’80% dei casi, in Italia, riguardano proprio il genere maschile. Dati sui quali riflettere e che arrivano in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre) e nel mese di ottobre, dedicato a questo tema.

La sofferenza psicologica maschile è sottovalutata

Secondo un’indagine condotta BVA Doxa, per la piattaforma di benessere mentale online Serenis, oltre 6 uomini italiani su 10 di età compresa tra i 18 e i 54 anni, affermano che non chiederebbero aiuto psicologico in caso di bisogno. Eppure i numeri indicano che la sofferenza psicologica esiste. L’80% dei suicidi in Italia, infatti, è commesso da uomini. I campanelli d’allarme del malessere emotivo (come vertigini, cefalee e tachicardia) spesso sono sottovalutati. Oppure sono attribuiti a cause prettamente fisiche, quindi spingono gli uomini a rivolgersi a medici specialisti diversi dagli psicologi. Se trascurati, però, certi sintomi possono portare a depressione o cronicizzazione del problema, con conseguenze gravi, compreso il suicidio.

Perché gli uomini fanno psicoterapia

Il motivo, secondo gli esperti, è legato a un fattore culturale: «L’idea che chiedere aiuto sia la dimostrazione dell’essere debole, vulnerabile, non autonomo, crea delle forti resistenze rispetto alla motivazione al supporto, che rappresenterebbe la prova della propria inadeguatezza», spiega Federico Russo, psicoterapeuta specialista in terapia cognitivo comportamentale e direttore clinico di Serenis. «Gli uomini sono generalmente più inclini a cercare aiuto per disturbi d’ansia, specialmente quando diventano intollerabili e limitano la loro vita sociale. Anche le difficoltà relazionali, come il divorzio, possono motivare una richiesta di aiuto, specialmente quando sono coinvolti i figli». Il problema, però, nasce quando manca un adeguato supporto psicologico. «Gli uomini che evitano di chiedere aiuto solitamente mancano di alfabetizzazione emotiva, poiché incapaci di riconoscere ed esprimere le emozioni, e affrontano lo stress con strategie negative come la repressione emotiva o, talvolta, con comportamenti dannosi».

uomini e psicoterapia

Le conseguenze per la società (e le donne)

Un disagio emotivo maschile, se forte, può portare a conseguenze gravi in termini di comportamento, anche aggressivo. A pagarne le conseguenze sono spesso le donne, in particolare le ex, come dimostrano numerosi episodi di cronaca di violenza contro le donne. Ma anche senza arrivare a casi estremi, moglie e compagne possono soffrire nel vivere accanto a un partner che non si fa aiutare da un esperto: «Se nell’uomo persiste il mito dell’infallibilità, l’uomo che “non deve chiedere mai”, nella donna persiste la percezione di doversi far carico agilmente dei problemi di tutta la famiglia, spesso anche degli amici e conoscenti, un po’ uno spirito di sacrificio che ci portiamo dietro storicamente e che implica il dover “sopportare in silenzio” per poter essere giudicata una “brava” mamma, moglie, compagna, etc. come se ci fosse implicitamente bisogno di supporto nel ruolo stesso di donna, e di conseguenza si rendesse necessario mettere in secondo piano le proprie difficoltà», chiarisce la psicoterapeuta Martina Migliore.

Uomini e psicoterapia: chiedere aiuto si può e si deve

Generalizzare, però, non sarebbe corretto. Esistono coloro che cercano aiuto, magari partendo da una maggiore sensibilità ed empaticità, che dunque sono in grado di riconoscere le emozioni proprie e altrui. In questo modo, secondo gli esperti, «possono affrontare lo stress in modo più resiliente», spiegano gli esperti di Serenis, che sottolineano come «il mito dell’uomo forte e infallibile sembra quasi giunto al tramonto: chi ha consapevolezza emotiva, donna o uomo che sia, si aspetta sempre più una maggior presa in carico da parte dell’uomo delle sue fragilità e delle difficoltà».

I giovani sono più aperti

«I più giovani tendono a percepire meno lo stigma della psicoterapia, di conseguenza ne parlano con maggior leggerezza, soprattutto se vivono in un ambiente culturale in cui gli stereotipi e i miti tradizionali trovano meno spazio, come per esempio, nei grandi centri urbani. Al contrario, i più anziani tendono meno a rivolgersi a servizi di salute mentale e, se lo fanno, lo vivono in segretezza, al punto da non rivelarlo nemmeno a parenti o amici. I dati nella ricerca Doxa parlano chiaro: considerando la popolazione maschile presa in esame, gli over 35 che rifiutano la psicoterapia sono il +4% in più rispetto ai giovani», conferma Russo. Un segnale di speranza, soprattutto in questo momento storico, anche alla luce di altri dati emersi di recente, che fotografano un disagio diffuso nella percezione che anche genitori e figli hanno di sé.

I “pensieri sbagliati” da evitare

Proprio alla vigilia della Giornata Mondiale della Salute Mentale emergono, infatti, anche altri dati. Si tratta dei pensieri sbagliati che spesso vengono fatti su se stessi e che riguarderebbero 2 italiani su 3. Un esempio? Un genitore su 4 dà il massimo, ma teme comunque di essere pessimo. Ad essere più colpite sarebbero le madri e i genitori del Sud Italia. È quanto emerge da un’indagine condotta da UnoBravo con YouGov sulle emozioni contrastanti che affliggono le persone facendole erroneamente sentire sbagliate. Il sondaggio fa parte della campagna #PensatiGiusto, che ha coinvolto 1.500 italiani, suddivisi in 5 cluster: genitori, coppie, single, studenti e lavoratori. Emerge, per esempio, che una donna su 4 sta bene col partner, ma sogna di andarsene e sparire per sempre. Lo stesso pensiero lo ha meno di 1 uomo su 5.

Uomini e psicoterapia: i consigli dell’esperta

Il sondaggio mostra anche come il 19% degli italiani in coppia pensa di essersi accontentato per non rimanere solo. I pensieri sbagliati non risparmiano neppure il mondo del lavoro e i giovani: 1 lavoratore su 4 vorrebbe mollare tutto e iniziare qualcosa di proprio, ma non si sente all’altezza; 1 giovane su 5, invece, è dedito al lavoro, ma solo perché sente di non avere altro nella vita. 2 studenti su 5 si impegnano per rendere orgogliosi i genitori, ma non dormono di notte per l’ansia. Il 29%, invece, è uno studente modello, ma, in cuor suo, si sente un fallito. «Le dicotomie e le reazioni ambivalenti sono meccanismi presenti nella vita di ciascuno di noi. Il primo passo per imparare a gestire questa complessità emotiva, è darsi ascolto, comprendere ciò che si prova e non soffocarlo, ma, al contrario, accettarlo e cercare di capire da dove ha avuto origine», consiglia Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo.