Le donne eterosessuali hanno meno orgasmi di tutti. Lo dice uno studio svolto nel 2018 da tre università statunitensi: gli uomini etero raggiungono l’orgasmo nel 95% dei rapporti di coppia, le loro partner solo nel 65% dei casi. A lungo si è pensato che alla base ci fossero ragioni biologiche, ma oggi sappiamo che la questione è più complessa. Le donne lesbiche, infatti, raggiungono il piacere nell’86% dei rapporti e, se si esaminano i dati sulla masturbazione, si scopre che la frequenza degli orgasmi e il tempo impiegato per raggiungerli non variano molto tra uomini e donne. Messa da parte la biologia, dunque, la spiegazione dev’essere di natura socio-culturale.
Piacere libero: perché non usiamo i termini giusti?
«Il piacere femminile per molte donne è ancora in parte un mistero» spiega Roberta Rossi, psicoterapeuta e sessuologa, co-autrice del libro Vengo prima io. Guida al piacere e all’orgasmo femminile. «C’è l’idea che avvenga spontaneamente tramite il partner e non che sia da ricercare per se stesse». Eve Ensler, autrice della celebre pièce teatrale del 1996 I Monologhi della Vagina, parla di un “muro invisibile” che circonda la sessualità femminile, a partire dai termini che nominiamo sottovoce. «Fa paura pronunciare questa parola, “vagina”», scrive, e lo stesso vale per “vulva”: per questo preferiamo usare “patata”, “patatina”, “passera” e altri diminutivi. Solo che, sostiene la Ensler:
Ciò che non diciamo diventa un segreto e i segreti spesso creano vergogna, paura e miti
Non usare una terminologia corretta nell’indicare gli organi sessuali femminili alimenta l’ignoranza a livello anatomico. «Quando si studiano i genitali a scuola, solitamente se ne parla in termini di funzioni escretorie e riproduttive, di contraccezione e malattie sessualmente trasmissibili: l’aspetto del piacere è ancora sottaciuto» spiega la sessuologa. Del resto le informazioni sull’organo del piacere femminile, la clitoride, sono rimaste a lungo limitate e poco attendibili: il primo studio completo sulla sua conformazione è stato svolto da Helen O’Connell nel 1998.
Ancora troppi tabù sul piacere femminile
«Neil Armstrong ha camminato sulla Luna nel 1969, ma ci sono voluti altri 29 anni perché venisse dimostrata l’anatomia completa della clitoride» scrive sul suo sito web l’artista concettuale Sophia Wallace nota per il progetto artistico “Cliteracy”. Il nome è una fusione tra clitoris, ovvero clitoride, e literacy, ovvero alfabetizzazione, e Wallace riflette sul vuoto visivo e sulla cancellazione simbolica che la sessualità femminile ha subìto e subisce.
Sono incredibilmente poche le donne in grado di localizzare correttamente la clitoride (secondo uno studio del 2005, solo il 29%) e spesso scoprono questo organo tramite il partner o per caso, senza conoscerne nome o forma. «Molte iniziano a masturbarsi semplicemente perché, strofinandosi da qualche parte, si rendono conto che stimolare quella zona può essere piacevole» spiega la dottoressa Rossi «e non c’è la stessa consapevolezza dei ragazzi – che hanno sicuramente i genitali più a portata di mano – di potersi toccare per scoprire il piacere».
Piacere libero: i falsi miti
Non conoscere il proprio corpo e non avere un’immagine mentale di come è fatto limita l’accesso al piacere e alimenta falsi miti. «Nei miei primi rapporti con penetrazione fingevo» ci racconta Maria, 31 anni. «Non riuscivo a venire e pensavo ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Credevo che l’orgasmo vaginale non dipendesse dalla clitoride e cercavo un altro punto nella vagina, senza trovarlo». La maggior parte delle donne ha bisogno della stimolazione esterna per venire e l’orgasmo durante la penetrazione dipende ugualmente dalla clitoride.
E poi arrivarono i sensi di colpa
Eppure in molte, come scrive Rachel E. Gross nel suo libro Vagina Obscura (Baldini+Castoldi) «si sono sentite dire almeno una volta che era solo il loro corpo a essere complicato e indisciplinato. Hanno quindi iniziato a sospettare, o a sentire, che in qualche modo fosse colpa loro. Che avrebbero dovuto vergognarsi, mettersi buone da qualche parte e pensare a ciò che avevano fatto».
Non avere il controllo del proprio piacere tende a porre la donna in una posizione di subordinazione e passività spingendola a focalizzarsi sul piacere del partner
«Il corpo della donna è un corpo che o dà piacere agli altri ed è oggettivato o serve a creare una famiglia» spiega Francesca Maur, consigliera nazionale della rete di centri antiviolenza D.i.Re. In questo senso, a suo parere, la sessualità femminile è ancora «uno strumento di repressione», usato per iscrivere la donna in ruoli ben precisi: è per questo che non solo è ignorata ma anche demonizzata.
Di piacere libero e società patriarcale
«Se una ragazza è interessata al sesso viene chiamata “puttana”» dice la regista di pornografia etica e femminista Erika Lust. «La sessualità femminile fa paura alla società patriarcale, perché liberarsi sessualmente significa acquisire potere, smettere di dipendere». La storia della repressione della sessualità femminile è legata alla capacità riproduttiva, basti pensare a come, in passato, per assicurare la discendenza legittima, le donne dovevano arrivare vergini al matrimonio o al fatto che, fino al 1968, in Italia l’adulterio femminile, a differenza di quello maschile, fosse un reato.
Reclamo per me il piacere fine a se stesso
«Con la commercializzazione della pillola anticoncezionale e grazie alle battaglie femministe per depenalizzare l’aborto negli anni ’70 le donne hanno potuto iniziare a reclamare per sé il piacere fine a se stesso. «Il femminismo ha dato una grande spinta e oggi c’è un terreno più fertile per parlare di piacere femminile anche sui giornali, al cinema e nelle serie tv, da Sex and the city a quelle più recenti come Sex Education» spiega Roberta Rossi.
Elsa, 33 anni, racconta di come proprio Sex and the city abbia introdotto le giovani donne degli anni ’90 ad argomenti come, ad esempio, l’uso dei sex toys. «Ricordo che allora erano percepiti come qualcosa di un po’ sporco, quasi perverso. Oggi ci sono brand come Lelo o il sexy shop online italiano My Secret Case che invece comunicano i sex toys come qualcosa di intimo, una coccola che ti fai e non devi nascondere». Per Elsa piacere sessuale e masturbazione sono parte integrante di una routine della cura di sé, un momento per stare in contatto con il proprio piacere senza essere necessariamente proiettati su un’immagine erotica esterna. «C’è ancora chi percepisce la masturbazione come un tradimento, ma gli orgasmi che ho da sola sono molto diversi da quelli in coppia. Le donne stanno aprendo una grande conversazione su come possa davvero essere un gesto d’amore per il proprio corpo».
E le nuove generazioni?
Il cambiamento è lento ma transgenerazionale e si vede, secondo Rossi, da come le donne più mature oggi si preoccupano della propria sessualità, ad esempio parlandone con il medico quando entrano in menopausa. Le ragazze delle scuole superiori, d’altra parte, secondo Francesca Maur di D.i.Re. sono molto sensibili alla scoperta del piacere sessuale «ma ne hanno un’idea più fluida, non necessariamente binaria».
Il ruolo della scuola e delle altre istituzioni
In tutto questo, l’educazione sessuale e affettiva in Italia rimane grande assente, esclusa dai curricula scolastici. Eppure, secondo Maur, come da linee guida dell’OMS, introdurre protocolli di educazione sessuale nelle scuole è imprescindibile per una vita sessuale sana, per educare al consenso, al dialogo, alla relazione con l’altro e con se stessi e a prevenire la violenza di genere.
Le istituzioni in questo non hanno accolto le istanze del femminismo e, anche nella lotta alla violenza di genere, si sono concentrate soprattutto sull’introduzione di norme repressive
«Ma imparare come raggiungere il piacere, cosa si vuole e cosa no e come esprimerlo in una relazione è cruciale per darci valore e capire l’importanza del rispetto del corpo, della volontà e dei confini propri e altrui».