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È arrivata un’app per prevenire la malattia. E intanto i ricercatori stanno sperimentando una tecnica che salverà molte vite
di Cinzia Testa
16.02.2015
Ogni anno in Italia 200mila persone vengono colpite da ictus. «E, in circa la metà dei casi, la conseguenza è un’invalidità più o meno grave» spiega Marco Stramba-Badiale, direttore del Dipartimento geriatricocardiovascolare all’Istituto auxologico italiano, Milano.
«Succede perché molte volte l’arrivo in ospedale non è tempestivo, mentre la rapidità è fondamentale per limitare l’estensione del danno. A causare l’ictus è un trombo, che interrompe il flusso di sangue in una zona del cervello. E, se non si agisce in fretta, la parte colpita rischia di perdere le sue funzioni».
Per battere sul tempo l’ictus, oggi ci sono delle novità importanti, come ci racconta il nostro esperto.
Oggi chi viene colpito da ictus può curarsi in centri super specializzati: si chiamano Stroke unit e li trovi su aliceitalia.org.
In otto casi su dieci questa malattia si può evitare. Lo ha dichiarato il gruppo di ricercatori italiani che ha messo a punto l’app ictus3r.
In pochi minuti, l’applicazione valuta il tuo rischio e ti spiega come neutralizzarlo.
Secondo uno studio dell’American heart association, basta davvero poco: è sufficiente camminare tutti i giorni 40 minuti, seguire la dieta mediterranea, smettere di fumare, controllare la pressione una volta all’anno. Se è alta, va riportata nei valori normali perché, come hanno confermato tutti gli studi, l’ipertensione è la prima responsabile dell’ictus.
«Intanto i ricercatori stanno mettendo a punto una risonanza magnetica in grado di capire se nel cervello di chi è a rischio siano già presenti piccole lesioni, cioè tracce del danno vascolare» dice l’esperto. «E, in base al risultato, impostare una cura ad hoc».
Fra i sintomi dell’ictus ci sono un forte mal di testa, la bocca storta, la difficoltà a parlare, la perdita della vista da un occhio. Basta avvertire anche solo uno di questi per decidersi a chiamare il 118.
«All’arrivo in ospedale viene chiesto quanto tempo prima sono comparsi i segnali della malattia» aggiunge l’esperto. «Se non sono ancora trascorse quattro ore e mezza, si può somministrare la trombolisi venosa, un farmaco che scioglie rapidamente il grumo di sangue, ma che perde la sua efficacia se si è fuori tempo massimo».
Per questo c’è molta attesa per l’arrivo, il prossimo anno, di una nuova tecnica che può essere praticata fino a sei ore dai primi sintomi.
A convalidarla è stato uno studio condotto in 19 ospedali dei Paesi Bassi e appena pubblicato sul New england journal. Si interviene chirurgicamente, utilizzando uno stent, un tubicino metallico che, entrando dall’inguine, viene fatto scorrere lungo le arterie. Con questo “amo” si cattura il trombo e lo si trasporta fuori dall’organismo.
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