Le donne – si sa – sono di difficile gestione ed instabili emotivamente, per cui quando si manifestano tristezze, ansie, furie, stanchezza etc la reazione che spesso si osserva è una scrollata di spalle e il simpatico commento (si fa per dire) “si tratta di femmine, è parte della loro natura essere difficili”.
Oggi ci occupiamo di un recente filone medico secondo cui invece esiste una correlazione tra psiche e tiroide per cui alcuni malesseri della mente si risolvono occupandosi della ghiandola a forma di farfalla che fa da regina nel nostro collo.
I due ormoni prodotti dalla tiroide sono il T3 (triiodotironina) e il T4 (tiroxina), i quali hanno un ruolo che non ci si immaginerebbe in numerosissimi processi del nostro funzionamento: dalla regolazione della temperatura corporea al battito cardiaco alle funzioni cognitive.
I due problemi principali della tiroide sono l‘ipertiroidismo (tiroide che funziona “troppo”) e l‘ipotiroidismo (tiroide “pigra”). Allo stadio lieve o ancora subclinico, l’ipertiroidismo si può manifestare tra le altre cose con palpitazioni, sudorazione, perdita di peso, e ansia; mentre l’ipotiroidismo può essere accompagnato da fatica fisica, aumento del peso, lentezza, depressione, problemi di memoria e di concentrazione.
E’ frequente che pazienti che si presentano con sintomi di problemi tiroidei vengano trattati con psicofarmaci, riporta il New York Times, con tutta la catena di frustrazioni cliniche che ne consegue, e per le donne la situazione è ancora più complessa perchè soffrono di tiroide molto più degli uomini, e quando si presentano dal medico per un non specificato malessere “psichico”, tendono ad essere ignorate.
Da uno studio condotto dal Dr. Russell Joffe, psichiatra alla North Shore-Long Island Jewish Health System di New York, è emerso che pazienti che presentavano sintomi leggeri di alterazione emotiva ed erano trattati con ormone tiroideo, oltre a migliorare sensibilmente, ed in alcuni casi guarire del tutto, hanno anche visto una riduzione del rischio di declino cognitivo che accompagna l’invecchiamento.
Un aspetto che rende la questione complessa è che l’ipotiroidismo è facilmente diagnosticabile quando il TSH (ormone ipofisario) supera un certo livello ma è difficilissimo da confermare se il paziente si presenta con sintomi vaghi come fatica, lieve depressione o un più generico “non sentirsi se stessi”, ma non ha alterazioni significative degli ormoni tiroidei – ed è quindi in stadio lieve o addirittura subclinico di ipotiroidismo.
Come agire in questi casi? Secondo il Dr. Thomas Geracioti, professore di psichiatria al University of Cincinnati College of Medicine, questi pazienti andrebbero trattati comunque con ormoni tiroidei, perchè la presenza di disturbi della sfera emotiva con possibile ipotirodismo allo stadio subclinico può essere significativo. Da notare che in una ricerca pubblicata nel 2006, alcuni studiosi cinesi avevano analizzato il comportamento del cevello in pazienti con ipotiroidismo allo stato subclinico prima e dopo il trattamento con levotiroxina (ormone tiroideo), ed avevano rilevato chiari e tangibili miglioramenti dopo il trattamento.
Trattare l’ipotiroidismo a quello stadio è però controverso, in particolare tra gli endocrinologi, perchè gli ormoni tiroidei possono stressare il cuore e aggravare l’osteoporosi. Da dire c’è anche che non trattarlo ha comunque conseguenze sul cuore, e secondo alcuni studi, aumenta il rischio di Alzheimer e altre forme di demenza.
La questione è apertissima, quasi agli albori, per cui è impossibile almeno per noi trarre conclusion, e non possiamo fare altro che dire che seguiremo il progredire delle ricerche e riporteremo le nuove scoperte che ne emergeranno.