Ho cominciato ad avercela col mio seno all’età di 11 anni. Ero ancora una bambina, ma un accenno di protuberanza all’altezza dei pettorali già cominciava a intravedersi sotto il maglione, mettendomi a disagio. A farmelo odiare ufficialmente ci pensò quell’estate la mamma libertina (era senza marito e si depilava le ascelle, roba ai tempi scandalosissima) di due bambini romani conosciuti al mare, la quale in un pomeriggio di siesta agostana, sdraiata su un letto sfatto alla francese, mi chiese con aria birichina : «Ehi tu, cosa sono già quelle tettine, è ciccia o hai sviluppato?». Non so se mi creava più imbarazzo il sovrappeso o l’imminente futuro da “signorina”, so solo che avvampai e la buttai sul peso, scappando via come un’indemoniata.
Accettare il proprio seno in pubertà
Se ancora ricordo quel momento, significa che mi ha turbato. Detestavo i segnali della pubertà e ogni accenno di femminilità che sul mio corpo lentamente sbocciava. Contestualmente rifiutavo il reggipetto (allora lo chiamavano così) che mia madre si ostinava a comperarmi per porre un freno a quel dondolio ormai vistoso che si agitava sotto i vestiti e che per me era come una resa. Crescevo, cambiavo, il corpo sfuggiva al mio controllo.
Pregavo Gesù ogni sera perché il torace non mi esplodesse, mentre correvo alle gare di atletica a braccia conserte negando l’innegabile.
Accettare il proprio seno in adolescenza
Finché sono arrivata al liceo. Pacificata da una comoda seconda, bralette di pizzo che non stringevano troppo e occhiate timide dei ragazzini. Da adolescente in transito ormonale, finalmente guardarmi mi piaceva. Ma pure essere guardata, a dire il vero. Peccato per la forma. Superato lo scoglio dell’accettazione, ecco arrivare il diktat della perfezione.
Perché non potevo avere un seno alla Kate Moss? Acerbo e striminzito, ma così sexy sotto le camicie, così superbo con quei capezzoli all’insù, che il mio al confronto era robetta.
Più che una pace la mia era una tregua, un armistizio di intesa a venire. Mentre le altre si mettevano in topless, io mi affrettavo a rivestirmi in un lampo dopo la doccia veloce in palestra. La nudità mi dava fastidio.
Quando il seno inizia a cambiare in gravidanza
Poi è arrivato il pancione. E insieme a lui una terza abbondante, con tanta voglia di allattare. Il seno ha perso ogni valenza seduttiva, insieme al pudore e alla vergogna. Ogni volta che la pupa frignava, ecco la tetta pronta a sfamarla. Comodo snack delivery da sfoderare all’occorrenza. È incredibile la nonchalance con cui le mamme si spogliano in pubblico quando la prole reclama il suo pasto. Il seno di colpo diventa mammella, la sua funzione “beverone refill”. Il guaio è quando finiscono le scorte. Al terzo mese le mie erano esaurite, insieme ai nervi, provati per l’affronto. Perché una madre che non nutre i suoi figli – intendo “in proprio”, senza biberon – ancora oggi desta sospetto. Suocere, zie, ostetriche, amiche, colleghe saputelle e vicine di casa, tutte si sentono in diritto di dire la loro e fartela pesare. Così per 6 mesi non ho parlato d’altro. Con grande gioia di mio marito, che si era preso una moglie frizzantina e si è trovato con una latteria. Poi, per fortuna, lo svezzamento è arrivato…
Come andare d’accordo con il proprio seno
Negli anni ho fatto pace col mio seno, felice di averlo discreto e naturale in epoca di protesi e taglie esagerate. Sontuoso nei push up, ma fieramente ostinato a contrastare da solo la forza di gravità, senza troppe pretese, ché tanto il tempo passa per tutte. Compagno di una vita, di cui scandisce i cicli e le stagioni, a fine carriera diventa in fondo il nostro bene più caro, l’amico da proteggere. Assolte le battaglie che doveva, portate a casa le rivoluzioni, quello che conta è solo la salute. Nel bene e nel male, il suo pensiero non ci molla. Del resto, è sotto agli occhi, difficile ignorarlo. Per quanto è possibile, abbiatene cura.