Anoressia e rapporto con i genitori
Negli ultimi anni assistiamo ad un notevole aumento dei disturbi del comportamento alimentare, soprattutto, negli adolescenti. Una malattia che colpisce particolarmente le ragazze adolescenti, spesso figlie di famiglie benestanti, è l’anoressia mentale, caratterizzata da una grave denutrizione con perdite di peso catastrofiche. Colpisce con maggior frequenza ragazze, che sul piano del comportamento sociale appaiono perfette ma che rifiutano l’alimentazione fino all’inedia e in alcuni casi sono disposte a lasciarsi morire pur di non mangiare.
L’alimentazione è sempre stata ricca di significati psicologici, di primaria importanza fin dai primi giorni di vita in ciascun essere umano. Per le ragazze che soffrono di anoressia l’alimentazione diviene secondaria ed assume un significato tutto particolare. Il cibo si trasforma in un qualcosa che perseguita la loro mente e il loro corpo, poiché è sempre presente nel loro pensiero ed è vissuto come fonte di sofferenza, manipolazione e inganno. Queste ragazze mascherano, dietro l’astensione dal cibo, una richiesta che non riescono ad esprimere alle figure genitoriali: una richiesta di contatto affettivo, di rassicurazione, di vicinanza, di protezione che per loro è di primaria importanza. Per ottenere l’approvazione dei genitori, la ragazza anoressica, sacrificherà la propria integrità e la propria identità fino allo stremo, al limite della sopravvivenza.
Temono di non essere accettate dai loro genitori e si sviluppa in loro la paura di rimanere sole per sempre. Questa sensazione è in grado di riuscire a far assumere loro qualsiasi comportamento, pur di non essere escluse; tutto ciò determina uno sforzo tremendo di modificarsi per corrispondere ai canoni dell’accettazione e del piacere. Queste ragazze si chiudono in una sorta di dolore, di disagio di vivere che si fa contenitore di comportamenti estremi, come i disturbi alimentari che si manifestano come una vera e propria “auto persecuzione”. A partire dall’adolescenza queste ragazze nutrono sensazioni di vulnerabilità, solitudine e difficoltà di relazione. Queste sensazioni devono fare i conti con richieste e aspettative maggiori da parte della famiglia, della scuola e della società a cui l’adolescente appartiene. Sono situazioni, che non sempre si riescono a sopportare e a superare in modo corretto.
I disturbi del comportamento alimentare si manifestano quindi con quadri clinici molto eclatanti tali da non poter passare inosservati; i sintomi, servono dunque per esprimere una sofferenza interiore che non trova altri canali di comunicazione. Spesso i genitori, resi ormai impotenti dagli atteggiamenti della figlia, si recano nei vari studi di psicoterapia per chiedere aiuto su quali siano i comportamenti più adeguati da tenere con la figlia, oppure se esiste una spiegazione logica e razionale a queste manifestazioni. Purtroppo non esiste un manuale del comportamento del genitore con figlio affetto da un disturbo alimentare psicogeno.
Una cosa è certa: il miglioramento e la guarigione passano attraverso una modificazione dei legami affettivi; ciò significa che la condizione della figlia esprime la sofferenza (e non la colpa) di tutto il sistema familiare. Se questo è vero il cambiamento che porta alla guarigione deve avvenire attraverso la modificazione del proprio mondo psicologico da parte di ciascun membro della famiglia con conseguente ristrutturazione dei legami familiari. Nel corso di un trattamento psicoterapeutico di un’adolescente affetta da anoressia nervosa non si può chiedere la guarigione del paziente senza la partecipazione personale al processo di cambiamento degli altri membri del gruppo familiare.
La paziente anoressica, attraverso l’espressione dei sintomi: vuole proprio ridiscutere e modificare le relazioni intrafamiliari; questo è l’obiettivo finale da perseguire ed è disposta a mettere in gioco la sua vita. Quindi l’analisi delle relazioni familiari e l’aiuto psicologico rivolto anche ai genitori e ai fratelli/sorelle rappresentano la parte principale dell’intervento psicologico di queste forme di disagio. I genitori soprattutto devono essere aiutati dallo psicoterapeuta della famiglia a riappropriarsi del proprio ruolo in termini di protezione e di affetto. Attualmente è molto forte la tendenza ad allontanare le ragazze e ragazzi anoressici dalla propria famiglia, attraverso l’utilizzo di comunità terapeutiche che mio modesto avviso dovrebbero rappresentare l’ultima ratio dell’approccio terapeutico, ossia quando è proprio necessario. Il paziente anoressico attraverso i suoi sintomi non vuole generare un allontanamento da parte dei genitori, anzi il contrario la sua magrezza e il suo mettere in pericolo la propria vita sono tentativi estremi per modificare dei rapporti familiari disfunzionali che generano tanta sofferenza e solitudine!
Dott.ssa Giuliana Apreda
Psicologa e Psicoterapeuta