Ansia da viaggio. La proviamo prima di partire, complice l’allontanamento dai soliti binari. La proviamo persino quando dovremmo goderne l’assenza, cioè mentre siamo in vacanza. Colpa un po’ della FOMO e un po’ della mente che viaggia già verso casa, con annesse cataste di mail da leggere e panni da lavare. La proviamo infine anche quando torniamo alla base, e ci riscopriamo faccia a faccia con la nostalgia per un capitolo che si è chiuso fin troppo in fretta. Insomma, sembra che l’ansia non interrompa la sua partita nemmeno quando chiediamo – e disperatamente desideriamo – un time out. Perché?
Emozioni in viaggio
L’ho domandato alla psicoterapeuta Stefania Andreoli che, nell’ambito della recente ricerca Emozioni in viaggio, ha affiancato Trainline nel trovare e approfondire le risposte a questo interrogativo: quali emozioni proviamo maggiormente quando siamo in viaggio? Lo studio ha esplorato – anche da un punto di vista generazionale – i diversi scenari emotivi dei viaggiatori, nel tentativo di coglierne le aspettative, le paure e le esperienze reali. Ne è risultato un mix di stati d’animo contrastanti. Ci sono l’euforia, la propositività, l’energia. C’è anche l’indecisione, certo, insieme alla preoccupazione e allo stress. C’è speranza, c’è stanchezza, c’è rilassatezza. E c’è anche lei, l’ansia.
Ansia da viaggio: parliamone sì, ma nel modo corretto
«Da una decina d’anni l’ansia è sicuramente diventata un argomento: se prima la provavamo e basta, di fatto ignorando spesso che potesse essere un sintomo degno di attenzione, oggi è entrata nel linguaggio comune e forse stiamo un po’ abusando del termine. Il risultato è che ci confondiamo circa una distinzione importante da operare, quella tra l’ansia come emozione e l’ansia come segnale di malessere. Quando si viaggia, si possono esperire entrambe, dunque è bene saperle riconoscere», spiega Andreoli. Per quanto infatti sia facile pensare al viaggio come a un momento speciale e di piacevole condivisione, che quindi comporta per lo più sentimenti positivi, quasi il 60% dei rispondenti dice di provare emozioni in contrasto tra loro. Ed è naturale!
Un viaggio ha a che vedere con il cambiamento e non può quindi essere un’occasione esente da ambivalenze stressanti: da un lato ci attira, ma dall’altro ci richiede anche solo lo sforzo dell’adattamento
«Mi sembra che l’ansia che emerge dai numeri della ricerca Trainline racconti di un’attivazione, di un piccolo fastidio fisiologico al cambiamento, ma di fatto in un’ottica del tutto sana e positiva. D’altronde, chi soffre dell’ansia che arriva a impedire di muoversi da casa o prendere i mezzi di trasporto, suo malgrado spesso rinuncia a farlo».
Prima, durante, dopo
Mentre ascolto le riflessioni di Stefania Andreoli, ripenso alla mia esperienza con i viaggi. Sono molto giovane, non ne ho fatti tanti. Nemmeno di lunghissimi o impegnativi, di quelli che “ti cambiano la vita”. Eppure ricordo bene tutte le turbolenze emotive che mi hanno accompagnata nelle mie care piccole trasferte. Come scrivevo in apertura, l’ansia (la intendo come emozione) è sempre riuscita a intrufolarsi nei miei bagagli e, da eccellente mutaforma qual è, lo ha fatto in modi tra loro diversi. «Possiamo immaginare i tre step in cui si articola un viaggio: prima, si prova lo stress della pianificazione. Organizzare tutto può essere eccitante, quanto impegnativo e faticoso: c’è chi adora farlo e chi lo detesta. Si tratta prevalentemente di un’ansia “buona”, in grado di tenerci allertati e attenti nelle fasi di pianificazione della partenza», mi racconta Stefania Andreoli. «Durante, l’ansia può essere invece un anticipo del rientro – soprattutto all’idea di tornare alla solita routine o agli arretrati al lavoro. Infine, una volta rientrati, gli intervistati riferiscono, più che l’ansia, una sorta di nostalgia per quello che è finito, come se il passato fosse migliore del presente e del futuro».
L’ansia da viaggio è una questione generazionale?
È questa la domanda successiva che pongo alla dottoressa Andreoli: desidero sapere se (ed eventualmente come) la ricerca di Trainline restituisca un approccio al viaggio diverso a seconda dell’età. E il mio desiderio nasce da un dato che mi riguarda personalmente: “La GenZ si rivela come la più emotiva. È la più attenta ad avere tutto sotto controllo (87,1%), la più euforica (47%) ed energica (48%), ma anche la più indecisa (35,1%), preoccupata (26,2%) e nervosa (29,2%)”. Per quanto valga, do la mia conferma. «La tua generazione è figlia del suo tempo e della contemporaneità, per cui ha bisogno di sentirsi connessa e accusa un po’ di FOMO – mi spiega la psicoterapeuta – Un tratto, questo, che tuttavia è da leggere in chiave evolutiva: i ragazzi, avendo meno disponibilità economica, pianificano i propri spostamenti con più attenzione e consapevolezza. Per loro, il viaggio deve valerne la pena».
E gli altri? I Millennials che pianificano un viaggio sono decisamente i più propositivi (42,5%) e speranzosi (33,4%) anche se spesso indecisi (35%), mentre gli Adulti si sentono maggiormente a proprio agio (28,1%). «A me pare che le emozioni riferite dai diversi segmenti generazionali siano coerenti con il loro momento evolutivo: le persone più adulte sono più rilassate, probabilmente perché più avvezze a viaggiare, meno preoccupate per il budget, più stanche e desiderose di prendersi una pausa. I più giovani (la generazione Z) invece sono i più ambivalenti: di fatto forse si tratta dei primi viaggi in autonomia, con la volontà di dimostrarsi in grado di andare nel mondo ma nel contempo con la naturale insicurezza tipica delle prime volte. In mezzo, i Millennials sono la sintesi di ambo le generazioni – quella precedente e quella successiva», conclude Andreoli.
Di FOMO, ansia e social media
L’acronimo usato dalla dottoressa, FOMO, vaga nella mia mente alla ricerca di ricordi e riferimenti che lo comprovino. Pochi i secondi necessari, inutile dirlo. La “Fear of Missing Out”, cioè la paura di perdersi qualcosa, di essere tagliati fuori dal disegno perfetto della nostra socialità e del nostro “essere sul pezzo”, in viaggio assume una forma tutta sua, del tutto particolare. Io sarò forse l’eccezione che conferma la regola, dal momento che amo profondamente le vacanze dolci del “far niente”, ma molti coetanei mi confidano di sentire l’urgenza di collezionare quelle tanto amate, agognate, santificate (e gonfiate) experience. Non a caso, l’81,7% del campione Gen Z di Trainline dichiara di avere il timore di perdersi eventi e momenti organizzati da amici e parenti, il 90,1% di voler essere sempre connesso. «I social sono sicuramente un mezzo di contagio e una fonte di ansia. Nel caso della narrazione che riguarda i viaggi, mi pare che possano far scaturire un senso di inadeguatezza verso chi non viaggia o lo fa poco, sia nel senso di perdita di occasioni (vedi la sopracitata FOMO), sia per via di un senso di paragone e confronto con le vite altrui», commenta Stefania Andreoli.
La spina si stacca imparando a stare nel momento…
E così finisce che la frenesia – di vedere, fare e oggi pure mostrare – ci segue anche in vacanza. Al punto che a volte non riusciamo nemmeno a godercela. Come facciamo a disconnetterci davvero, a fare in modo che quel time out sia tale fino in fondo? «Imparando a stare nel momento, a vivere il contesto, a “fare contatto” con la novità: un monumento, la natura, i compagni di viaggio. Di fatto, si tratta di partire ricreando condizioni diverse, più libere di quelle che ci incatenano al nostro quotidiano.
Come disse Seneca, “È inutile che parti, se porti te stesso con te.” Intendeva dire che il nostro Io che esplora deve cambiarci, metterci alla prova, accrescersi e accrescerci
…o mettendolo in musica
C’è un ultimo consiglio, datomi dalla psicoterapeuta Andreoli, per godere appieno dei viaggi che facciamo, al netto di quell’ansia “buona” e naturale di cui abbiamo parlato fino a poco fa. «La musica è un vettore emotivo potentissimo. Un accordo, un genere, un’espressione fanno da vero e proprio archivio che a volte ci ricorda qualcosa di antico, altre ci connette con il qui e ora, altre ancora ci isola da tutto e ci trasporta in un mondo dove ci siamo solo noi: si tratta di un ottimo modo per staccare».
I miei pazienti ansiosi sono spesso molto affezionati alla loro playlist: dentro ci trovano delle “coccole sonore” che direzionano sentimenti e vissuti, dando grande supporto
La propria musica preferita è una preziosa compagna di viaggio e il suo potere terapeutico è un buon ansiolitico per aiutare, almeno emotivamente, a “sentirsi a casa”, nella propria comfort zone. Non ultimo, la playlist di viaggio segnerà ricordi indelebili: ad ogni avvenimento legherà luoghi, emozioni e colonna sonora, come un vero e proprio scrigno dei ricordi».
I saluti finali, e il souvenir
Anche la nostra esplorazione dell’ansia da viaggio è arrivata al capolinea. Prima che la sindrome da rientro prenda il sopravvento, vi lascio alle parole di Andreoli. «Quella da rientro è l’ansia abbandonica tipica delle cose che finiscono, quella del ritorno nella routine dal quale non vedevamo l’ora di allontanarci. Credo sia in quest’ottica che rientriamo a casa con già in mente i sogni relativi alla prossima meta da raggiungere. È come se la partenza aiutasse a vivere le fasi di vita più ordinarie, in vista della straordinarietà del viaggio». E allora, ode ai viaggi straordinari. E alle mani che disegnano una T.