Il primo attacco di panico ti resta stampato nella memoria per tutta la vita: difficile, se non impossibile, cancellare quella sensazione di morte imminente, il respiro che si blocca, il terrore che sale e paralizza ogni parte di te.

Attacchi di panico: in aumento tra bambini e adolescenti

Non è una condizione rara, purtroppo: si stima che in Italia siano tra i 2,5 e i 3 milioni le persone che ne soffrono. Il problema è che sempre più spesso sono giovani o, addirittura, giovanissimi. Secondo una ricerca di Skuola.net e dell’associazione Di.Te. un ragazzo su due tra gli 11 e i 19 anni riferisce di avere avuto almeno una crisi. Un fenomeno in aumento anche tra i minori che chiedono aiuto all’Unità operativa di Psicologia clinica del Policlinico Gemelli. «Arrivano in clinica ragazzini che hanno appena iniziato la scuola secondaria, o anche bambini che alla primaria hanno comportamenti tipici di ansia paralizzante, che li assale nello sport o a scuola e persino se devono semplicemente relazionarsi con gli altri» spiega Daniela Chieffo, responsabile dell’Unità.

Le cause sociali alla base dell’attacco di panico

Le cause, secondo l’esperta, sono soprattutto sociali. «Bimbi e adolescenti sono oggi spesso vittima di un clima giudicante che respirano a scuola e in famiglia già da piccoli, esposti al confronto con gli altri, a dei modelli a volte irraggiungibili, allo stress di dover compiacere i propri genitori. Inoltre, rispetto al passato, oggi si tende a far bruciare loro le tappe, pretendendo cose che si chiederebbero a ragazzi più grandi, e a peggiorare la situazione c’è un eccesso di visibilità: tutto è sotto gli occhi di tutti, nelle chat, sul registro scolastico, sui social. Un peso troppo grande, sotto il quale non sempre reggono».

La crisi di panico attiva un radar senza che ci sia alcun rischio

Anche Giulia Sorrentino ha conosciuto il panico poco più che adolescente. Aveva 17 anni e quel giorno è in grado di raccontarlo frame dopo frame, con precisione chirurgica, anche se sono passati circa 10 anni: era a casa, racconta, al telefono con un’amica, stava aprendo un cassetto. «Ho dovuto riattaccare, pian piano ho sentito le gambe cedere, l’aria ha cominciato a mancarmi, sono corsa alla finestra. Ho chiamato mio padre, che era nel suo studio, al telefono non volevano passarmelo. Credevo mi stesse venendo un ictus, stavo per chiamare un’ambulanza, per fortuna papà mi ha telefonato subito dopo e mentre gli raccontavo urlando cosa mi accadeva è rimasto con me, fino a che quelle sensazioni non sono andate via». Sino a quel momento Giulia aveva solo sentito parlare di panico. Suo padre Rosario, neurologo e divulgatore, si occupa da anni di questo disturbo e ha pubblicato più libri sul tema. L’ultimo, Panico 2.0 (Compagnia editoriale Aliberti) lo ha scritto a quattro mani con lei, e parte da questa esperienza. In famiglia usano un’espressione particolare per definire l’attacco di panico, lo chiamano “bugia del cervello”: «Lo abbiamo definito così perché è un falso allarme, un sistema che si attiva inutilmente in modo dannoso» dice il neurologo. «A differenza della paura, un’emozione primaria che scaturisce da un pericolo reale e che induce il cervello a organizzare reazioni positive, la crisi di panico attiva i radar senza che ci sia alcun rischio».

Predisposizione genetica al panico

Alla base di disturbi come il panico c’è probabilmente una predisposizione genetica che alcune condizioni possono scatenare, come un lutto o una paura latente, che sia quella causata da una pandemia o quella di perdere i genitori. Anche gli sbalzi ormonali tipici dell’adolescenza influiscono, altre volte a scatenare il tutto è un malessere sotterraneo che apparentemente non emerge. Non a caso, molti raccontano di avere avuto il primo attacco in un periodo che sembrava sereno. «Ma dietro la crisi che sembra inaspettata può esserci un vissuto che non è stato elaborato, probabilmente qualcosa che sta venendo fuori, e che non si è in grado di capire» spiega la dottoressa Chieffo. «L’attacco di panico è sempre una richiesta di aiuto del corpo, che non ha altre strade per “gridare” alla persona di fermarsi. Ai ragazzi dico sempre che succede quando sei troppo investito da quello che succede intorno».

L’ansia anticipatoria

Quel nodo, però, va affrontato, soprattutto se rischia di condizionare la vita: quella “bugia” diventa un disturbo invalidante, a 13 come a 50 anni. Aver provato anche solo una volta quel profondo senso di morte può diventare uno spartiacque tra il prima e il dopo, come spiega Rosario Sorrentino: «Succede quando insorge l’ansia anticipatoria, la “paura della paura”. La vita della persona non è più la stessa, evita i luoghi che ricordano l’attacco, quelli in cui è impossibile fuggire o avere la garanzia di un aiuto in caso di nuovo attacco». Anche Giulia ci è passata, e lo ricorda bene il periodo in cui, dopo i primi episodi, ripeteva a se stessa che tutto era ok, ma la sua esistenza era come stravolta: «Vivevo nell’angoscia che si ripetesse e cercavo di proteggermi» ammette. «Un’estate dovevo organizzare una vacanza in Grecia con il mio ragazzo, ma anziché trovare una sistemazione vicino al mare o in un bel centro storico, presi una casa davvero brutta, perché era a meno di 10 minuti da un ospedale». Solo dopo un po’ ha deciso di curarsi.

Panico: a chi chiedere aiuto

Chiedere aiuto a un medico è fondamentale, conferma Daniela Chieffo: «Come primo accesso vanno bene il pediatra o il medico di famiglia, ma è importante rivolgersi a uno psicologo, e, specie nei casi in cui l’attacco è una condizione che compromette la quotidianità, confrontarsi con un neuropsichiatra, o uno psichiatra se parliamo di giovani adulti. L’intervento psicologico serve per capire la natura del disagio e disegnare un percorso che sarà personalizzato, di concerto con lo specialista». Queste figure intervengono su altri aspetti, indagando per esempio se ci sono in associazione altri disturbi di tipo psichico. Anche i tempi sono dettati dal tipo di terapia: a volte può bastare un training psicoeducativo, altre c’è bisogno di psicoterapia o psicoanalisi. Quando Giulia ha chiesto aiuto, ha seguito una terapia cognitivo comportamentale, cambiato stile di vita e assunto farmaci. Ci tiene che si sappia, spiega, perché parlare di problemi psichici e abbattere lo stigma degli psicofarmaci è il primo passo per vincere questi disagi. «Ho imparato a difendermi, e oggi la mia battaglia è parlare della malattia, il panico non lo puoi aggirare, lo devi affrontare. La malattia la esorcizzi solo se la condividi».

Sos crisi di panico: come riconoscerla e affrontarla

Cuore che batte all’impazzata, senso di soffocamento, di svenimento, nausea, dolori addominali, vertigini, brividi o vampate di calore, sudorazione, tremori. Un attacco di panico, oltre al terrore paralizzante, alla paura di perdere il controllo e di impazzire può dare diversi sintomi fisici che possono far pensare a un infarto o a un ictus. In genere dura 10, 15 minuti. «Le cure sono farmacologiche per ristabilire i corretti livelli di serotonina, un effetto che si ottiene anche con una corretta attività fisica: camminare a passo svelto stimola naturalmente la produzione dell’ormone» spiega Rosario Sorrentino. «La terapia cognitivo comportamentale aiuta a gestire le crisi. Ci sono tecniche utili come quella “del cassetto” che serve a distogliere l’attenzione durante il momento di massima allerta per portare la mente su ricordi piacevoli. Chi è accanto a una persona con una crisi, invece, deve restare calmo e indurla a respirare piano, parlando con voce tranquilla e aspettando che passi. Inutile invece dire cose come “devi reagire”: quella persona si sente a tu per tu con la morte».