Autostima: come imparare ad accettare se stesse e vivere meglio
Avere una buona autostima è la base di partenza per la nostra libertà e autonomia psicologica, che si traduce praticamente in benessere e armonia con se stessi. Da un lato ci consente di affrancarci dai condizionamenti del nostro passato, dall’altro lato ci permette di non essere in balia dei condizionamenti sociali.
La letteratura psicologica è piena di definizioni, studi e manuali su un argomento così centrale per il nostro equilibrio, come l’autostima. Eppure parlarne non stanca mai. Affrontiamo il tema evergreen con il Professore Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna.
Senza autostima tutta la nostra personalità resterà influenzabile, sia dai condizionamenti del passato che da quelli imposti dalla società. Ciò procura un notevole disagio e una sensazione di non potersi muovere liberamente né di essere padroni della propria vita.
Cosa vuol dire avere autostima
1. Accettazione di sé
Cos’hanno di diverso le persone che si stimano? Sono più intelligenti, più belli o più forti?
“Nulla di tutto questo – risponde il Prof. Pani – chi ha una buona autostima ha i propri difetti e ha dubbi su se stesso. La differenza è che queste persone accettano i loro fallimenti e le loro fragilità, perché hanno costruito una buona immagine globale di sé. Sono persone capaci di trarre beneficio dalle loro debolezze. Ad esempio, utilizzano le loro energie per fronteggiare un insuccesso, piuttosto che per lamentarsene”.
L’accettazione di sé non è solo un concetto astratto, ma è un modo di essere, che si può acquisire attraverso una pratica ripetuta.
“Si parte con l’accettare le proprie emozioni, pensieri, comportamenti della vita quotidiana – spiega l’esperto – soprattutto quelli che riguardano il ‘non farcela‘ o il ‘non essere all’altezza‘.
Certo, scacciare i pensieri negativi, dicendoci ‘non pensarci più’ o distraendoci è efficace solo a breve termine. Esiste a volte un effetto di ‘rimbalzo’ dei pensieri che sono stati allontanati in questo modo, soprattutto nelle persone con una cattiva autostima: i pensieri repressi si ripresentano poi con forza. Ma anche senza rimbalzo, questo tipo di meccanismo mentale provoca un notevole disagio emotivo”.
È in questi momenti che deve intervenire il lavoro dell’accettazione di sé, proprio per neutralizzare quelle vocine interiori che minacciano l’autostima.
2. Consapevolezza
Spesso, non ci rendiamo conto di quanto siamo riluttanti all’idea di accettarci in tutti i nostri difetti: la nostra reazione irritata ci sembra addirittura normale.
“La prima tappa dell’accettazione di sé consiste nel riconoscere il nostro rifiuto a prenderci per come si è – spiega l’esperto in psicologia clinica. Tutte le volte che ci innervosiamo per un fallimento, prendiamo coscienza di quello che accade dentro di noi: in generale, ci stiamo dicendo ‘no, non mi accetto’.
3. Accettazione della realtà per come è
Bisogna esercitarsi a riconoscere che le cose non vanno sempre come vorremmo, e accettarlo. In pratica, a dire: “sì, è così anche se mi dà fastidio. La prima e migliore delle cose da fare è innanzi tutto accettare che le cose stiano così”.
Sforzarsi di non cercare, almeno per le prime volte, di evitare: negare, minimizzare, giustificarsi.
I filosofi stoici dell’antichità, come Marco Aurelio, si esercitavano a mantenere una certa distanza dai propri stati d’animo: “se un’idea ti disturba, riconosci e analizza quest’idea.”
Vivere nel presente
Ecco tre regole basilari da ricordare sempre:
- Non cominciare a rimuginare sull’ingiustizia e il pregiudizio.
- Non perdersi in se stessi.
- Non esagerare, non drammatizzare, tornare al contesto della situazione e liberarsi delle proprie paure.
“Di solito dietro il rifiuto dei propri limiti e dei propri fallimenti c’è la paura della mediocrità (ai propri occhi) e dell’etichetta della mediocrità (agli occhi degli altri) – spiega il prof. Pani – Lo scopo dell’accettazione di sé è di consentirci di ritornare alla realtà della situazione, di continuare ad agire e a interagire”.
Per aiutarci possiamo utilizzare brevi frasi di protezione: “prenditi cura di te“, “accetta e agisci“, “non girare il coltello nella piaga“. Ognuno di noi utilizza frasi del genere perché le trova belle, perché le ha prese da qualcuno di cui si fida, perché l’hanno aiutato in un momento particolare.
Pensare al peggio e non avere paura
Esercitarsi ad accettare l’idea del peggio, il che non significa augurarselo e neppure rassegnarvisi.
E anche, se necessario, andare sino in fondo, ripercorrere tutto il repertorio delle proprie paure: fallimento completo, rifiuto totale… Quest’esercizio serve per non tremare più di fronte alla paura del rifiuto.
Per facilitarci questi esercizi, la meditazione è un utile strumento. Ha anche il vantaggio di aiutare a controllare le emozioni e a prendere le distanze da pensieri nocivi.
È la tecnica di meditazione detta piena consapevolezza, che è stata oggetto di numerosissime ricerche nel campo della psicoterapia. Probabilmente rappresenta uno degli strumenti migliori per far sì che l’accettazione di sé diventi una sorta di automatismo mentale.
Accettare il passato
Per raggiungere una buona autostima, occorre evitare di lasciarsi sprofondare in quella “vischiosità del passato” alla quale le nostre sofferenze tendono a farci ritornare, per mezzo di rimpianti o rancori.
Se il nostro passato ci si impone in questo modo attraverso gli eventi del presente, se le emozioni di un tempo ritornano come fantasmi insistenti, è perché non lo abbiamo accettato.
Quando diciamo di esserci riconciliati con il nostro passato, ciò non significa che siamo riusciti a dimenticare: oggi sappiamo che il nostro cervello non dimentica niente. Conserva tutto nella memoria. Allora, è altrettanto importante “ripulire” i ricordi dolorosi della loro carica emozionale, lavorandoci sopra proprio come sulle nostre paure.
Osservarli e notare come esercitano un impatto durevole su di noi, sino a che non si sia esaurito l’eccesso di emozioni sgradevoli.
“La ‘digestione’ del passato è il migliore strumento per liberarsene, e parte essenzialmente dall’accettazione di ciò che è stato: rinunciare a giudicare o a detestare, accettare e ricominciare a vivere” – chiarisce l’esperto.
Allontanare la critica interna
Quella che in psicoterapia si chiama “critica interna” è l’insieme di giudizi costantemente negativi e limitanti, un’autocratica quasi perenne. Una deformazione permanente e parziale di quel che ci succede, sia che si tratti di un successo sia di un fallimento: “Quel che è andato male lo è per colpa mia, quel che è andato bene è dovuto al caso“.
Questo nemico giudicante ovviamente siamo noi. In ogni caso, siamo noi a dargli vita, ad ascoltarlo, ad ospitarlo, a obbedirgli, siamo noi che gli crediamo.
“Uno dei modi per autocriticarci negativamente è accettare il fatto che la critica interna si presenta regolarmente sulla nostra scena mentale. Non impazzite per questo, ma accompagnatela con calma alla porta” – conclude lo psicoterapeuta Prof. Roberto Pani.