«Cicciona, fai una dieta, fai schifo». Dal podio del Palazzo di vetro dell’Onu, davanti a 2.000 studenti da tutto il mondo, ha ricordato le parole d’odio che l’hanno accompagnata durante l’adolescenza. Un potente messaggio di denuncia contro bullismo. A Sanremo ha esibito con sensualità e stile il proprio corpo in una celebrazione della body positivity. Eppure nemmeno questo ha impedito che sui social BigMama fosse oggetto di lazzi e meme che denigravano il suo aspetto. Continua a succedere.
Body shaming: gli insulti che non si placano
Per quanto istituzioni, associazioni e brand pianifichino campagne di sensibilizzazione con testimonial e influencer. Per quanto la tv proponga serie come Survival of the thickest su Netfix, che mostrano rappresentazioni pacificate di corpi non conformi. Quando l’aspetto di qualcuno non corrisponde a determinati canoni estetici invariabilmente diventa bersaglio di critiche da parte del branco degli odiatori seriali. Un’aggressività ostinata, che non risparmia nessuno e inferisce su molte categorie vulnerabili: bambini, anziani, portatori di handicap.
Lo stigma s’accanisce su ogni dettaglio: corpi, troppo grassi o magri, alti o bassi, capigliature eccessivamente folte o rade. Il catalogo è infinito, con un’unica costante: le vittime sono quasi sempre donne. Prima di BigMama, è toccato a Emma Marrone e Alessandra Amoroso, per restare alla musica italiana. Ma il body shaming non ha risparmiato politiche, scienziate, attrici di rango come Jennifer Aniston, Kate Winslet, Scarlett Johansson, popstar come Rihanna, Billie Eilish, Adele e Lady Gaga.
Cosa significa body shaming
Sintesi dei termini inglesi body (corpo) e shame (vergogna), il body shaming può avere conseguenze gravi sul benessere psicofisico – è per esempio tra le prime cause dei disturbi alimentari – e sfocia nel bullismo e nella discriminazione quando inquina aule scolastiche e ambienti di lavoro. Che la pressione sociale sul corpo, soprattutto femminile, sia implacabile lo conferma una ricerca recente di Eurispes: più di 1 donna su 2 sostiene di sentirsi inadeguata rispetto ai modelli femminili proposti nei film, nelle serie tv o sui social, mentre il 50% si è sentita dire che il suo aspetto o l’abbigliamento attirano troppo l’attenzione.
«Il body shaming può diventare anche una manifestazione della violenza di genere» precisa un report di Save the Children, «circostanza che rende bambine e ragazze ampiamente esposte a offese e aggressioni basate su commenti negativi relativi al loro corpo». La Rete si è rivelata il brodo di coltura privilegiato del body shaming: qui, sempre secondo Eurispes, quasi il 46% delle donne tra i 18 e i 24 anni riceve commenti fisici pesanti. Intanto, alcune istituzioni cominciano a prendere drastiche contromisure.
Provare a contrastare il fenomeno
«La nostra città è costruita sull’innovazione e sulla tecnologia, ma molte piattaforme di social media finiscono per mettere in pericolo la salute mentale dei nostri figli» ha dichiarato, presentando una denuncia formale contro TikTok, Instagram, Facebook, Snapchat e YouTube, il sindaco di New York Eric Adams, che ha spesso stigmatizzato il dilagare di body shaming e cyber bullismo su quelle piattaforme. «I social sono una cassa di risonanza enorme» conferma Mattia Cis, psicologo e psicoterapeuta, «veicolata principalmente attraverso le l’immagini: è inevitabile che il corpo sia l’ossessione di chi li frequenta. In più, viviamo in un’epoca di ipersessualizzazione, che filtra ogni percezione e giudizio. I social, infine, favoriscono quella che in psicologia si chiama “diffusione di responsabilità”, la sensazione di poter fare e dire ciò che vogliamo, perché coperti dal branco o perché c’è uno schermo a proteggerci».
Un odio che è parte di noi
Il body shaming è così difficile da sradicare perché l’umanità lo pratica da sempre, puntualizza Cis, e con ogni mezzo: «È in fondo la proiezione su qualcun altro della nostra paura di non andare bene. Affonda in un istinto primordiale, radicato in un’epoca in cui essere accettati nel gruppo era questione di sopravvivenza. Siamo animali sociali, soggetti a quelle che in etologia si chiamano “dinamiche di rango”, fondate sul principio della dominanza o della sottomissione. Finché ci porteremo dentro questa paura di esclusione, avremo sempre bisogno di sfogarla su un capro espiatorio».
La buona notizia è che «l’evoluzione ci spinge a sviluppare sensibilità più inclusive, l’idea di diversità come valore» sottolinea però Cis. «Per paradosso, sono gli stessi social a mostrarci che il mondo è più ampio del nostro cortile: possiamo trovarci nicchie di appartenenza identitaria che ci ricordano che non esistono davvero corpi brutti». È una tenace forma di resistenza che molte persone nel loro piccolo ingaggiano e vincono.
Body shaming: la risposta di Jolanda Renga
Come Jolanda Renga, 20 anni, studentessa e autrice di Qualcosa nel modo in cui sbadiglia (Electa Young) storia dell’educazione sentimentale di una ragazzina che, tra passioni e delusioni cocenti, impara ad amarsi. Qualche anno fa Jolanda è diventata improvvisamente popolare con un video su TikTok che rispondeva a uno tsunami di body shaming. La sua colpa? Non assomigliare abbastanza ai genitori, Ambra Angiolini e Francesco Renga.
«Sono Jolanda, la figlia brutta» esordiva mostrando il suo sorriso irresistibile. «Oggi ho deciso di chiedermi scusa, perché ho dato alle parole di queste persone tanta importanza. Il mio sogno, per fortuna, non è essere bella e neanche la sosia dei miei genitori. Il desiderio più grande nella mia vita è fare delle cose che contano, mi piacerebbe tentare di migliorare un po’ il mondo» confessava nel suo messaggio pulito, toccante.
«Il mio aspetto fisico è sempre stato uno dei miei punti deboli» conferma Jolanda oggi. «Me ne sono resa conto leggendo quei commenti. All’inizio mi hanno fatto male, ma volevo trasformarla in un’occasione per riflettere: se sono io la prima che si svilisce a causa del suo aspetto, che non riesce ad andare oltre, perché dovrebbero farlo gli altri? Quando ho visto che tante persone erano d’accordo con me, che molte altre confessavano di essersi sentite nello stesso modo, mi sono detta: non possiamo farci spegnere così».
Al di là delle giuste sanzioni sociali, infatti, «la partita della libertà si gioca proprio sul body shaming interiorizzato» conferma Mattia Cis. «Là fuori ci sarà sempre un mondo aggressivo, giudicante, ma se impariamo a dirci che andiamo bene, che valiamo, abbiamo un potere invincibile: quello di provare a cambiare ciò che avviene dentro di noi, per sentirci meglio e schermare il giudizio altrui. Dopodiché, con la politica, con la cultura, possiamo cercare di cambiare anche il fuori».
Il nostro progetto
Le donne, in Italia, hanno tutti i diritti e sono padrone della propria vita. Ma solo sulla carta. Perché, quanto a parità, il nostro Paese è al 79° posto del Global Gender Gap Index. Ecco perché a inizio 2024 abbiamo lanciato #Liberedi, un progetto che ci accompagnerà tutto l’anno. Attraverso le voci di donne che hanno sfidato pregiudizi e discriminazioni in nome della libertà di scegliere. E, come in queste pagine, di abitare il proprio corpo ribellandosi al body shaming. Da tanti piccoli passi nasce la grande rivoluzione. Per un futuro più equo.