Ad Amanda Lee è stato diagnosticato un cancro al colon all’età di 27 anni. Amanda soffre di crampi addominali da mesi: dolori così forti da modificare le sue abitudini alimentari e il suo stile di vita. Ma quando finalmente si trova di fronte al gastroenterologo per una visita specialistica di controllo viene bullizzata. Perché è grassa. Poco tempo dopo riceve la diagnosi di cancro. Nel frattempo usa TikTok per raccontare la sua storia.
Quando Amanda è dal medico specialista spiega come il dolore dei crampi le impedisca di mangiare: “Maybe that isn’t such a bad thing“, commenta il medico: forse non è poi così male, forse non è una cattiva idea che arrivi qualcosa che ti impedisca di fare quello che tu da sola non riesci a fare. Ecco, dentro questo pensiero si nasconde il marcio del fat shaming, la convinzione che grasso non solo “non è bello”, ma sia anche e soprattutto colpa tua. Mancanza di disciplina, carenza di autostima e amore verso se stessi. Una persona grassa non può avere successo perché è già sconfitta in partenza: non è riuscita a tenere sotto controllo e dominare il suo corpo, come potrebbe tenere a bada tutto il resto?
“Per le persone con un peso in eccesso, la spinta verso un corpo magro può iniziare fin da piccole, accompagnata da prese in giro e critiche. Lo stigma nasce dalla convinzione diffusa che le persone con obesità siano pigre, mancanti di autodisciplina e forza di volontà, nonostante oggi sia ampiamente riconosciuto che l’obesità derivi dalla combinazione complessa di fattori genetici, ambientali e comportamentali e che il peso non sia completamente sotto il controllo dell’individuo. Lo stigma del peso favorisce lo sviluppo di bassa autostima, immagine corporea negativa, depressione, ansia, stress, disturbi dell’alimentazione, uso improprio di sostanze, comportamenti antisociali, scarsa qualità delle relazioni interpersonali, danni alla carriera scolastica e/o lavorativa e peggioramento della qualità della vita. Inoltre, può contribuire a far interiorizzare lo stigma stesso. Questo significa che persone che hanno un peso in eccesso, arrivano a pensare che le critiche che subiscono, in fondo, siano appropriate a loro che, forse, davvero, non hanno forza di volontà, sono ingorde e incapaci di controllarsi. Nell’ambito della ricerca clinica, emerge, con sempre maggiore evidenza, quanto l’interiorizzazione dello stigma del peso sia dannosa per la gestione dell’obesità e spinga le persone a non ingaggiarsi in programmi salutari di perdita di peso”
Dott.ssa Simona Calugi, Presidente dell’AIDAP, Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso
Quanto pesa il giudizio!
Lo studio medico è uno dei luoghi dove è più alta la frequenza di fat shaming. Incredibile, vero? Dal medico si va per avere cura, consiglio, attenzione. Invece, si finisce per essere azzittiti. Quello che è capitato ad Amanda Lee, e che accade a moltissime persone, continuamente, non ha a che vedere solo con la vergogna di dover subire lo stigma di uno sguardo giudicante. A questo si è aggiunto il rischio per la salute, a causa di un medico che si rifiuta di prescrivere indagini più accurate poiché decide di liquidare il problema con quell’unico sguardo. Suona difficile da dire e ancor più da accettare, ma anche il medico è una vittima: vittima del suo stesso sguardo cieco, incapace di andare oltre, vittima di una società che l’ha reso grassofobico.
La fatphobia, o grassofobia, è estesa a livello sociale. Si tratta di una discriminazione sistematica delle persone grasse ed è profondamente radicata nella società. Crediamo che ne siano prova i commenti non richiesti o gli insulti sul corpo da parte dei bulli, invece non ci rendiamo conto di quanto sia legata nel profondo ai nostri schemi mentali. È un’idea così estesa e forte da avvolgerci come un’edera: non è solo la gogna pubblica destinata al grasso, bensì le occhiate di commiserazione che siamo noi stessi a rivolgere al nostro corpo. Rotolini guardati con disprezzo, un profondo senso di imbarazzo per la pancetta che spunta: ci sentiamo scomodi e in dovere di giustificarci, in dovere di stare perennemente a dieta. Il nostro sguardo considera normale censurare il corpo. Appare normale sentirsi in vergogna per il proprio peso; normale scegliere gli abiti in base a quelli che nascondono la pancia o mettersi a dieta un anno prima del matrimonio per entrare nell’abito da sposa. Vogliamo essere belli e bello è uguale magro, soprattutto per le donne (ma non solo).
Tu come guardi il tuo corpo?
Magro = salute
Siamo così convinti che magrezza sia sinonimo di salute che li utilizziamo come sinonimi, ci hai mai fatto caso? Body shaming è l’atto di deridere una persona a causa del suo aspetto fisico. A essere presa di mira può essere qualsiasi caratteristica: la forma del viso o la curva dei fianchi, lineamenti, adipe o magrezza, capelli, altezza; troppi peli, o troppo pochi. Le donne sono particolarmente giudicate e vessate, ma anche gli uomini non ne sono esenti: la lente d’ingrandimento di chi è sempre pronto a vedere il difetto trasforma le peculiarità del nostro corpo in stigma sociale. La discriminazione agisce contro tutti coloro che escono dal canone. Il giudizio verso il peso costituisce una delle situazioni più frequenti: siamo tutti vittime e carnefici del fatshaming perché in fondo dal grasso siamo ossessionati.
Dai manuali semiseri contro sovrappeso e cellulite, piaga sociale del nostro tempo, alla dieta del mese, dentro di noi c’è l’idea che il nostro corpo non vada bene così com’è. I cambiamenti del corpo femminile, matrice di trasformazione, diventano momenti da negare: “voglio continuare a essere ciò che ero” o persino “diventare ciò che non sono”, è così che inizia una guerra quotidiana con lo specchio, che rimanda l’immagine distorta di noi stesse attraverso lo sguardo dell’altro.
Il paradosso dell’obesità
“No, sorry, forget what the body positivity movement has told you—you cannot be both fat and fit” scrive Virginia Sole-Smith, giornalista e autrice del libro “The Eating Instinct: Food Culture, Body Image and Guilt in America”: no, mi dispiace non puoi apparire grasso e al tempo stesso essere in forma. Lo stigma del peso porta ad atteggiamenti discriminatori verso milioni di persone in tutto il mondo. Il sapere medico è concentrato a sottolineare le ripercussioni negative derivanti da obesità e peso in eccesso, un pericolo per arterie e salute del cuore, circolazione, in grado di peggiorare pelle, capelli, invechiamento. Tuttavia, spiega l’autrice, non ci si sofferma altrettanto sul binomio BMI e attività fisica. Le ricerche più recenti mostrano che un indice di massa corporea alto associato ad alti livelli di attività fisica non producono rischi più significativi per i disturbi del cuore rispetto a chi abbia un indice BMI nella norma. Quindi sì, è possibile avere forme imponenti e un corpo vitale, allenato, scattante. Dipende da come viviamo e ci prendiamo cura del nostro corpo. Per esempio, uno studio spagnolo, ha dimostrato che il rischio di ipertensione è uguale, sia per soggetti con BMI alto, sia per chi ha un BMI nella norma ma svolge una vita sedentaria. Essere magri non ci tiene al riparo delle malattie, anzi.
È stato chiamato il paradosso dell’obesità, “the obesity paradox”. Jeffrey Hunger, assistente professore di psicologia sociale presso la Miami University of Ohio, alla giornalista ha spiegato che il termine “the obesity paradox” costituisce il primo esempio di stigmatizzazione del peso, stigma weight, presente nella letteratura scientifica perché “paradosso” è qualcosa contraddittorio o visto all’apparenza assurdo ed è nato perché è stato considerato assurdo che persone grasse potessero essere in salute.
Il 24 per cento dei dottori ammette di sentirsi a disagio ad avere amici con una corporatura importante e il 18 per cento ammette di sentirsi disgustato di fronte a pazienti con un indice BMI alto: questa ricerca è stata effettuata in Canada e ha coinvolto 400 medici di base. Quando i ricercatori, tua madre o i trol di internet ti dicono “non puoi essere grasso e in forma” quello che intendono è “non puoi essere grasso e magro allo stesso tempo” e questo è vero, conclude Virginia Sole-Smith, non possiamo essere grassi e magri nello stesso tempo.
È bene fare una precisazione, perché merita una riflessione ciò che noi in maniera genericamente chiamiamo “grasso”. Il termine “curvy” è uno dei tanti inventati per dare nome a una categoria di curve che, sempre con tanto di virgolette, è stata descritta come “generosa, procace, prosperosa, florida, giunonica”: in pratica a partire dalla taglia 46. Che cos’è “grasso”, quindi? O meglio, quando il grasso diventa un pericolo? Il corpo può avere forme, statura e struttura completamente diverse. Aderire a un canone o scegliere di smettere è una rivoluzione culturale. A patto, però, che questo non vada a ledere quella che invece è la ricerca di salute. Chiarisce la Dott.ssa Simona Calugi: “L’obesità è una malattia cronica che necessita di essere gestita nel tempo. Per questo motivo gli interventi alla gestione dell’obesità devono includere strategie e procedure che aiutino la persona a gestire ed affrontare in modo efficace, tra le altre cose, il problema dello stigma e dello stigma interiorizzato. Dall’altro lato la società ha bisogno di fare ancora grandi cambiamenti culturali per arrivare a vedere l’obesità come una patologia cronica e non come la mancanza di forza di volontà dell’individuo stesso. Purtroppo numerosi studi hanno evidenziato che questo è uno dei principali motivi per cui le persone con obesità non ricercano aiuto da medici specialisti e non aderiscono ai trattamenti”.
La Dott.ssa Simona Calugi, Presidente dell’AIDAP, Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso spiega: ”Quando si parla di stigma del peso nell’obesità bisogna stare sempre attenti, ed evitare di pensare di combattere lo stigma pensando che l’obesità non sia un grave problema di salute. L’obesità rimane un problema da dover gestire con interventi mirati e non qualcosa da accettare incondizionatamente. Altrimenti i danni sulla salute possono essere gravi e la disabilità che si crea, altrettanto. Certo è che lo stigma è un grave problema sia per i danni psicologici che crea, sia per gli effetti che ha nella gestione dell’obesità stessa”.
Per un reale cambiamento, a livello personale e sociale, è fondamentale inziare un processo che sia di reale ascolto del corpo. Ascoltare il corpo significa imparare a prendersene cura, comprendere le sue necessità e lavorare per la sua salute: può richiedere anni iniziare a vedere il nostro corpo per quello che è. È un viaggio che dura tutta la vita, perché il nostro corpo è il compagno da cui siamo inseparabili. Possiamo passare molto del nostro tempo a fargli guerra e logorarlo, ma in realtà la decisione di iniziare a dedicare attenzione a ciò che siamo a livello fisico è il bivio in grado di trasformare la nostra vita. Tendere una mano alla persona che vedi nello specchio è iniziare a guardarti sul serio. Ma per farlo hai bisogno di distogliere lo sguardo e rivolgerlo all’interno, verso quello che senti dentro. Per ritrovare fiducia nelle sensazioni, in come ci sentiamo e percepiamo, e riscoprire la connessione con la vita attraverso la materia.