La cronaca porta alla ribalta un numero sempre maggiore di casi di cyberbullismo, alcuni con epilogo drammatico (vedi alla voce istigazione al suicidio). Il cyberbullismo è una nuova forma di violenza psicologica, un’invasione e “un’appropriazione indebita” della vita altrui.
Secondo una recente indagine condotta da Save The Children, è proprio il cyberbullismo ad essere considerato il fenomeno sociale più pericoloso per ben il 72% dei ragazzi. Dai dati dell’ultimo rapporto Istat, emerge che si tratta di un fenomeno in fase di allarmante crescita: il 5,9 % dei ragazzi ha denunciato di aver subito ripetutamente azioni vessatorie attraverso l’uso di sms, mail, chat e social network. A subire atti di cyberbullismo sono soprattutto le ragazze (7,1% delle femmine contro 4,6% dei maschi).
Cyberbullismo: cos’è
Innanzitutto, cerchiamo di chiarire il concetto di cyberbullismo. Conoscere con precisione il nemico, infatti, può aiutare a combatterlo più efficacemente e, soprattutto, a prevenirlo. Per cyberbullismo si intendono abusi e vessazioni compiuti con l’invio ripetuto di messaggi offensivi tramite sms e chat social network. Il fine di questi atti è la molestia, nonché la denigrazione pubblica della vittima prescelta.
Secondo i dati raccolti e analizzati dal network di studi legali View Net Legal, il cyberbullismo è riconducibile a qualsiasi attività di denigrazione, pressione, molestia, ricatto o furto d’identità. In questo contesto, diventano rilevanti anche l’acquisizione e il trattamento illecito di dati personali a danno di minorenni. Lo scopo, infatti, è quello di isolare il minore attraverso l’esercizio di una terribile violenza psicologica.
All’interno del concetto di cyberbullismo, purtroppo sempre più ampio a causa della diffusione dei social network, rientra anche il sexting. Quest’ultimo, molto praticato dai giovanissimi, consiste nell’invio virtuale molesto di messaggi e immagini sessualmente espliciti. Anche in questo caso, lo scopo è mettere in difficoltà e molestare il destinatario.
Conseguenze psicologiche
Le conseguenze psicologiche del cyberbullismo sono facilmente deducibili. Si spazia, infatti, dalla vergogna e dall’imbarazzo all’isolamento sociale della vittima, senza tralasciare varie forme depressive, attacchi di panico e atti estremi come i tentativi di suicidio. Secondo quanto riportato dagli esperti di Telefono azzurro, il cyberbullismo è ancor più psicologicamente devastante del bullismo.
Nella dimensione virtuale, infatti, gli atti di bullismo (immagini, commenti) spesso non possono essere cancellate o, se vengono eliminate, hanno comunque già raggiunto una diffusione capillare incontrollabile. Il cyberbullismo genera, quindi, ferite inguaribili proprio perché il fenomeno si autoalimenta ed è impossibile da controllare per il singolo.
Il cyberbullismo, per i ragazzi, può iniziare come una sorta di gioco e poi degenerare provocando diverse tipologie di vittime: insomma, si tratta di una vera e propria piaga sociale Gli esperti concordano sulla difficoltà iniziale del ragazzo nel rendersi conto del confine tra scherzo e violazione della privacy o vera e propria molestia. Per questi motivi, diventa fondamentale un’azione concertata di informazione preventiva praticata sia dalla scuola, sia dalle famiglie.
La legge
Come è punito oggi il cyberbullismo in Italia? Secondo quanto afferma l’Avvocato Salvatore Frattallone, penalista e LL.M. questi comportamenti rappresentano un vero e proprio reato. «I casi di diffamazione sono punibili ai sensi dell’art. 595 c.p.: tale reato è integrato tutte le volte in cui, comunicando con due o più persone, si offende l’altrui reputazione e quindi l’onore e il decoro della vittima. Ma i reati sono diversi: istigazione al suicidio, atti persecutori, minacce, sostituzione di persona e altri ancora» spiega l’avvocato.
Sono sempre più frequenti anche episodi di diffusione di video hard che terminano con il tentativo di suicidio della vittima. In questi casi, cosa rischia chi diffonde tale materiale?
«Si configurano i reati di diffamazione e di istigazione al suicidio. Il primo è un reato procedibile a querela di parte e, se la vittima non aveva denunciato prima della morte, non vi sono gli estremi per dar vita al processo penale. Nel caso di Tiziana Cantone, infatti, la Procura di Napoli ha chiesto l’archiviazione nei confronti di quattro persone denunciate per diffamazione dalla stessa vittima subito dopo la diffusione sul web dei video hard che la ritraevano; era stata lei stessa però a ritrattare le accuse in un momento successivo: secondo il P.M. dunque non esisterebbero i presupposti per esercitare l’azione penale. Le indagini proseguono invece per il reato di istigazione al suicidio, disciplinato dall’art. 580 c.p. con reclusione da 5 a 12 anni nell’ipotesi non aggravata. La norma punisce, si badi, chiunque determini un’altra persona al suicidio, ne rafforzi il proposito già preesistente ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione» conclude l’avvocato.