Mi hanno sempre fatto male, le vacanze. Prima, durante e dopo. Ho passato almeno 20 anni della vita odiando i preparativi, i trolley, gli aerei, i transfer, le case scomode, le formiche, il caldo, il cambio di fuso, il cibo diverso. Una volta sono stata messa ko da una mostruosa acne di ritorno e da una cistite notturna, implorando per un antibiotico in un villaggio di un’isola così accogliente da ribattezzarla Lost.
Vacanze: che fatica!
Pessima pianificatrice del mio tempo libero, ho prenotato sempre tutto all’ultimo perché obbligata a decidere le ferie a marzo: buttavo lì le date a casaccio, sapendo che sarei arrivata a quelle 3 settimane stremata da turni di lavoro estivi in cui le responsabilità, si sa, s’impennano. L’equazione vacanze=carico mentale doppio, insomma, era un mutuo a tasso fisso: presentava regolarmente i suoi interessi prelevandoli in modo coatto dal mio sistema nervoso.
Ancora oggi che ho cambiato vita e allargato con disordine la mia famiglia, rimango una pessima vacanziera: ai già elencati fastidi delle ferie, invecchiando, si è aggiunta la maniacalità di lasciare i letti cambiati, 40 kg di crocchette per la gatta che – poverina – morirà di fame, e una to-do-list di inutilezze che in aeroporto capirò di aver dimenticato. Se è destino, carica di valigie con abiti che non userò tanto al mare si “sciabatta” e basta, a breve partirò. Addio città, obblighi, affanni, call, chat della scuola.
Ora scelgo la self compassion
L’unica condizione esistenziale prevista è entrare in modalità stand-by e attendere che qualcun altro faccia tutto al posto mio. Lasciare che la Dea della nullafacenza si impadronisca della mia nota ansia di controllo e il Dio dell’operosità peschi a piacere tra gli sfaccendati (perlopiù maschi) che mi circondano. Per farlo, userò una buona dose di self-compassion, ovvero «un potente strumento per gestire stress, ansia e altre emozioni difficili» dice la pedagogista, life e business coach Giovanna Giacomini. «L’autocompassione è la capacità di sviluppare un atteggiamento di cura verso se stessi con la gentilezza che utilizzeremmo per le persone care». Teorizzata dalla psicologa statunitense Kristin Neff nel 2003 nel libro La self compassion: il potere dell’essere gentili con se stessi (in Italia pubblicato da FrancoAngeli), questa pratica è stata oggetto di oltre 500 studi che ne hanno dimostrato i benefici.
Delegare è un regalo che dobbiamo a noi stesse
Imparare a prendersi tempo, a mettere davanti le proprie esigenze e non quelle degli altri, a dire “oggi questo lo puoi fare tu” è un regalo che dobbiamo a noi stesse e che si può provare a concedersi proprio nel tunnel spazio-temporale delle vacanze, dove le regole che ci si impone tutto l’anno saltano e si è liberi di sperimentare sia nuovi set sia nuovi mindset da rimettere in valigia per settembre.
«Molte donne che incontro nella mia esperienza di formatrice dichiarano di soffrire di stanchezza mentale, più che fisica, si sentono addosso la gestione lavorativa e domestica. Persino il tempo libero diventa un tempo programmato, una corsa a fare più cose possibili» spiega l’esperta. «La via d’uscita è imporsi dei limiti: imparare a dire di no, a chiedere quello che ci serve, a essere più flessibili». Il carico va ribilanciato accettando che chi ci sta vicino faccia la sua parte a modo suo, allontanando la mania di perfezionismo, quel ronzare come un elicottero sulla testa di tutti, quell’inclinazione a schedulare e pianificare ogni dettaglio.
Conosci il kinkeeping?
Insomma, evitare di fare dell’insano kinkeeping anche in vacanza per assicurarsi che tutti nella propria cerchia di relazioni ricevano le attenzioni necessarie. Il kinkeeper, scrive il New York Times in un articolo sul tema, è il collante della famiglia, è il custode dei ricordi e, manco a dirlo, è sempre donna: «È la madre, la moglie, la zia, la sorella generosa, è la persona affidabile che aiuta a tenere alto il benessere e la salute mentale familiare. Un lavoro che può appagare ma emotivamente logorare». D’altronde, è facile capire se si è investiti del ruolo anche in pieno piano ferie: chi scatta sempre le foto in spiaggia e non finisce mai nell’inquadratura? Chi si è ricordata il beauty con le medicine per tutti? E la crema solare? Scommetto che è donna, a grandi linee madre, e a grandi linee sei tu.
Ma una buona notizia c’è: è possibile invertire la tendenza faccio-tutto-io con un “Adesso fallo tu!” rubando qualche buona pratica al mondo manageriale dove, proprio come nelle imprese-famiglia, si fatica sempre a delegare e a non accentrare su poche persone troppe responsabilità.
Bisogna imparare a dire “no” a chi ci ruba energie
«Non siamo capaci di distribuire i nostri incarichi perché non è naturale: siamo programmati per diventare abili in un’attività ed eseguirla poi direttamente» spiega l’imprenditore e consulente aziendale Luca Torcivia nel saggio Delega tutto! (Engage). Luca ha deciso di scrivere questo libro in un momento di crisi: «Ho un’attività con moltissimi collaboratori, vari uffici tra Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, sono sposato, ho 4 figli e sono un creativo. A un certo punto sono andato in sovraccarico e ho dovuto imparare a organizzare la mia vita in modo diverso, anche a casa».
«Con mia moglie abbiamo stabilito che tutto ciò che è operativo è delegabile, dalla spesa alla cucina, e semplifichiamo facendoci aiutare. Da imprenditore ho capito che non devo per forza “aprire e chiudere la saracinesca” sempre io, che devo avere tempo sufficiente per pensare in modo strategico alle attività future, che se non si delega si vive sempre nel presente in maniera nevrotica, che bisogna imparare a dire no a chi ci ruba energie, che la scelta dei collaboratori è fondamentale».
Delegare, un atto di fede e fiducia
Nel saggio Torcivia chiarisce che la delega è sempre un atto di fede e di fiducia e la persona a cui affidarsi è giusta se desidera svolgere quella mansione ed è pronta almeno al 50%: l’altra metà sarà nostra cura formarla con obiettivi, procedure e ruoli chiari. Quel “fallo tu!”, insomma, non può essere solo una frase impulsiva: per renderla davvero efficace, e renderci più liberi e felici, bisogna essere disposti a opporsi il meno possibile al cambiamento. Perché, avvisa Torcivia, spesso per smania di controllo o di ricerca di un proprio clone il più grande impedimento alla delega – indoviniamo un po’ – siamo proprio noi.
Due libri utili per imparare a delegare
- LA SELF COMPASSION: IL POTERE DELL’ESSERE GENTILI CON SE STESSI (FrancoAngeli). La psicologa Kristin Neff invita a non pretendere troppo da noi stessi, a non sobbarcarci il peso di tutto. E a prenderci cura di noi, iniziando a mettere i nostri bisogni e desideri al primo posto. Almeno ogni tanto!
- DELEGA TUTTO! (Engage). L’imprenditore e consulente aziendale Luca Torcivia, partendo dalla propria esperienza, spiega perché è tanto difficile delegare – prevede un atto di fede (che possiamo essere sostituiti) e di fiducia (in un’altra persona) – e come imparare a farlo.