In Europa soffrono di depressione 40 milioni di individui. In Italia la depressione è il disturbo mentale più diffuso: secondo l’Istat, interessa circa 3 milioni di persone – una su 20 – e i più colpiti sono i soggetti più fragili, anziani e donne. Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare il caso di Cara Delevingne. Prima di partecipare alla Fashion Week di Parigi, la top model britannica sarebbe rimasta chiusa in casa per giorni, facendo temere una “ricaduta” in quella depressione contro cui ha rivelato di lottare da anni.
Depressione, se ne parla troppo poco
Ma la storia di Cara è solo uno dei tanti tasselli che compongono il complicato puzzle della salute mentale, di cui il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale. «In Italia si parla ancora poco e male di questo argomento» esordisce Alberto Zanobio, direttore di una Struttura complessa di Psichiatria di Milano. «Si enfatizzano troppo le questioni legate alle patologie e si trascurano invece quelle che riguardano il benessere psicologico. Che è un tema importante, che tocca tutti noi. Perché parlare di salute mentale non significa solo discutere di malattia, ma capire come possiamo stare bene. Vuol dire per esempio parlare di benessere psicologico al lavoro, a scuola, in famiglia». Un benessere che meriterebbe maggiore attenzione, che avrebbe bisogno di parole nuove per essere raccontato e di un po’ di coraggio da parte nostra per riuscire a dire: «Non sto molto bene».
Lo stigma sociale sulla depressione
Così si potrebbe anche attenuare lo stigma sociale che esiste ancora su questo tema. «Secondo me oggi è ancora più forte» interviene Zanobio. «Nella nostra società il diverso fa paura, passa il messaggio che bisogna stare attenti ai “matti” e lo stigma così continua a crescere. Senza un cambio di atteggiamento socio-culturale verso chi soffre di disturbi psichici temo si ritornerà a misure istituzionali che allontanino queste persone dalla società». Persone fragili che vengono messe da parte perché non ritenute degne di attenzione, di cura, di cure, di un lavoro. Insomma, della dignità. «Se lei entra in un reparto di Psichiatria, vedrà al massimo uno o due pazienti che portano gli occhiali. Credo che non sia perché gli altri non ne hanno bisogno ma, purtroppo, perché nessuno ritiene opportuno occuparsene» racconta Zanobio.
La psichiatria non è solo farmaci
Questa mancanza di attenzione scava solitudini immense e innesca un circolo vizioso, difficile da spezzare: più lo stigma aumenta, più le persone fragili vengono trascurate; e più si sentono trascurate, più si nascondono. «Ma un modo per cambiare questa situazione esiste ed è racchiuso in sei parole: sostegno, tolleranza, incoraggiamento, generosità, moderazione, ascolto» dice l’esperto. Un modo apparentemente semplice ma efficace. Soprattutto se si prende in considerazione l’ultima parola, forse la più importante: ascolto. «Purtroppo stiamo facendo fatica a pensare alla psichiatria se non come terapia farmacologica. La psichiatria è, sì, farmaci, ma è anche relazione: costruire un rapporto, avere un dialogo. E lo dico per esperienza personale: dedicare a una persona un’ora, ascoltarla, accogliere il suo racconto fa tanto» dice Alberto Zanobio, mentre sorride salutando uno dei suoi pazienti che finalmente viene dimesso.
Aumenta l’ansia, causa il Covid e la fretta di avere tutto subito
Certo, i numeri della depressione sono allarmanti. «Anche se a mio avviso la malattia vera e propria, quella che si chiama depressione maggiore, in realtà non sta dilagando» specifica Zanobio. A crescere, negli adulti ma anche nei ragazzi, sono invece i sentimenti depressivi, gli stati di ansia, quelle emozioni “tra alti e bassi” che molti di noi hanno magari già provato e che, pur non essendo una malattia e non rientrando quindi nel conteggio complessivo dei quasi 3 milioni di casi, non ci fanno stare bene. Un aumento che può giustificare anche il crescere del 2,4% delle prescrizioni di antidepressivi, stando all’ultimo Rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali). «Oltre al Covid, la causa di questo aumento è la rapidità del mondo in cui viviamo: se io ho un sogno, si deve realizzare subito. Se così non è, vado in crisi» spiega Zanobio.
La salute mentale dei più giovani è compromessa
A provare disagio oggi sono spesso i più giovani, che in qualche modo sono più sensibili, come se avessero la pelle più sottile, più nuda, e sono quelli che fanno fatica ad accettare i fallimenti, a non essere come sognavano di essere. «Mi ricordo ancora come, nel 1983, il mio professore di università ci spiegò cos’è l’ansia: “Avete in mente come si sta in una finale di Coppa Davis quando l’avversario sta per battere?”. Ecco quella è l’ansia. E nella loro ipersensibilità emotiva i ragazzi sembrano non voler provare sensazioni che non siano la pace e la normalità» dice lo psichiatra. Ma quelle sensazioni, sempre che non siano patologiche, servono. Ci tengono pronti, reattivi, vivi. Come viva deve essersi sentita una ragazza rumena con disturbi psichiatrici che, dopo essere stata ricoverata a Milano, è riuscita a fare una videochiamata alla sua famiglia. «In quel momento è cambiato il mondo per tutti. Dopo la telefonata, lei è stata meglio, ha deciso di curarsi e di tornare nel suo Paese. Qualche settimana dopo l’ho accompagnata in aeroporto ed è partita. Appena arrivata mi ha mandato una foto con sua figlia. Ecco cosa intendo per connessione e ascolto, che aiutano la salute mentale di tutti: di questa ragazza, della sua famiglia e anche un po’ la mia» conclude Zanobio, commuovendosi. Una storia che ci fa capire che dietro alla salute mentale di tutti noi c’è molto di più: emozioni, legami, relazioni che fanno bene al cuore oltre che alla mente.
La Luna piena delle fragole (De Agostini) è il terzo romanzo di Paolo Stella. Nato dagli incontri dell’autore con i giovani della Generazione Z,
esplora le varie forme di un disagio sempre più diffuso tra i ragazzi: la solitudine.