Nasce ad Oviedo (Spagna), nel 1961, attualmente vive e lavora a Milano. Frequenta la facoltà di architettura al Politecnico di Madrid e poi al Politecnico di Milano dove si laurea nel 1989 avendo come relatore Achille Castiglioni. Dal 1990 al 1992 è assistente nei corsi tenuti da Achille Castiglioni ed Eugenio Bettinelli sia al Politecnico di Milano che all´ENSCI di Parigi. Dal 1990 al 1996 segue l´ufficio sviluppo prodotti per De Padova dove firma con Vico Magistretti: “Flower”, “Loom Sofa” e “Chaise Longue”. Contemporaneamente, dal 1993 al 1996, apre uno studio associato (con M. de Renzio e E. Ramerino) e si occupa di progettazione architettonica, interni, showroom e ristoranti. Dal 1996 al 2000, coordina il gruppo design dello studio Lissoni Associati. Nel 2001 apre un suo studio di progettazione dove si occupa di design, allestimenti ed architettura.
“Design, il tuo nome è donna. Il bello quotidiano nato dalla creatività femminile”, è il titolo della mostra: perché la donna designer si affaccia da poco tempo al mondo degli oggetti?
Il mondo del design industriale è stato per molto tempo un settore molto tecnico, prevalentemente maschile. Industriali, tecnici, prototipisti che si sentivano a proprio agio tra di loro. Ma ci sono anche molti esempi di grandi imprenditrici come Maddalena De Padova e Patrizia Moroso per cui è indifferente lavorare con un progettista uomo o donna.
Philippe Starck , un anno fa ha dichiarato che il futuro è donna: lo pensi anche tu?
Visitando le scuole di design e i maggiori seminari in tutto il mondo è evidente una maggioranza femminile, anche se questo fenomeno non si è ancora esteso al mercato e all’industria. Ma credo che sarà una naturale conseguenza.
Lo slogan “less is more” ha salvato il design o lo ha troppo semplificato?
Non esistono diktat universali. Dalla relazione tra un designer e l’industria nascono ogni volta delle combinazioni diverse, irripetibili. Credo sia importante essere onesti e coerenti cercando di ottenere il massimo da questa unione. Senza seguire stili, mode o formule. Il designer essendo esterno all’azienda, ha l’obbligo di essere un elemento “di disturbo”, spostando i limiti esistenti, ma rispettando la tradizione e le potenzialità.
Ora si parla di energia, innovazione tecnologica, riciclo: pensi che questi elementi possano portare al design nuovi spunti?
Sono diventati elementi fondamentali del progetto. Ogni volta che inizio a lavorare su un nuovo prodotto, insieme all’industria, ci poniamo delle domande su come potrà essere smaltito alla fine del suo utilizzo e per questo utilizzare una minore diversità di materiali e una maggiore facilità di scomposizione; quante vite potrà avere, quanto tempo dovrà durare. Come potrà essere imballato per ridurre l’aria che deve viaggiare assieme al prodotto o ridurre l’ingombro e il peso complessivo. Come possiamo ridurre il consumo d’acqua e quello energetico. Il tutto senza perdere la qualità percepita. L’obiettivo principale è comunque non mettere al mondo oggetti inutili.
Dall’idea al progetto: raccontaci come nasce un tuo progetto e da cosa.
Sono molto rigorosa nel seguire un processo di progettazione. Le idee nascono da analogie con sollecitazioni che ricevo dalla vita di ogni giorno, dai viaggi, dai libri, dall’arte. Guardando con un punto di vista “inusuale” quello che è intorno a me. Poi nasce il momento più bello, che purtroppo è nascosto alla vista del pubblico, lo sviluppo del progetto. Un lavoro a quattro mani dove in molti momenti tutto sembra impossibile, ma da cui quasi magicamente nasce un prodotto industrializzato e riproducibile in serie.
Quali sono i pezzi della tua casa a cui non potresti rinunciare?
I prototipi di alcuni miei progetti. Mi ricordano le storie dietro ogni prodotto.
Cosa ti piacerebbe progettare ancora?
Il prossimo progetto. Non ho brief “ideali”, mi sento stimolata da ogni tipologia di prodotto. E ho lo stesso entusiasmo per un cucchiaino o una casa.
Sguardo al futuro: che cosa suggerisci ad una giovane designer che si affaccia ora al mondo del design?
Di scegliere i propri maestri. Quando si esce dall’università si hanno pochi bagagli. Questo limite ha dei vantaggi, si ha la leggerezza per poter viaggiare e pochi condizionamenti (e responsabilità) da subire.