Empatia e intelligenza emotiva
Si fa presto a dire empatia, un po’ meno a riscontrarla davvero nella vita reale. Riferendosi a se stessi, a volte si stenta ad applicarla nelle relazioni interpersonali, seppure involontariamente. L’empatia, infatti, non è una questione di volontà e autocontrollo. O ce l’hai o non ce l’hai (anche se, a sorpresa, può essere allenata).
Altre volte ancora si possono incontrare persone che si definiscono empatiche, ma che in realtà sono solo socievoli e disinvolte nei rapporti con gli altri. Insomma, attorno all’empatia ruota un po’ di confusione, probabilmente perché è un concetto nobile e bello – aggettivi non a caso – di cui negli ultimi tempi si abusa, seppur in buona fede. A fare da cornice sono i difficili tempi che stiamo vivendo e la protervia di libri e pubblicazioni sul tema il cui capostipite è lo psicologo cognitivista americano Daniel Goleman, con il fortunato saggio “Intelligenza Emotiva“, uscito a metà anni ’90. Successivamente è stato declinato in vari ambiti della vita quotidiana (dal lavoro alla coppia, passando per la meditazione e l’ecologia).
La scoperta dei “neuroni specchio” ha aperto ancor più la strada a una tematica di sicuro interesse: si tratta di cellule del cervello che ci permettono di comprendere le azioni degli altri.
Per fare un po’ di chiarezza abbiamo cercato di sciogliere i dubbi principali sull’empatia insieme allo psicotoerapeuta Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica dell’Università di Bologna.
Definizione di empatia
«Dal greco in (dentro) e pathos (affetto), l’empatia è la capacità di descrivere le emozioni e di saperle esprimere nella relazione con un’altra persona – precisa lo psicoterapeuta. In termini più pratici, l’empatia è il sapersi mettere spontaneamente nei panni degli altri, percependo i vari moti del loro animo, per accoglierli».
Dal punto di vista psicologico, essere empatici significa essere con l’altro, partecipare ai suoi stati d’animo, gioie e dolori che siano. Un aspetto che, nelle relazioni intepersonali, si concretizza nella comprensione emotiva, ben diversa da quella logico-razionale. La differenza? «Comprendere emotivamente vuol dire far proprio ciò che l’altro prova, fino a quasi sentirlo dentro di sé. La comprensione di tipo logico-razionale, invece, significa intendere dal punto di vista intellettivo, afferrare con la mente. Il che resta su un piano più “freddo” rispetto a quello delle emozioni, richiesto dall’empatia» – precisa l’esperto. Da qui il collegamento con l’intelligenza emotiva.
Qual è il legame tra intelligenza emotiva ed empatia?
«L’intelligenza emotiva presuppone sì la capacità di esprimere emozioni, ma in più aggiunge una peculiarità di leggere gli altri, proprio perché vuol dire avere introspezione, rivolta sia verso noi stessi che verso gli altri. E questo è importante perché permette di fare collegamenti tra emozioni differenti e soprattutto non proprie». Qualche esempio pratico? «Saper trovare il comun denominatore tra emozioni apparentemente non collegate tra loro (ansia, rabbia, preoccupazione, gioia, calma, appagamento ecc.). E poi fare lo stesso lavoro di “link e ancoraggio” quando si ascolta gli altri».
Ma attenzione, l’empatia non è un’interpretazione “accademica” di ciò che accade nella mente dell’altro, bensì è «un’attitudine a guardare oltre la superficie concreta del racconto di un nostro amico, riuscendo a coglierne – intuitivamente – l’anima». E le emozioni sono proprio il linguaggio dell’anima.
Cosa non è l’empatia
Data l’inflazione (benevola) di espressioni come essere empatici ed empatizzare, è bene individuare cosa non è l’empatia o cosa si scambia per essa. «Per essere precisi, l’empatia non va confusa con la socievolezza e la disinvoltura nelle relazioni con gli altri, anche se queste caratteristiche possono aiutare molto. E non è nemmeno quella forma di accoglienza gentile un po’ stereotipata che, in molti casi, rende sì le persone affabili e gradevoli, ma non sempre comprensive sul piano profondo» – specifica lo psicoterapeuta Pani.
Se ci facciamo caso, spesso abbiamo a che fare con persone sorridenti e piacevoli, ma che – quando la conversazione si eleva su un piano emotivo – si ha l’impressione che non sappiano veramente coglierla. Non si tratta di una colpa, perché l’empatia non è né automatica né voluta, ma è spontanea.
Come usare l’empatia nella vita di tutti i giorni
«Per prima cosa, è importante fare un salto da se stessi, come se si volesse uscire dalla “propria casa” per entrare in quella dell’altro. E ciò è valido sia nel lavoro che nelle relazioni sociali (e non solo quelle affettive)». Se si è empatici vien naturale non restare arroccati sulle proprie fortezze, che in senso figurato equivalgono a: convinzioni, idee e principi.
Nella vita quotidiana l’empatia la si esprime con l’ascolto partecipativo dell’altro, quello che non sempre richiede la soluzione. A tal proposito, prima di elargire consigli non richiesti, bisogna intuire se l’altro ci sta veramente chiedendo un parere o solo un grande “orecchio poroso”, capace di assorbire il suo racconto e basta.
Sul lavoro essere empatici aiuta a costruire meglio l’unione del proprio team, dando un senso concreto a espressioni aziendali come “spirito di squadra, mission e valori”. Anche in questo caso il rendimento professionale diventa più proficuo se si è collaborativi. Come? Vedendo il collega come un alleato con cui raggiungere lo stesso scopo.
Un altro modo di adottare l’empatia nella quotidianità è durante le discussioni, per evitare si trasformino in liti catastrofiche. Anche se può costare fatica, bisognerebbe cercare di comprendere cosa c’è dietro la rabbia dell’altro, cosa ci sta volendo trasmettere con parole e modi di fare aggressivi. È sufficiente fermarsi un attimo, facendo un passo indietro, anche dicendolo a parole: serve a creare quello spazio emotivo in cui abbassare i toni e comprendersi a vicenda.
Tutti i vantaggi dell’empatia
«Il primo vantaggio dell’empatia è sicuramente l’arricchimento psichico che porta a coltivare la propria introspezione, e quindi a conoscere meglio se stessi e gli altri» – afferma l’esperto. «In seconda battuta, c’è la sensazione di stare meglio dal punto di vista psicologico, poiché si ha una visione più chiara della realtà». E forse più umana, aggiungiamo noi.
Per quanto riguarda i rapporti con gli altri, questi traggono giovamento dalla capacità di “gestirli” empaticamente, soprattutto se sono conflittuali. «Innanzitutto, avere empatia vuol dire riuscire a vedere gli altri non come nemici, ma come persone con pregi e difetti da tenere in considerazione. Si riesce così a smussare eventuali diffidenze che possono minare la relazione.
Essere empatici “conviene” perché migliora la qualità dei rapporti affettivi: si è più complici, affettuosi, ben disposti a lasciarsi guidare dall’altro e a dare eventuale supporto, in uno scambio reciproco che, nel lungo periodo, dà gioia. Naturalmente l’empatia non è un calcolo, in quanto è una caratteristica spontanea (quasi) innata. Certo, si può coltivarla, allenandosi a indossare i panni degli altri, dopo essersi letteralmente spogliati dei propri: il consiglio è quello di compiere un “salto figurato”. A volte, l’immaginazione o il dirsi cosa farei se fossi in lui o lei, aiuta.
Come capire se sei una persona poco empatica
A questo punto ti starai chiedendo se sei una persona empatica o meno. «In realtà, chi non è empatico non lo sa, perché non ha gli strumenti emotivi per rendersene conto, cioè l’introspezione. Attenzione: non si parla di strumenti cognitivi e di intelligenza logico-razionale. Una persona può essere socievole e affabile, intelligente e sveglia, ma più di tanto non riesce ad approfondire i legami». Non dobbiamo immaginarci, infatti, il privo di empatia solo come il classico solitario, introverso e poco propenso alle relazioni. Senz’altro una certa rigidità emotiva può essere associata alla chiusura in se stessi, ma non è l’unico fattore da tenere in considerazione.
C’è un modo per intuire di essere poco empatici? «Sì, se si sperimenta un senso di solitudine interiore che porta a lamentarsi della qualità delle proprie relazioni, anche se non si sa bene come e perché. E ciò è tanto più valido se la sensazione di vivere in un deserto relazionale perdura da un po’ di anni. Però ciò presuppone il sapersi guardare dentro: già porsi la domanda è un buon passo in avanti».
Empatici si nasce o si diventa?
«Si nasce empatici, ma non è vero che non si può diventarlo. Certo, sforzarsi non serve, perché non è un fatto di volontà. Da soli, quindi non si riesce nemmeno leggendo tutti i libri di auto-aiuto! Sicuramente l’empatia può essere sviluppata in un contesto di psicoterapia di gruppo, come lo psicodramma analitico: stando a contatto con i problemi degli altri, si impara a sentirli dentro di sé, come se fossero i propri.
Parimenti, va specificato che anche le persone più empatiche possono non dimostrarlo in alcuni momenti della vita, soprattutto se non stanno bene o manifestano depressione e altri problemi psicologici. Come mai? Chi vive un periodo di disagio psichico non sempre ha lo spazio emotivo sufficiente per far entrare gli altri dentro di sé. Ma poi basta affrontare la problematica che l’empatia ritorna più feconda di prima» – conclude lo psicoterapeuta Pani.