Il bello delle vacanze, quando riesci a staccare davvero, è che perdi la nozione del tempo. Ti alzi al mattino e non sai che giorno è. Non t’interessa neanche, tanto la domenica è uguale al lunedì. Se sei così brava da immergerti totalmente nel posto in cui vai e scollegarti dall’altro mondo, quello in cui abiti abitualmente, magari aiutata da un altro fuso orario, può capitarti persino di vivere giornate di 30 o 40 ore. Ti alzi al mattino e ti sembra di essere partito da una vita, invece era solo l’altro ieri. È quando esci dai binari della solita routine e ti avventuri su strade inesplorate, che tutto si dilata. E ogni minuto assume un peso specifico così denso, un’intensità così piena, che ne vale dieci.

Equilibrio vita lavoro: dalle vacanze alla quotidianità

Il brutto è quando rientri. Uscire da quella bolla di minuti volatili e inebrianti come gas esilarante, per atterrare sul suolo ostile e ruvido della quotidianità, dove le ore si ergono come muretti a secco e le notifiche in agenda segnano percorsi obbligati lungo il cammino, non è facile. Ci sono due modi di tornare dalle vacanze: ritemprati e ottimisti, pieni di buone energie per affrontare l’autunno. Oppure nostalgici e malmostosi, impreparati a riadattarsi alle giornate corte e alle sveglie. Dalla prima elementare a oggi, non è cambiato molto. Ci sono quelli felici di tornare sui banchi e quelli che piuttosto si farebbero rapire dagli scoiattoli schiaccianoci di Willy Wonka. La differenza è che col tempo s’impara a simulare.

Il mio back to work

Personalmente mi colloco in una via di mezzo, tra gli appassionati e insofferenti del “back to”, tra quelli fatti per ripiombare in souplesse nei ritmi scanditi dalle campanelle e quelli che neanche disfano i bagagli, vagheggiando altre fughe possibili, altri orizzonti. Di certo ho capito col tempo che il modo migliore per rientrare nei ranghi è programmare un attracco dolce. Mai di domenica sera per attutire il trauma del lunedì, mai alla vigilia di impegni importanti. Ci vuole almeno una settimana di decompressione per garantire a corpo e cervello il modo di ri-carburare lentamente, restando in un’atmosfera vacanziera in cui il lavoro sembra quasi un passatempo. Ventilatore da una parte, Piña Colada dall’altra, si sta al computer come davanti a un tramonto, col sottofondo della centrifuga (i panni sporchi tocca pure lavarli) e l’illusione di smettere quando si vuole. Cielo sereno. Manca solo il mare.

Equilibrio vita lavoro: strategie di un amico

Un vecchio amico aveva escogitato un’interessante strategia per superare la sindrome da rientro, da applicare con successo dodici mesi all’anno: puntava tutto sulla pianificazione dei weekend, vivendo i 5 giorni lavorativi in mezzo, come una pausa tra l’uno e l’altro. Cioè l’intervallo era il lavoro, non lo svago. Se ci pensate, a volte, è sufficiente solo un cambio di prospettiva per essere felici. Per questo abbiamo deciso di inaugurare il primo numero di settembre di Donna Moderna invitandovi a trovare un nuovo modo di vedere le cose. Scardinando vecchi assiomi. E vi abbiamo portato un esempio concreto, che riguarda il lavoro: la settimana corta.

La settimana corta come soluzione?

Un’ipotesi che fino a ieri ci sembrava impossibile, abituati come eravamo alla logica dell’orario fisso e del cartellino, ma che oggi, grazie ai nuovi modi flessibili inaugurati dal Covid e dall’era digitale, non sembra poi così remota. Riscrivere le regole si può. Basta cambiare il modello organizzativo: non più basato sul tempo ma sul risultato. Alcune grandi aziende lo stanno già sperimentando riscontrando buoni esiti sulla motivazione e la performance, ma anche sul benessere delle persone. È questo in fondo l’obiettivo principale della formula “4 giorni su 7”: migliorare l’equilibrio vita-lavoro. Non a caso sono le donne le più interessate a richiederla, laddove si può, per avere più tempo per la gestione della casa e dei figli (o degli anziani), senza incastrare tutto come pazze, e ritagliarsi spazi per sé. Ma siamo sicuri che concentrare in meno tempo le mansioni di sempre (gli obiettivi restano invariati, insieme allo stipendio), non aumenti lo stress invece che ridurlo? La questione è aperta. Ma è già buono che se ne parli. Addirittura con proposte in Parlamento. Intanto, analizziamo pro e contro. E nell’attesa di tirare le fila, a tutte voi auguro un felice rientro.