Essere “troppo” emotivi o sensibili
Esagerata reazione agli stimoli emotivi, ecco la definizione Treccani alla voce “iperemotività”. Essere troppo emotivi o troppo sensibili è una malattia? Abbiamo posto la domanda alla dott.ssa Elena Lupo, Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Biosistemico, che nel 2014 ha fondato il progetto Persone Altamente Sensibili. Scopri perché prendere per mano le tue emozioni sarà l’inizio di un viaggio al centro di te stessa.
Che cosa significa essere troppo emotivi?
Sono tante, tantissime le persone che si descrivono come sensibili fino all’eccesso. Con queste parole raccontano il potere di un’emozione straripante, ingestibile. Vivere da “troppo emotivi” significa sentirsi scomodi in tante situazioni della vita quotidiana, per esempio non saper rispondere come si vorrebbe; arrossire violentemente, balbettare, avvertire gli occhi che si riempiono all’improvviso di lacrime. O anche scoppiare a ridere senza riuscire a fermarsi, dare in escandescenza, esplodere in un pianto a dirotto. In una parola, percepire le proprie emozioni come inadeguate rispetto alla situazione che si sta vivendo, di qui l’insicurezza e una profonda instabilità che spesso deriva dalla paura di non riuscire ad arrestarsi a un punto limite.
Treccani Enciclopedia
Alcune definizioni descrivono l’iperemotività come reazione eccessiva agli stimoli emotivi, a causa della quale un’esagerata euforia può alternarsi a profondi stati depressivi. Caratteristica di soggetti che vivono le relazioni del quotidiano con grande intensità, è stata associata allo stress e vista come sintomo di nevrastenia. All’iperemotività è stata data la responsabilità di una sintomatologia che va da rossori, sudorazione assente o eccessiva, fino a tic, svenimenti, tachicardia, poliuria, spasmi. Di frequente è considerata propria di individui insicuri, eccessivamente critici verso gli altri e se stessi, una condizione esistenziale diversa a seconda della storia personale, nata come reazione a un trauma o naturale inclinazione del carattere, più o meno sostenuta o meno dall’ambiente familiare. A suon di slogan ad effetto abbiamo imparato a combatterla da sempre: “smetti di essere preda delle emozioni” , “supera la timidezza”, “smetti di sentirti insicura”… smetti di essere quello che sei?
“Solo quando ci sono stati traumi, danni o intossicazioni possiamo parlare di reazione post traumatica da stress, che fra le possibili conseguenze annovera anche l’iper-reattività, poiché rimane alta la soglia di allerta, o esiti neurologici di alterazione dell’asse amigdala-ipofisi-ipotalamo. Invece, negli altri casi a essere “esagerata” non è l’emozione, ma solo la regolazione della sua espressione” spiega Elena Lupo “Per questo la definizione che io darei a ciò che viene qui descritto sarebbe “disturbo da autoregolazione emotiva”. Non sono d’accordo che si accompagni necessariamente all’insicurezza, né che sia necessariamente segnale di “nevrastenia”. Corrispondono, invece, i possibili correlati fisiologici descritti, che però non necessariamente devono essere considerati patologici in quanto semplice manifestazione neurofisiologica di un’attivazione emozionale nel cervello”.
Il diritto di emozionarsi
Di sensibilità emotiva si parla in vari ambiti e non sempre la definizione del suo ruolo appare univoca. Dal 1991 la dott.ssa Elaine Aron usa il termine “High Sensitivity” per descrivere un tratto di personalità. Secondo la psicoterapeuta e il marito Arthur Aron, neurologo, i D.O.E.S, ovvero Highly Sensitive People, si distinguono per 4 caratteristiche fondamentali. Le Persone Altamente Sensibili:
Depth of processing – processano le informazioni a un livello più profondo
Overarousability – sono più facilmente preda del sovraccarico e della sovrastimolazione
Emotional responsiveness/empathy – rispetto agli altri entrano più facilmente in connessione emotiva
Sensitive to subtle stimuli – sono sensibili a stimoli e dettagli sottili che solitamente passano inosservati
Ti riconosci in questa descrizione? “Possiamo pensare al tratto dell’alta sensibilità non come patologia, bensì una caratteristica innata legata a una maggior elaborazione emotiva degli stimoli, che è come dire avere gli occhi verdi o marroni, essere più o meno alti” dice al riguardo Elena Lupo.
Emozionarsi, un atto sconveniente: per secoli è stato visto così e non solo nella nostra società. In molti Paesi al mondo l’emozione è oggetto di censura anche oggi. Se le donne sono state accusate di essere umorali e nevrasteniche, il sesso maschile non è più fortunato. Agli uomini si chiede di “essere uomini” fin da piccoli, il che si tradurrebbe in un comportamento compassato da adottare all’occorrenza praticamente in ogni situazione.
Iniziamo a far caso quando con troppa superficialità trattiamo i bambini dicendo frasi tipo “smettila di piangere”, “sei proprio un frignone”, “i coraggiosi non piangono”, o se si sta ridendo, “non essere stupido”. Tu come ti sentiresti se qualcuno oggi si rivolgesse a te così? Spesso sono cose che si dicono per stimolare a uscire da una situazione o pensando di educare a essere forti; escono fuori dalla bocca e quando te ne accorgi è già troppo tardi perché ci sono due occhi sbarrati e tristi che ti guardano. Da adesso prova a prestare più attenzione alle parole che usi. Ognuno di noi è un essere umano diverso e unico, con il diritto di piangere, ridere, arrabbiarsi, essere triste… a modo suo. Se ci pensi bene scoprirai che gran parte del modo in cui esprimi le tue emozioni viene dall’infanzia.
Che cosa potevi o non potevi fare? Nel tuo contesto familiare o a scuola c’erano emozioni proibite? Capita spesso che vengano negate e censurate rabbia e tristezza, da piccoli ma anche in età adulta. Sono due emozioni che fanno paura, perché mettono allo scoperto una parte estremamente vulnerabile di noi, un lato ignoto e sepolto sotto le regole sociali normalmente condivise: quando si apre una fessura allora sì, può accadere di tutto e uscire tutto ciò che abbiamo trattenuto, magari per anni, senza saperlo. In questo viaggio nelle emozioni ti troverai nella tempesta e a volte sarà estremamente difficile; ti sentirai persa in un flusso che ti sommerge, ma non temere. In quel caos c’è la chiave per raggiungere il punto zero, una zona di te sconosciuta, misteriosa, dove ti attendono nuove scoperte.
Come gestire l’emotività
Rolf Sellin
Non si può, e non si dovrebbe, cercare di smettere di provare un’emozione. Ma allora esiste un modo per “addomesticarle”? La chiave per imparare a gestire le emozioni è l’autoregolazione. Quando si impara questo principio autoregolarsi diventa possibile sia per le emozioni più quotidiane, sia per quelle più intense. Iniziare dipende dalle tue inclinazioni e dai tuoi bisogni. Possono esserti di sostegno percorsi fra i più diversi, dalla meditazione a un gruppo, una relazione affettiva o di aiuto: prima di tutto è fondamentale la tua attitudine, ovvero l’attenzione verso te stessa. Inizia a osservarti.
Che cosa ha il potere di farti reagire e come ti comporti quando accade? Comincia ad accorgerti dei tuoi movimenti interni, di che cosa ti fa male o non ti piace. Osservare ciò che ci ferisce e magari provare a scriverlo in un diario è un buon inizio e ti aiuterà a prendere contatto con emozioni sepolte. Quello che proviamo e non ci diciamo racconta ciò di cui abbiamo bisogno per guarire. Come ricorda la dott.ssa Elena Lupo, l’autoregolazione ha a che fare con tre fattori principali:
Accettazione – NON GIUDICO ciò che provo, ma lo accolgo con amorevolezza
Connessione mente-corpo – imparo a SENTIRE dove e come nel corpo si manifesta l’emozione, in un dialogo continuo di pensiero e sensazione
Espressione – imparo ad ESPRIMERE i miei sentimenti in termini di qualità e intensità, con un buon grado di alfabetizzazione emotiva
Qualcuno ti ha detto che sei troppo emotiva? Forse davanti a te c’è una persona che ha altrettante difficoltà a livello emotivo, perché quando il disagio che si prova di fronte alle emozioni degli altri parla dell’incapacità ad avere a che fare con le nostre. Eppure, possiamo imparare ad accogliere ogni emozione, vederla e integrarla nel nostro vissuto: se le diamo fiducia e ascoltiamo il messaggio che porta con sé scopriremo che l’ipersensibilità è un dono che ci rende più empatici, ricettivi verso noi stessi e nei confronti degli altri, ed è in grado di liberare un potenziale in cui iniziare a sperimentare una forza immensa.