“L’estate sta finendo e un anno se ne va / Sto diventando grande, lo sai che non mi va”. Alzi la mano chi non ricorda l’allegro tormentone dei Righeira, duo musicale dai capelli esplosivi, che in quel lontano ’85 compose, senza saperlo, l’elegia italica del fine-vacanze. Una pietra miliare nella playlist canora ed emotiva di quelli della mia generazione, nonché manifesto collettivo dello Sturm und Drang che ancora oggi ci piglia appena si scavalla il ferragosto. Toccato l’apice, c’è solo la discesa.

La vita vera è altrove

Si accorciano le giornate, iniziano i primi saluti strappalacrime, persino le pesche perdono sapore. E la valigia è lì, accanto al letto di una casa in affitto con sedie di vimini e fantasie marinare, a ricordarci che siamo solo di passaggio, che non è qui la vita vera ma altrove, nello smog e nel tran tran cittadino, esattamente dove non ci piace.

Il vero inizio dell’anno? Non è gennaio, ma settembre

Diciamolo, non è gennaio il vero inizio dell’anno, ma settembre. Il mese della ripartenza, quello a cui consegniamo tutte le beghe che non ci va di sbrigare con il caldo, quando gli uffici si svuotano, le mises si alleggeriscono di calzini e cravatte, le scartoffie si accumulano e le mail cominciano a rimbalzare i messaggi: “Thank you for your email: I am currently out of the office. For any urgent matter, please contact me on my mobile number”.

Ma niente a quel punto è ormai urgente. Si ha solo voglia di partire. Lasciare tutto così com’è, con spirito dissoluto da cicale

Arriverà settembre e ci penseremo. Per questo, quando si avvista all’orizzonte, lo stomaco inizia a boccheggiare e il cielo terso si appanna con l’avanzare dei primi cumulonembi che affollano il cervello di pensieri molesti: l’Excel, la call, l’esame di riparazione…

Gli insegnamenti di un’estate che finisce

Ma non potrebbe essere agosto sempre? E settembre ogni tanto. Dilazionare il tempo del riposo e restringere quello degli impegni e degli affanni. Non sarebbe più umano invertire gli addendi? Più bello per tutti?

È una domanda che ci poniamo sempre a un certo punto del soggiorno. Ovunque siamo. E fin da ragazzini. Perché ci sembra crudele e irrazionale imbottigliarci dentro vite stressanti e solitarie potendo avere questo: la libertà di usare il proprio tempo come ci pare, vedere amici, fare nuovi incontri, leggere, muoversi, ampliare le conoscenze e gli orizzonti, dormire a sentimento e mai a comando, tornare a guardare chi ci vive accanto, scoprirlo di nuovo interessante, a volte addirittura reinnamorarsi. Essere, in fondo e semplicemente, quello che dovremmo essere sempre, cioè esseri umani. Fatti di carne e spirito, congegnati all’origine per stare con gli altri e socializzare, un po’ faticare e un po’ riposare, in giusto equilibrio, senza strafare, tenere il corpo in esercizio, impratichirsi in quella bella consuetudine dell’ozio che ci invita a pensare, dimenticare il cellulare.

Che fare, al rientro?

Tutte cose che quando si torna a casa non facciamo. O meglio sì, la prima settimana, seguendo con ostinata convinzione le regole auree apprese al mare e poi via via perdendo il ritmo e la motivazione, come succede col digiuno intermittente quando mancano i risultati. È che non serve cambiare da soli, ci vuole il contesto.

È come quando rifai a casa la paella e non ti viene. Non bastano i mariscos a far la Spagna, ci vogliono le nacchere e il flamenco

Così i più coraggiosi, invece di portarsi la vacanza in città, esportano la vita nei luoghi di vacanza, che non è mai una scelta facile. Ma se funziona, è una figata. Per tutti gli altri il consiglio è di godersi l’ultimo scampolo di ferie senza magoni e senza ansie. Ma crogiolandosi in quella saudade, come dicono in Brasile, che sempre ci prende quando finiscono le cose, e tutto ha il sapore delle leccornie avanzate. Da mettere in frigo per la prossima estate.

L’estate finisce, ma tutto passa

In fondo è un copione che si ripete tutti gli anni. La spiaggia che si svuota a poco a poco, lo scambio dei contatti col vicino d’ombrellone, l’ultimo bacio davanti al falò. Quando hai 16 anni di sicuro è peggio. Perché ogni cosa è definitiva, ogni amorazzo un idillio shakespeariano. Poi ci si abitua. Passa l’estate come passa il resto. Apri l’ombrellone, chiudi l’ombrellone. La vita, in fondo, non è che questo. E il tempo un gelato che si squaglia al sole.